Quando esco dalla metropolitana ho l'abitudine di ripassare sul lettore del tornello la tessera dell'abbonamento, una specie di dare e avere, sono entrata e ora esco, così non ho problemi se dovessi rientrare cinque minuti dopo. Non si può mai sapere nella vita, ma lo si sa un po' di più utilizzando la filovia 90-91.
E comunque, nella stazione della metrò gialla di Piazzale Lodi, c'è sempre qualcuno che mi avvisa: guardi signora che non importa, può uscire lo stesso. Ma perchè me lo dicono? Io mica vado a dirgli che gli conviene ripassare il badge, agli altri.
Di questi tempi quando devo ritornare a casa, con la 90, bisogna attendere un sacco, per esempio lunedì 6 dicembre, c'era scritto che i mezzi pubblici funzionavano con l'orario del sabato… guardo, alle ore 19 un passaggio ogni 7 minuti. Guardo sul display il tempo di attesa: 19 minuti…. sembra più l'orario delle 23, però.
Stasera esco dal metrò, è un tratto di strada che odio, pochi metri a dire il vero: sulla sinistra il gabbiotto degli uomini ATM, il semaforo per l'attraversamento della corsia preferenziale, cronico rosso quando arrivo, situato in curva, con punto di approdo in prossimità di aiuola, concava , e priva di albero: quasi una trappola.
E poi un marciapiede a cubetti, bello rettilineo, fatto apposta per veder partire l'autobus quando sei quasi arrivata vicino: per me gli autisti sono dei grandi mattacchioni, una mattina ce ne era uno che chiudeva le porte quando qualcuno arrivava di corsa, e rideva, tutto da solo.
Stasera c'era un sacco di gente, ed il tempo di attesa previsto erano 9 minuti: non si ha idea di quanta gente ancora possa arrivare, in dieci minuti. Mi siedo sulla panca alla fermata, con molta attenzione perchè sotto la panca la capra crepa, e risoluta ad attendere pur avere un posto a sedere, e poter leggere in pace. Arriva una coppia, lei magra magra, con un maxi paletot aperto, lui intabarrato, con una voce da pechinese rauco, una sigaretta ciascuno, un'esperienza tremenda di fumo passivo, mi chiedevo se all'aperto avevo diritto di ribellarmi o no.
Arriva un filobus, finalmente, con il cartello "Fuori servizio", si ferma, ed è l'assalto. Li guardo affrettarsi, salire, stare lì in posa, e poi qualcuno comincia a scendere, visto che l'autista era nel frattempo sceso allontanandosi. Qualcuno scende e si accende una sigaretta. Mi immagino gli altri, pigiati dentro, che si guardano e si bisbigliano, rosi dal dubbio.
Arriva un altro filobus, si ferma a notevole distanza dell'altro davanti. La gente che era ancora a terra vi si precipita, ma il filobus sta immobile. Quelli del primo bus cominciano a scendere, diretti verso questo, che da più fiducia, in quanto portatore di autista. Alcuni del secondo bus invece scendono, non capiscono perchè non partano.
A sorpresa, parte il primo dei due bus. Poco dopo, il secondo. Rimango a terra io, ed un'altra signora.
Il display segnala 2 minuti, poi In arrivo, e c'è qualche altro viaggiatore. L'autobus effettivamente arriva, apre le porte, si sente il tepore, si vedono giornali sparpagliati per terra, faccio per sedermi, ma il guidatore dice "Signori a terra, la corsa è terminata. Prendete quello dietro."
Dietro, non ci sono autobus, forse ho frainteso.
Questo, In arrivo, è arrivato e non serviva arrivasse… meglio della 61, comunque, quella volta in cui segnalava In transito, e non si vedeva nulla all'orizzonte.
Riparte, vuoto ed illuminato, due ragazze che volevano salirci avevano corso con i loro stivali coi tacchi, ed si rammaricavano per aver perso il filobus, ah la sfiga. Non mi va di deluderle, di dir loro che aveva finito la corsa, e che il loro periglioso affrettarsi sarebbe stato comunque inutile.
Tempo d'attesa previsto sul display, 3 minuti. Mi risiedo sula panca, mi guardo un po' in giro, lo spicchiio di luna nel cielo blu e freddo, mi sporgo e guardo all'insù, la scritta luminosa ora dice 4 minuti. Credevo di trovare un due… ma che strana cognizione del tempo. Un tempo che non passa mai, perchè un po' dopo è ancora 4 minuti. Ripenso ad un "pensierino" di mio figlio alle elementari, sull'argomento "quando il tempo non passa mai", svolgimento: "quando devo aspettare cinque minuti".
eheh la 90 è una brutta bestia, fortunatamente non la prendo più da un bel po' ma ricordo le attese e soprattutto la calca prima di salire, se si riusciva!
E poi ne sono certa, gli autisti il più delle volte sono letteralmente malvagi, perchè quello non è un sorriso, è un ghigno cattivo di chi si vuole rivalere su chiunque pur di avere qualche piccola soddisfazione, maledetti! <.<''
a me sembra una cosa complicata. forse è solo questione di farci l'abitudine
A proposito di 5 minuti…ai tempi dell'università un mio amico cantautore, nome d' arte Giambattista Vicolo, aveva scritto una canzone intitolata: " Prima che mi prendono i 5 minuti…." Un giorno te la farò ascoltare.
Molto dolce
…dovresti provare a prendere le Ferrovie Nord! L'unica cosa positiva è che non sei in mezzo a una strada…
certo che usare i mezzi pubblici fortifica il carattere:-)
le paline indicatrici dei tempi d'attesa sono merce rara a roma, ma a me danno grande conforto: quando vedi la previsione di 23 minuti d'attesa per il tuo autobus, hai un sacco di tempo per immaginarti itinerari alternativi …
e se andassi a xyz? potrei visitare il tale momumento, in fondo il mezzo che mi ci porterebbe passa tra pochissimo. oppure andare a trovare tizia o caio, le cui case sono a portata di altri autobus che passeranno anche loro tra un attimo …
e così via.
ci sono vite intere da vivere in 23 minuti.
e meno male che vivo in centro!
(è indegno che in una città che si definisce capitale economica o capitale e basta di un paese che anche lui si definisce europeo si debba aspettare così tanto un mezzo pubblico)
Ricordo, a Roma, ponte dell'Immacolata piovoso di qualche anno fa, tempi inerrarrabili di attesa dell'autobus in piazza Venezia! 🙂 A Roma ho sempre preferito camminare… è talmente bella!
Storie di vite metropolitane, vissute quotidianiamente, e per me che poche volte sono stato a Milano, mi basta così poco leggendoti per rivivere quei momenti. Sentivo un senso di disumanità nel vedere comprimersi e correre tutte quelle vite accalcate nella folla, a volte una contro l'altra nella completa indifferenza. Per me che venivo da una città di provincia, dove si conserva quel modo di sorridersi e di cominciare a parlare anche senza conoscersi fu quasi traumatico. Ricordo che feci di tutto per farmi notare e dovetti sembrare uno splendido clown visto che raccolsi consensi e risate. Per me c'è una grande risata in ogni cosa peggiore. E' sempre quello che ci ha aiutato a vivere!