Il cinema di Verbania è un bisala, cioè un multisala piccolo.
Al contrario del solito, il cassiere è un uomo che ti raccomanda di tenere con te l'ombrello e ti racconta che lui non ha il problema perchè è in moto e al ritorno si piglierà tutta l'acqua, mentre è una signora, anziana, che strappa i biglietti mezzo metro più in là, e mi chiedo se in un cinema che è tutto raccolto lì, il rito abbia un senso. Per quanto riguarda l'ombrello, capisco sia un rischio, il cinema è di fianco al penitenziario, e per quanto riguarda la signora, capelli grigi, golfino qualunque con lo zip e pantaloni, mi chiedo quanto poco ancora mi manchi per esser come lei, già siamo vestite uguali.
Le poltroncine verdi hanno una conformazione anatomica tale che, se mi ci abbandono, il mio sguardo è portato al soffitto e non allo schermo. Mi risistemo un po' meglio.
Le luci finalmente si spengono, e si sentono i rumori del film, un crepitio, dei passi concitati. Si attende l'immagine, ma si riaccendono le luci. Non era una genialata del regista, allora.
All'inizio ho un po' di difficoltà a collocare ambiente e personaggi, poi la cosa si fa scorrevole, anzi, non tardano ad essere familiari.
Due fratelli gay che hanno tenuto nascosto la loro natura sentono la necessità di lasciarla emergere, e seguire la loro strada, in un ambiente non ancora avvezzo ad accettare queste diversità, un ambiente ricco, anche se non ostentamente opulento. Una famiglia dove c'è tutto un campionario di personaggi, mancava solo un parente ecclesiastico. Le ciglione vellutate di Scamarcio, un cognome dispregiativo che fa da contraltare ad una oggettiva bellezza, l'espressione meravigliosa di Ilaria Occhini – magari invecchiassi con un viso così… La stravaganza di zia Luciana, che ci fa, non ci è. Non mi piace tanto scrivere le trame, anche perchè un film lo si deve vedere, e non si deve "riconoscere" .
Ozpetek apre dei discorsi offrendone dei quadri, nulla che sia nuovo, o che dia delle soluzioni. Diciamo che il filo conduttore del film è la scelta, la libertà, la capacità e la forza di scegliere, e anche di accettare le scelte altrui: non è un discorso nuovo, appunto. Certo è tutto più facile in un ambiente dove non ci sono problemi economici, del fratello che si allontana a tasche vuote, nulla si sa come se la cavi, a cosa lo abbia portato la sua scelta, se non nel campo sentimentale. Ma è un film di sentimenti, la concretezza non è richiesta, sono io che sono abituata a portare sempre tutto nel pratico.
Ripensarci su, a queste questioni, comunque non fa mai male, ed il film è piacevole in una giusta miscela di ironia ed emozioni, anche se ci sono alcune scene surreali: il giovane Tommaso vuole fare lo scrittore, ha mandato il suo manoscritto a un (solo) editore, e riceve una lettera di rifiuto da questo editore (si vede una busta con tanto di bollo di posta prioritaria).