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Un paese sperduto

Lorenzo mi aveva scritto in sms, è un paese sperduto, di quattro o cinque case, una è caduta quest’inverno.
22587_10206822128540200_4898488285298768796_nEra vero.  Uscita dall’autostrada ad Arquata, giri a destra e praticamente vai sempre dritto costeggiando lo Scrivia, che non ricordo di aver mai visto con più acqua che il rivolo che scorre anche oggi in quel letto ampio.  Eppure, vedo anche un cartello, Pesca Sportiva.
Vai sempre dritto, costeggi lo Scrivia, e il mondo sparisce, si diradano le case, le macchine, si corre tra le montagne ancora brulle, un leggero accenno di verde, le immagino verdissime tra un paio di settimane. Dobbiamo arrivare a un tale ristorante, fare uno squillo all’anfitrione, che ci verrà incontro sulla strada. Così facciamo, ristorante, sosta, squillo, si riparte.
Terrore, per me… strada in salita – che dopo sarà in discesa – ripidissima strettissima, con curve a gomito, sgarrupata, che sembra di fare la curva e non trovare magari l’asfalto sotto la ruota anteriore a valle… Il mio  supplizio è durato per un po’ di curve, fino a quando non abbiamo visto Lorenzo  e le due bimbe che ci aspettavano.  Ho anche ringraziato il cielo di aver costretto il capofamiglia ai soli fini anagrafici a far benzina, non lo sapevamo ancora , ma eravamo all’ultimo distributore sulla strada che dovevamo fare, e quasi in riserva.
Ci siamo avviati, noi cinque ospiti e il cane Boris,  dietro  Lorenzo… la casa in rovina, era in vendita per ben cinquemila euro, prima di accasciarsi.  Andiamo ancora poco oltre, ecco, la casa di Lorenzo, acquistata da suo padre poco tempo prima di morire.
Forse ho un po’ perso lo spirito da pioniere…   non so perchè una persona di una certa età si vada a cacciare in un posto così… il negozio di alimentari più vicino è a mezz’ora di macchina- compresa la strada tutta a curve di cui dicevo prima – non andiamo a pensare a medici, farmacie, o addirittura a un mercato.  Non è che neanche puoi dire, in cinque minuti sono al mare, che in linea d’aria non sarebbe lontanissimo.
Ora non voglio parlare del piacevolissimo pranzo di Pasqua, del piacere degli affetti familiari, dei tre cuginetti affiatatissimi o del cane Boris che si rotolava nell’erba ed ha potuto passare una giornata senza guinzaglio, ma del silenzio e della solitudine.
Le famiglie delle altre case non c’erano, non abita nessuno lì. C’erano, nella casa più in alto,  Renato e Laura, Renato abita a Novi Ligure e viene nel fine settimana a lavorare la sua terra.
Tra queste case, tu  esci e per non perderle lasci le chiavi nella serratura,  tanto non c’è nessuno, quando torni  dalla passeggiata.
11133714_10206822152380796_8131098375541657609_nFuori è tutto silenzio.  Puoi vedere i daini, nelle ore giuste, e quando fai la diabolica strada, devi fermarti perchè la famiglia di cinghialini sta attraversando la strada. Di lupi, diceva Lorenzo, qualcuno ce ne è,  ma lontano da lì.
Si è talmente soli, che anche i vicini, d’estate, quando ci sono, sono simpaticissimi, dice la moglie di Lorenzo, e magari se tu li conoscessi in un contesto affollato, non lo sarebbero. Non puoi scegliere, quindi scavi il meglio dalle presenze che ci sono, e ci si aiuta tutti.
Forse, la sera, qualche puntino di altre case illuminate, sparse lontano nella valle, lo si vede.
Il Renato tiene uno spaventapasseri elegantissimo, forse più una presenza, che uno spaventapasseri, di primo acchito, mi aveva spaventato un po’.

voce del verbo andare

Forse a tutti capitano quei momenti in cui non sei a posto da nessuna parte, e ti senti dentro un’angoscia continua che ti stringe, e non sai bene se vorresti urlare, o dormire, o essere accarezzata, o abbandonarti a un fluire di giornate tranquille anonime,  ad evitare lo schianto.
Sono quei giorni che ti sembra di essere al mondo solo per arrivare al momento sbagliato, per dire la cosa sbagliata, anzi metà, perchè non te la lasciano neanche finire, come quello che sognavi di essere, di fare. Senti di aver dato tutto, e non hai più nulla che non sia vecchio, scontato, stanco,  senti che comunque non basta, non basta mai. Vorresti andartene, e non lo sai fare davvero, non hai il coraggio, non sono solo l’età, la salute, il denaro, a fermarti. E’ questa l’insoddisfazione?

Meglio pensare alle storie d’amore, ogni tanto, almeno.

Ro do tà  Ro do tà un terzo degli italiani Napolita no Napolita sì Suicidi per il lavoro Ergastolo per il delitto Scazzi finite le gite in pullman sul luogo del delitto Monti  for ever magari Andreotti la repubblica delle banane. Ognuno ha da dire la sua, non ho da dire niente, non ci capisco più nulla, è troppo oltre, il bianco e il nero, sovente scelgo il grigio, non è mica brutto, è un colore elegante e dignitoso. Ci vuole la rivoluzione,  sicuro. In uno stato integrato in un mondo globalizzato non la vedo facile. Non la vedo facile neanche perchè una rivoluzione, dopo una breve tregua, cambierebbe solo i commensali alla mensa, l’italiano è fatto che se può approfitta, a partire dal cioccolatino che accompagna la tazzina di caffè – cerca subito di averne due causa la familiarità col barista.  E  alla mensa, loro non son cambiati, son rimasti lì, e sanno come far girare i piatti… o una rivoluzione rigira anche loro? E non lo so, e quando tutto gira, balla, ondeggia, e non sai a cosa credere, a me fa bene pensare alle piccole cose, per riprendere un po’ di forza, di ottimismo, di sicurezza.
C’è un equilibrio al mondo, o forse una volta c’era, prima che l’uomo diventasse infestante, che si preoccupa del tarlo asiatico e non vede cosa fa lui.  Il problema dello smaltimento rifiuti è tutto suo, non c’è nulla in natura che non abbia la sua funzione, e mica dobbiamo insegnare noi alla natura cosa sia il riciclo.
Insomma, tutto questo per dire che, lasciata per ragionevolezza la casina di Pallanza, un pochino di anima mi è rimasta lì,  uno di quei luoghi che conosci come ti fossero già appartenuti in una vita precedente. Il lago Maggiore fa parte della mia infanzia, della mia crescita, è  paesaggi, nomi, colori profumi, ricordi… una specie di ventre materno, che non ho bene idea di come sia, perchè mia madre non è mai stata una di quelle madri lì, che ti avvolgono ti rassicurano e non ti fanno temere nulla, ti ovattano. Mica perchè fosse una madre ruvida e tosta, poco incline alle tenerezze. Era poco incline e basta, formalmente presente, ma non era  egoismo o indifferenza, era semplicemente il suo massimo. A Pallanza, se vuoi, puoi fare un sacco di cose, c’è il lago, la piscina, il tennis, le passeggiate, le gite in battello sino a ovunque, e il retro, Verbania, con tutto quello che può offrire un capoluogo di provincia sul filo di essere abrogata. IA me piace lasciar scorrere lentamente la giornata, e guardare il lago, scevro da affanni orari e scadenzini. E’ così che ti accorgi di quanto succede sul pelo dell’acqua, tra i volatili che vi galleggiano.  Perchè chi passeggia, dice oh le anatre,  e non si accorge che sono anatre folaghe e svassi, oh il cigno, perchè è grande e bianco.  E i gabbiani sono di due o tre specie, credo.  E i piccioni, i passeri e i merli. E l’usignolo lo sentivo di notte. Le oche sono tutte sparite dal porticciolo, e non so come, non voglio pensarlo.
Insomma, noi non sappiamo dove va l’Italia, non so che fine farà neanche il mio, di lavoro. Però loro sono lì, e forse neanche per loro le cose scorrono facili, ma non lo danno a vedere.
Sono tornata lo scorso week end sul lungolago,  dopo qualche mese di assenza.
La primavera prende in giro noi ed anche loro, è la stagione degli amori, ed io spero che sia per questo che le papere sono meno numerose,  che siano a covare nei nascondigli che non  ho mai scoperto.   Le anatre rimaste non hanno molto appetito, e quando sulla terraferma afferrano un pezzo di pane secco, diligentemente si dirigono verso l’acqua per pucciarlo e ammorbidirlo. Volano molto, fanno voli di coppia, lei in dimesso nocciola e lui in elegante verde blu grigio cangiante , e planano sull’acqua, prima lei, poi lui, forse è una forma di corteggiamento.
Svasso e svassa,  a breve distanza tra loro, si pettinano e si toelettano, per l’occasione il ciuffetto nero deve essere in bella mostra. Fanno finta di vedersi solo in quel momento, ben acconciati,  e si corrono incontro, e cominciano la loro danza dei colli, da lontano sembrano formare un cuore. Poi, nuotano insieme per un piccolo tratto, e si tuffano sott’acqua. Quando si sposano, ed in questo assomigliano ai cigni,  è per sempre, e allevano con cura i pulcini, che sono al massimo due; il cigno ne fa qualcuno in più, mai tanti quanti l’anatra, che però è una madre un po’ distratta… non rincorre i piccolini che si allontanano, semmai sono quelli che restano indietro a nuotare veloci e pigolanti  per raggiungerla.
Ma ci sono anche otelliane scene di gelosia. Sul lungolago bazzicano tre cigni. Una coppia e un single. La coppia l’anno scorso non aveva pulcini… quelli degli anni scorsi sparivano, pare li rubino,  e mi immagino il dolore  dei genitori, secondo me lo provano… Allo stesso modo penso che debba soffrire il cigno single, sempre solo. L’altra domenica c’erano i due cigni nel porticciolo, ed avevo dato del pane al cigno single appena fuori.

La coppia esce nel lago aperto, ed il cigno-lui  si gonfia e tutto piumoso si dirige nuotando contro il presunto minaccioso intruso, e lo costringe ad abbandonare i bocconcini di pane…. nuota via veloce, e l’altro dietro, si alza anche in volo, poi volano pesanti entrambi, uno in fuga e l’altro aggressivo, planano sull’acqua, e il “marito” sempre dietro, lontano, sempre più lontano… scompaiono entrambi dietro l’isolino di San Giovanni, e finchè sono stata lì non si sono più visti.


Live after Live for Van Ghè

The show must go on. “ho dimenticato il plettro, tu ne hai uno? ” no non fumo e non suono la chitarra  “quando arrivi fammi uno squillo” , “sei lì?  chiedi al bar di fianco se ci possono dare del ghiaccio, solo se possono, poi arriviamo noi” “sì possono” “siamo in ritardissimo, riesci a fare andare la lavapiatti per spolverare i bicchieri?” No, non riuscivo, tasto “eco”, manopola, ma “on”? La manopola non faceva scattare nulla, il contatore era sul rosso, le spine erano dentro…  Un pensiero, all’inizio le poesie,  le poesie recitate su rumore di lavapiatti dietro il sipario,  siamo troppo avanti qui al Van Ghè… Per fortuna l’intervento del primo uomo arrivato  – una ragazza pisolava sul soppalco, si era svegliata, ma non avevamo risolto-  schiaccia il tasto giusto, di fianco a quello “eco”. Poi arrivano gli strumenti… tutto pieno di strumenti. Laura si allunga sul trabattello a orientare le luci, i leggii sbocciano come fiori in primavera, si allungano i gambi. Perfetto, siamo pronti, peccato che le cibarie son bloccate in tangenziale. Comincia ad arrivare gente, e poi ancora gente, tutti che si salutano, si riconoscono, si abbracciano … ma ci guardo:  siamo tutti noi, ma dico, uno di pubblico, uno? Arrivano le cibarie, e il buon vino, e il registratore di cassa a riempire la tavola decorata con fiori, origami colorati creati dalla ragazza che non pisolava più. E del meccanismo dei  buoni e tagliandini, si capisce nulla, è la prima volta che proviamo a far così per le consumazioni. La scaletta, il mio memo degli artisti scritto su un pezzo di carta, poco più che un francobollo, tutta rigirata che nessuno ci capiva più niente.
Ma alla fine ci siamo stati tutti, e il pubblico, e il violoncello, e l’insolito piattino di taleggio e cachi della Divinacomida, e grazie alla poesia di Francesca Genti,  Manuela Dago e Paolo Gentiluomo, a Roberto Deangelis, a Patrizio Luigi Belloli, alla recitazione di Camilla Barbarito   e di Pasquale Conti, alla musica di Giangilberto Monti, Alessio Lega, Balen’ Arrubia, Matteo Passante, Cesare Livrizzi, agli accompagnamenti di Fabio Marconi e Guido Baldoni, e il gruppo Monteforte, Tripodi, Viganò,  Minguzzi sempre disponibile a coccolarci  mirabilmente con le loro note. Ma grazie davvero!

non è addio al lago

Ho finito di fare gli scatoloni, ho disfatto la casetta che mi piaceva tanto. Non è proprio ancora distrutta,  ha una sua funzionalità stile campeggio, con slalom tra pile di scatole, per tornarci un ulteriore week end.
In questi giorni mi hanno fatto compagnia il caldo e la malinconia.
Il lago, non lo perdo, neanche le paperelle e gli svassi, che  perpetueranno qui le loro stirpi.
Perdo un angolo mio, semplice e non lussuoso,  dove stavo tranquilla, dove nessuno mi distruggeva nulla,  a parte le oche  del porticciolo scomparse, erano sette quando sono arrivata qui nel febbraio 2010, e le sparizioni dei cigni pulcini.
Un posto bello, e dico sempre che il bello fa bene.
Esci di casa, c’è la piazza, il lago, l’imbarcadero, una pianta di  camelia fiorita anche d’inverno, le azalee in primavera, gli oleandri e le magnolie d’estate. L’ aria profuma di fiori o di legna dei camini, le rondini fanno casino al mattino, e verso sera i gabbiani, di notte l’usignolo.Spuntano  in primavera, come le primule sui prati, le barche sullo sullo scivolo del lungolago, e quelle ormeggiate alle boe. d’inverno le sostituiscono i gabbiani, che restano a terra. I piccoli svassi, li vedevo ieri dal mio tavolo del bar dell’imbarcadero,  hanno perso il piumaggio picchiettato e hanno ora le penne e i colori dell’adulto, un abbozzo di ciuffo, ma pigolano ancora chiedendo il cibo al genitore, sempre più  spesso però si tuffano sott’acqua in cerca. Non ho fatto gite, escursioni, le nuotate le conto sulle dita di una mano. A me basta guardare il luccichio e i colori dell’acqua, i contorni del panorama che conosco sin da bambina,  è uno strano senso di protezione che mi pervade, che non ho più da quando è mancato mio padre, tantissimi anni fa…è qui che ti ritrovo, papà, in questo mondo qui… per questo non sono mai venuta al cimitero, non eri lì, no.

Verso il Carroponte

Laura passa a prendermi sotto casa, l’aspetto al semaforo, così salto su e via, verso il Carroponte, dove Guido Catalano declamerà poesie – o farà il cabarettista, a seconda che lo ascolti un cabarettista, o un poeta.
Come decido che è meglio aspettarla dall’altro lato del semaforo, Laura arriva e si ferma giusto dov’ero due minuti prima, si ferma anche perchè c’è il semaforo rosso, e questa è già una buona cosa che non è detto si ripeterà sempre. La vedo, ma lei agita le mani e spiaccica i palmi contro il vetro,  le faccio un segno, riattraverso, la raggiungo, mi siedo in macchina  e lei mi dice ridendo: “ti stavo facendo segno di aspettarmi l! “…” e io ho capito di venire lì, vedevo segni strani”  Il finestrino è completamente giù, no, non mi dà fastidio, solo che Laura mi caccia in mano un navigatore, che non so come riesco a far sì che prediliga la direzione Sesto S.Giovanni, probabilmente era già impostata,dall’ultimo utilizzo, invece dei WXZ che mi scappavano digitati.  L’aggeggio parla, ma mica si sente molto quello che dice coi finestrini aperti, e così comincia il viaggio, con me che faccio la ripetitrice  del navigatore, ci dice sempre dove andare, ma tante volte ci sembra che sbagli, e allora facciamo qualche altra strada, in conflitto  con lo strumento, che non si arrabbia mai. E’ incredibile! Siamo arrivate! “Il Carroponte,  lo vedi? ” Mi dice Laura. Vedo infatti una strisciolina di rosso dietro  a delle costruzioni. Postaggiata l’auto, ci entriamo, ci sono delle aiuole e queste gigantesche impalcature, nel mio immaginario carroponte mi faceva pensare a una specie di nave petroliera, ed invece dicasi carroponte un argano installato su un carrello o un paranco, ed un ponte costituito da una trave,  i cui usi più comuni .sono all’interno delle fabbriche e dei magazzini per il trasferimento di semilavorati e di prodotti finiti tra un reparto e l’altro o verso l’area di carico e scarico; vi sono anche carriponte destinati all’uso siderurgico con funzioni di parco rottami, carroponte da carica o per movimentazione billette: così in sintesi da  Wikipedia.   Lì effettivamente c’era la Breda. Un attimo di commemorazione compunta. Gli operai, la fabbrica, le considerazioni sull’adesso.C’è una prima parte coperta, escono voci e musica, ma costeggiando la costruzione color infuocato, si arriva al prato, a un gazebo dove si sta esibendo Andrea Cola, e alla base di un pilone è seduto solitario il Poeta, con fogli bianchi tra le mani, che aspetta le ore 22.00, che sono anche passate. Il prato è occupato da tavolini e da divanetti fatti con  pallets, e assi per schienali.  Non ce ne è uno libero.  Laura segnala la panca lontana, occupata da un solo individuo. Che però si alza. La panca è libera! con passo felpato e velocissimo ce ne appropriamo.  La spostiamo in centro, sul  fondo. No, meglio che andiamo un po’ più avanti.
Ci sediamo. No, un po’ più a destra adesso. Ora c’è Catalano nel gazebo, implora che la gente vada più vicino al palco, obbediscono in tantissimi, il prato si è riempito, e noi.. zac, là vicino con la panca. E poi che dire? l’aria era fresca, si stava bene, Guido Catalano ha dato il suo meglio tra foglietti svolazzanti , e, per il veloce ritorno nella notte,  come  cavalli verso la stalla, il navigatore l’abbiamo lasciato dormire nel suo angolo

Storie vive.

Il mio lago non è solo lo scintillio dell’acqua sotto il sole, e i battelli d’antan, ed il colore dei fiori, e le inquadrature offerte dalle lunghe palme. Ho imparato a conoscerlo come una sorta di teatro, il domestico lungolago di Pallanza racconta un’infinità di storie, se ti fermi a guardare.
Nel porticciolo nuotava giorni fa una papera madre di tre pulcini, ed uno di essi si allontanava sempre, restava indietro, andava avanti…  la madre sembrava incurante,  il piccolo si era perso tra le barche  ormeggiate e non la trovava più,  nuotava pigolando disperato,  ma il resto della famiglia sembava non sentirlo. Ero preoccupatissima. Finalmente ha scorto  la madre,  sull’altro lato del porticciolo, ed ha  fatto una traversata che sembrava un minuscolo motoscafino, con tanto di onde ai lati, per raggiungerla.  L’altro giorno, una papera nuotava con tre piccoli nel lago aperto, ed uno si allontanava sempre… ma non c’erano le barche a nascondergli la mamma e i fratellini, mi sembrava di conoscerli. O no?

l’ex Macello (mica la macelleria sociale)

Del 25 luglio devo ricordarmi innanzitutto piazza Bologna, ore 18.55, probabilmente sono stata fotografata e mi arriverà la multona con cui mi levano i punti della patente. Stavo guardando dove andare in località semisconosciuta, e non mi ero accorta che c’era un semaforino, quando ho sentito ringhiare dei motori che si stavano avventando su di me… ho fatto una volata portandomi in salvo, ma che batticuore. Viale prima Lucania, poi Puglia, poi Molise… in punta di ruote cerco il 68, al 60 titubo, le macchine posteggiate sembrano infittirsi, posteggio. Arrivo al 68, mi siedo sul lato della scalinata, aspetto Laura. Davanti al Macao c’è un bel posteggione libero,: inevitabile, Murphy è sempre con me.

Aspetto Laura.   Qualche gradino  sopra è seduto un tipo, mi pare di averlo già visto, chissà in quale epoca della mia vita. Penso che invecchiando sto ringiovanendo, sto facendo cose che da ragazza non ho mai fatto, tipo questa, andare in un centro sociale che okkupa l’ex-macello. Ma anche il tipo sopra mi scruta, poi mi sorride. Il tipo sopra, Fiorenzo, si è ricordato dove mi ha visto,  a una riunione del Vanghè, aspettava Laura, e stava pensando che invecchia ringiovanendo, facendo cose che da ragazzo non ha mai fatto, tipo entrare in un centro sociale che okkupa l’ex-macello.

Entriamo seguendo Laura, e  mi sembra bellissimo, e tutto pulito e ordinato, nei limiti di un recupero dallo stato di abbandono.  Stanno scattando una foto, ci sono le lampade, il telo, la modella che si siede sulla chaise longue, è al sole.

Troviamo il tavolo del bando già nomato “cura”, ora “disagio mentale”, troviamo anche un Ferdinando,  troviamo un po’ di altri.  Insomma, di progetti su questo argomento, al Macao ne sono arrivati un po’, bisogna studiare come svilupparli. Non sono tutti presenti, complice l’agosto alle porte, si teorizza molto, cercando una strada da percorrere, perchè non c’è ancora una formulazione su cui lavorare, ed a questa dobbiamo pensare, a costituire una pallotta d’argilla, la costola da cui partire.   Comunque,  è assodato che il problema del disagio c’è, e l’arte si è dimostrata un ottimo coadiuvante,  se non la medicina stessa. Sono presenti alcuni che lavorano nel settore, due musico-terapeuti che scoprono di aver frequentato la stessa scuola, e Laura, e un altro che opera mediante l’attività teatrale. Un altro invece, internato causa depressione,  ha provato anche cosa vuol dire terminare la riabilitazione,  e tornar fuori, senza supporti di alcun tipo, ma ha reagito, direi, ed ora si sta dedicando a una raccolta di fotografie sui manicomi prima e dopo Basaglia. Sono presenti altre eterogenee persone interessate al discorso, habitué del luogo.  Al “presentiamoci” la blogger si è un po’ sentita morire, perchè nulla sapeva di recuperi mentali, semmai di alcuni casi  irrecuperabili a lei molto vicini,  nè sapeva di teatri e musiche ad hoc.
“Sono Cristina, svolgo un lavoro impiegatizio che non ha nulla a che fare con quello che serve qui, e sono qui perchè… perchè Laura mi ha chiesto se volevo venire, ed ho detto di sì.”
Certo che a sentirne parlare, poi ci fai più caso, ti rendi conto di quante persone intorno non stiano bene, già solo sulla filovia che prendo tutti i giorni per andare al lavoro. Ma un’immagine mi resta, dei discorsi sentiti in questi ultimi giorni,  ieri al Macao o ascoltando Laura alle riunioni.  Un riabilitato, che si sveglia alla mattina, solo nel monolocale assegnatogli, e inizia la sua giornata, come la passa,  cosa pensa,  che stimoli sente,  cosa cerca di fare,  in che direzione?
Cioè, non è un’immagine di desolazione, non viene da pensare alla sua estrema difficoltà?

Un gran traffico, per aria.

Nella piazzetta davanti alla casa di Pallanza, alla mattina presto  c’è un grande viavai di rondini chiassose, verso sera invece volano alti  i gabbiani stridendo, e sull’imbrunire ripigliano le rondini,  piano piano piano sostituite da qualche pipistrello, e gli usignoli di notte. Durante il giorno, il tub tub statico del piccioni, dal tetto di fronte, e il cinguettio di uccellini celati.

L’ora dell’aperitivo.

Stamattina, ed anche domenica  scorsa, dal Mausoleo di Cadorna, sul lago, si vedeva benissimo una delle famiglie Svassi, i genitori e due piccoli. I due piccoli, che cominciavano a fare le loro prime immersioni autonome, pigolano indefessi in attesa di pescetti che il padre portava loro nel becco riemergendo in superficie, e si vedeva imbeccare uno dei piccoli, e l’altro  incavolatissimo pigolava di più. In pieno sole e senza mirino, non riesco a vedere cosa inquadro, e cosi mi ero riproposta di tornare verso sera. Infatti verso le diciannove la famigliola era lì, a mollo, purtroppo  sonnecchiante.
C’era qualche pescatore,  nessuno di loro sembrava prendere nulla e visto che guardavo la famiglia Svassi si sono messi a parlare che sono uccelli dannosi e che si dovrebbe rompergli le uova nei nidi, perchè quando buttano nel lago gli avannotti, gli svassi se li mangiano.
Questi discorsi mi fanno crescere dentro una sorda rabbia. Se c’è qualcuno al mondo che devasta gli ecosistemi è l’uomo.  Ora, guardando nel lago, c’erano milioni di pesciolini che brulicavano, sia lì al Mausoleo, che all’imbarcadero, che ovunque, penso, è la stagione. Se li mangiano i pescioni, i gabbiani, i cormorani, non escludo che qualcuno venga catturato dalle più maldestre anatre, o da cigni e folaghe, che mi sembrano però più orientati sulle materie vegetali. Uno svasso si immerge, sta sotto un po’, e torna su con un pesciolino per volta, ma neanche sempre.  E si riproduce con un pulcino, al massimo due, e mi sembra abbiano una sola cova annuale, non si può dire siano infestanti.
Oltre alla bellezza, il tocco di rosso sul capo, ed i ciuffetti di circostanza,  sono anche interessanti, li ho osservati spesso e a lungo.
Mi pare di aver letto che, come per i cigni, la coppia è per sempre, ed hanno molta cura dei piccoli, che trasportano sul dorso, come la madre che ho fotografato stasera. Non vengono mai a terra, e li si vede anche d’inverno, a galleggiare sul lago ingrigito.
Si nutrono di pescetti e si immergono, e stanno sotto un bel po’, e non sai mai dove aspettarti che riemergano. Due anni fa ho fotografato un giovane svasso che si divertiva a pizzicare, da sott’acqua, i culetti delle anatre, le si vedeva saltar su, ed in un punto in cui l’acqua era più trasparente, si è visto il monello con slancio subacqueo in azione. Oggi, sorseggiandomi un aperol al tavolo del bar dell’imbarcadero, vista sul lago, profumo di fiori, uno svasso ha ricompensato la mia ammirazione e stima regalandomi lo spettacolo di una corsa sull’acqua.  Non so come mai, era solo, non era impettito come nelle cerimonie matrimoniali, in cui svasso e svassa corrono fianco a fianco sul pelo dell’acqua, per un bel pezzo, ma per me è stato emozionante lo stesso.
Quando mi sono mossa per andare a casa, ho provato a passare da un albergo. avevo visto su internet che fungeva da B&B, e volevo informarmi per  quando non avrò più la casa.
Entro, alla reception c’è un ragazzo, gli chiedo conferma se sia anche un B&B, vedendo solo la scritta Hotel, anche non fosse un granchè, per una sera o due ogni tanto, in riva al lago, a me va bene. Il ragazzo mi guarda, e mi chiede se posso parlare in inglese. Rimango un attimo interdetta, poi sfodero il mio inglese scolastico, insomma ci capiamo perchè mi dice che funziona solo come B&B  che la kitchen è closed, e mi dà un biglietto da visita. Non ho chiesto se è aperto tutto l’anno…Però è buffo che in Italia mettano uno che parla solo inglese.

Vanghè

La serata di ieri sera, per quanto interrotta, sono rincasata presto, mi è sembrata meravigliosa, e chissà cosa ho perso….
E’ stata un po’ una sorpresa, non avevo letto programmi precisi, e poi, se appena posso, a priori, al Vanghè vado, che si stia bene, che l’intrattenimento sia di qualità, per me è scontato, i programmi li salto anche.

Presenti, tanti, alla serata di “chiusura” delle attività della stagione 2011-12, che poi chiusissimo mi sa che non starà. Presenti anche tanti artisti, molti che proprio non conoscevo, ma d’altra parte non ho la presunzione di conoscere tutto e tutti, ho fatto per anni una vita tra lavoro famiglia, scuole, ed è dal 50esimo compleanno che mi sono regalata, e pretendo, di metter il naso fuori da quel circolo “vizioso”, ed il terreno da recuperare è tanto.
Così, oltre alla schiettissima poetessa Anna Lamberti Bocconi,  ho  ascoltato i cantautori, Folco Orselli e il milanesissimo Giangilberto Monti, e  Ruggero Dondi che si è cimentato con  poesie di Campana scritte da lui, con molta verve, e sorpresa, batteria basso tromba e chitarra, son scivolate via le note di tre brani di jazz.
E quando sono andata via si stava preparando Roberto Zanisi,
Con molta timidezza, quasi vergogna, si  faceva cenno ad un cartello, con delle formule di abbonamento per gli spettacoli del prossimo anno… ma che vergogna e vergogna, il Vanghè deve crescere e prosperare, che se lo scopo dell’associazione è supportare il disagio mentale, ci fa star bene anche noi, non ufficialmente mentalmente disagiati, ma tanto tanto stanchi  e ci piace trovare, in  via Bastia 15, a Milano, disperso tra  casone e capannoni, la fetta di mondo che ci offre il Vanghè.

 

 

Bianco Bric

Stasera, al Vinodromo di via Salasco 21, la mia prima dose di Festival della Letteratura di Milano, dove ho potuto rendermi conto di quanto  poco conosca le liste dei vini, ma secondo me le fanno complicate apposta, per dare un senso all’essere enoteca e non bar. Per forza, ci devono essere nomi sconosciuti ai più.  Perfino la macchina per il caffè è scostata rispetto al bancone, quasi Cenerentola, e chissà il latte, dove lo celeranno.
Così ho ordinato un Bianco Bric, perchè mi ricordava il nome del cane beige ed ispido  della ragazza di tantissimi anni fa di un amico  del capofamiglia.
E poi, non sono stata attenta a ordinare, insomma, è arrivato il vino solo, senza  neanche un cicinin di grana, o un’oliva da rincorrere.

Eccoli!

Il gruppo letterario è affiatatissimo, Luigi Carrozzo ha presentato Fernando Coratelli, Sergio Garufi, Franz Krauspenhaar, Marco Rossari ed i loro libri, Quando il comunismo finì a tavola, Il nome giusto, Le monetine del Raphael, L’unico scrittore buono è quello morto.
Per quanto riguarda i libri, di questi ne ho letto per ora solo uno, e quindi se volete accattatevilli, eccerto che vai ad una presentazione  e ti viene voglia di leggerli.  Anche se a dire il vero qualche volta, non questa, mi è successo di pensare “quel libro non lo comprerò mai”.
Volevo spendere due parole su questo Primo Festival. La parola Festival per me è molto abbinata al mondo della musica.  Quando non si tratta di musica, Festival mi evoca gli sconti dell’Esselunga, Festa del Maiale, Festa dell’Uva, o, in gennaio, Festa del Bianco, che non era perchè cadeva la neve ma perchè c’erano gli sconti sulla biancheria di casa.  Però, al momento, non ho un’alternativa da suggerire.
Spero che questo Festival riesca, per tutta una serie di motivi.  Intanto, è nato dal “basso”, cioè non da un’iniziativa imprenditoriale dei grandi editori, ed hanno collaborato un sacco di volontari. Il Comune non ha stanziato fondi, si vedrà l’anno prossimo.  Milano è piena di piccole iniziative culturali, poco pubblicizzate, magari questa manifestazione risveglia un po’ di attenzione: ricordo per un paio di anni, 2009, 2010, una sorta di piccolo Salone in via Tortona, in ottobre, ma nel 2011, che ci sia stata o no, non mi sono accorta.  Insomma, la cultura non sono solo le grandi case, i grandi nomi, i grandi teatri, occorre prenderne atto  e dare  la possibilità di sopravvivere anche ai piccoli e medi, e la grande Milano ha il dovere di concedere spazio,  questo Festival ci deve, ci dovrà  essere.
Ecco, dicono che Milano imita Mantova. Non so, di Mantova ho sentito dire, non ci sono mai andata, sono stata a Torino e Belgioioso.  Mantova certo ha il vantaggio di essere più raccolta, rispetto Milano, però non mi sento di giudicarla, questa manifestazione, che è solo all’inizio, e mi sembra, come esordio, già abbastanza ricco: è alla fine, che si tirano le somme, e  su queste si elaboreranno nuove idee.

Overdose da moquette.

Tre giorni di Salone, o Fiera, del Libro, sono troppi. Non per l’oggetto libro, poverino, ma per il rumore, e le code per tutto,  e i prezzi del ristorante, che quando ho visto una macedonia rovesciata per terra vicino ad una cassa, sono trasalita… “poveretto…. ma pensa se gli fosse caduta la tagliata coi pomodorini…”
Non ho granchè da raccontare, che non abbia magari già detto nei post degli anni scorsi, perchè più o meno le cose sono quelle, cioè, non è che un libro lo puoi mettere in mostra in tanti modi diversi: con l’ebook può solo peggiorare.
L’impressione che il titolo Primavera Digitale nascondesse una sorta di timore nei  confronti dell’ebook, una specie di non capisco ma mi adeguo, un aggirarsi” sì ma il bisnes qui come si fa?”
L’impressione che gli stand fossero meno, più che un’impressione, credo sia la realtà. I NEI, tutti vicini vicini in uno stand come piselli nello stesso baccello, L17 era un allegro punto di ritrovo.
Ho imparato che è inutile appuntarsi gli eventi, all’appropinquarsi dell’ora, sempre che ti ricordi di guardare l’orologio, sei immancabilmente dalla parte opposta del Salone (o Fiera) e la traversata è ardua, incontri un tot di persone che non avevi ancora visto, e allora e saluti e di qui e di là, e ciao l’evento.
L’impressione che di libri ce ne fossero meno,  ma ci fosse anche meno fuffa: gli altri anni mi  guardavo intorno e mi sembrava che di roba se ne pubblicasse troppa, come potevano essere  certi  di avere un mercato sufficiente  per rientrare delle spese me lo chiedevo, mi chiedevo se se lo chiedeva anche l’editore, forse no, o forse sì ma era la forza della disperazione, non arrendersi.
Vado al Salone ed evito come la peste i grandi nomi,  portatori di calca: tanto quelli, li vedo volendo in TV, o sui giornali: benvengano però,  se portano gente in mezzo ai libri
Anche quest’anno l’apparizione: Saviano in mezzo alla scorta, minutino, in mezzo a uomini robusti vestiti scuri, tutti, e sale sulla macchina.   A me fa dispiacere, pensare che debba vivere così, povero ragazzo.
Giravano la trasmissione che sto vedendo ora, e leggiucchiando anche qua e là su FB mi chiedo perchè avercela con lui: se riesce con  Fazio a portare al gradimento di un folto pubblico questo tipo di trasmissione, fa solo del bene,  dobbiamo spurgare l’educazione televisiva del Berlusconismo, quella che ha ostracizzato la cultura dalla TV e si può dire dal quotidiano, ha ristretto le menti. In questa trasmissione ti parlano, ti raccontano, e tu devi ascoltare, mica guardare le figure. Cosa fanno di diverso quelli che lo criticano? Parlano, scrivono, cioè quello che fa lui. Saviano è diritto, incisivo: è capace di farsi ascoltare, mica è cosa da tutti.
Al Salone evito di comprare i libri che troverei  anche in una qualunque libreria sotto casa, perchè appesantire la valigia in treno? Però, è il momento di fare man bassa negli stand dei piccoli e medi editori, quelli che soffrono di mal di distribuzione… ne ho preso però uno solo, allo stand K09 Stampa Alternativa, ah, no, anche il librino di saggezze feline.
Ho assistito a un dibattito, c’era Cortellessa, la Carbone del Manifesto, Vincenzo Ostuni, Achille Mauri, ed è inervenuto Giulio Milani, insomma, un parto TQ, se ho ben capito, perchè io ascolto ma poi perdo il filo, insomma,  nasce una sorta di editoria “bio” sugli scaffali delle Coop. Libri certificati per contenuto, lavorazione, e per giusta retribuzione delle persone che vi hanno lavorato.  Una specie di razza ariana del libro, a me è suonata così.
Ma a me, quello che piace del Salone, o Fiera,  del Libro di Torino, è Torino. Secondo me a Torino le sedie di velluto, i cuscini di raso, le cornici d’oro, anzi doro, te le tirano dietro, ne hanno dappertutto.
La padrona del mio B&B ha messo i cuscini di raso anche sulla vasca,  e per di più io volevo la  stanza con la doccia, mica la vasca. Poi, c’era un cuscino anche vicino alla doccia.  E in largo Saluzzo suonano il contrabbasso sul gradino di una chiesa. Ed io un pezzettino alla volta, Torino me la vedrò, no?