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Un paese sperduto

Lorenzo mi aveva scritto in sms, è un paese sperduto, di quattro o cinque case, una è caduta quest’inverno.
22587_10206822128540200_4898488285298768796_nEra vero.  Uscita dall’autostrada ad Arquata, giri a destra e praticamente vai sempre dritto costeggiando lo Scrivia, che non ricordo di aver mai visto con più acqua che il rivolo che scorre anche oggi in quel letto ampio.  Eppure, vedo anche un cartello, Pesca Sportiva.
Vai sempre dritto, costeggi lo Scrivia, e il mondo sparisce, si diradano le case, le macchine, si corre tra le montagne ancora brulle, un leggero accenno di verde, le immagino verdissime tra un paio di settimane. Dobbiamo arrivare a un tale ristorante, fare uno squillo all’anfitrione, che ci verrà incontro sulla strada. Così facciamo, ristorante, sosta, squillo, si riparte.
Terrore, per me… strada in salita – che dopo sarà in discesa – ripidissima strettissima, con curve a gomito, sgarrupata, che sembra di fare la curva e non trovare magari l’asfalto sotto la ruota anteriore a valle… Il mio  supplizio è durato per un po’ di curve, fino a quando non abbiamo visto Lorenzo  e le due bimbe che ci aspettavano.  Ho anche ringraziato il cielo di aver costretto il capofamiglia ai soli fini anagrafici a far benzina, non lo sapevamo ancora , ma eravamo all’ultimo distributore sulla strada che dovevamo fare, e quasi in riserva.
Ci siamo avviati, noi cinque ospiti e il cane Boris,  dietro  Lorenzo… la casa in rovina, era in vendita per ben cinquemila euro, prima di accasciarsi.  Andiamo ancora poco oltre, ecco, la casa di Lorenzo, acquistata da suo padre poco tempo prima di morire.
Forse ho un po’ perso lo spirito da pioniere…   non so perchè una persona di una certa età si vada a cacciare in un posto così… il negozio di alimentari più vicino è a mezz’ora di macchina- compresa la strada tutta a curve di cui dicevo prima – non andiamo a pensare a medici, farmacie, o addirittura a un mercato.  Non è che neanche puoi dire, in cinque minuti sono al mare, che in linea d’aria non sarebbe lontanissimo.
Ora non voglio parlare del piacevolissimo pranzo di Pasqua, del piacere degli affetti familiari, dei tre cuginetti affiatatissimi o del cane Boris che si rotolava nell’erba ed ha potuto passare una giornata senza guinzaglio, ma del silenzio e della solitudine.
Le famiglie delle altre case non c’erano, non abita nessuno lì. C’erano, nella casa più in alto,  Renato e Laura, Renato abita a Novi Ligure e viene nel fine settimana a lavorare la sua terra.
Tra queste case, tu  esci e per non perderle lasci le chiavi nella serratura,  tanto non c’è nessuno, quando torni  dalla passeggiata.
11133714_10206822152380796_8131098375541657609_nFuori è tutto silenzio.  Puoi vedere i daini, nelle ore giuste, e quando fai la diabolica strada, devi fermarti perchè la famiglia di cinghialini sta attraversando la strada. Di lupi, diceva Lorenzo, qualcuno ce ne è,  ma lontano da lì.
Si è talmente soli, che anche i vicini, d’estate, quando ci sono, sono simpaticissimi, dice la moglie di Lorenzo, e magari se tu li conoscessi in un contesto affollato, non lo sarebbero. Non puoi scegliere, quindi scavi il meglio dalle presenze che ci sono, e ci si aiuta tutti.
Forse, la sera, qualche puntino di altre case illuminate, sparse lontano nella valle, lo si vede.
Il Renato tiene uno spaventapasseri elegantissimo, forse più una presenza, che uno spaventapasseri, di primo acchito, mi aveva spaventato un po’.

Il piccione Pinguino

Oggi mi sono ritrovata a fare la nonna: hanno danneggiato il tetto della scuola materna per rubare delle lastre di rame,  ed oggi è stata dichiarata inagibile.
Così il povero cinquenne mi ha dovuto seguire dalla commercialista e in  Banca, ma ha ripreso vita quando dopo la Banca gli ho ventilato l’idea di pranzare al Mc Donald’s di Piazza Duomo.
Non sono mancati momenti emozionanti per Luca quali
la stragrande quantità di piccioni (dopo andiamo giù a conoscerli, Luca?),
la Madonnina che è d’oro (fosse stata di rame non sarebbe più lì da un pezzo, immagino),
il pullman a due piani, col piano di sopra senza tetto (piove,   il tetto lo hanno poi montato, credo che i sedili fossero ormai come  catini ricolmi)
Certo il ragazzino è di una spigliatezza… avevamo  quasi finito il nostro pranzo, quando due studentesse si sono sedute al tavolino vicino, al posto di una signora giapponese sempre al telefono, ed hanno cominciato a parlare di Università e di una laurea da rimandare a luglio. Luca si è fatto attento e quando ha sentito “luglio” ha dato segni di voler intervenire, dicendo  “luglio è il mio compleanno”  prima piano, e poi ripetendolo con voce un po’ più alta sino a quando le fanciulle non gli hanno dato retta, e  sono così cominciati gli scambi culturali: le studentesse si chiamano Alice e e Nancy, e tutte e tre abbiamo inserito nei desiderata la stessa sorpresina dell’Happy Meal, uno Snoopy in veste egiziane. Al momento del commiato hanno ricevuto in dono il foglietto delle soprese.
Dovevamo ora conoscere i piccioni.
Oh, Luca, guarda, Martino, e quello lì si chiama Ernesto, visto come va svelto?
E quello marrone nonna? Ah quello è Sergio.
E quelli Luca sono Napoleone e Bruna, Napoleone è molto innamorato di Bruna e le cammina sempre dietro,  vedi come gonfia il collo, vuol far vedere come  è forte.  E là c’è Boris, e anche Alice, come la ragazza di prima
Anche quelli nonna?
No, sono  quelli sono Enrico e Bianca, sono solo  dei chiacchieroni. E sta arrivando di nuovo Martino.E quello là che è tutto incerto che va un po’ di qui un po’ di là, sai perchè fa così?  Si chiama Pinguino.
Pinguino?
Sì l’hanno chiamato così, e gli dicono Pinguino!, e lui resta incerto, non sa se rispondere, gli viene sempre da pensare,  ma io sono un piccione, e quelli ripetono Pinguino! Arrivi? , e lui si sente in confusione, non sa più se è un piccione o un pinguino.
Luca si fa pensieroso, ne approfitto per prendere la direzione di casa.
Attraversando la strada, Luca mi dice:
“Nonna, senti, io però lo chiamo piccione”

ESERCIZIO DI LOGICA.

 

 

 

 

 

 

SCENARIO:
Golfe Juan(France):  Capofamiglia, figlia, nipotino, cognata
A casa sua a Milano: nonna, altresì detta mia suocera.
A casa mia a Milano: Io.

SMS di mia figlia da Golfe: la nonna dice che il papà torna a Milano giovedì.

C’è qualcosa che mi sfugge, anzi no, non mi sfugge affatto.

 

Al telefono

Ieri :
-Cristina, guarda, la mamma oggi è caduta dalla carrozzina, si è sporta per prendere un oggetto, ha picchiato la fronte, le hanno messo  un cerotto,  forse una costola, ma tutto a posto, mi hanno avvisato poco fa – mio fratello, al telefono
-Ah, meno male, perchè sono sola a Milano e ho anche la febbre alta.
-Cristina, guarda volevo abbracciarti, muoio stanotte e sono arrabbiatissima con questa casa  che non vi hanno avvisato in tempo perchè veniate qui – la mamma con voce quasi stentorea,  certo meno morente di tante altre volte.

Oggi
-Mamma? Mamma?
– Pronto? Pronto?
-Mamma? Mamma?
– Pronto? Pronto?

Viva, è viva, ma ha il telefono al contrario?
-Pronto buongiorno sono la figlia della signora mia mamma, non riesco a parlarle al telefono
-Vuol sapere come sta? Sì adesso un ragazzo va a sistemare il telefono.  Oggi la teniamo ancora a letto,  a riposo
– Mamma?
– ciao sei Cristina? come  stai?
– così così, ho un po’ di febbre, e tu hai smesso di buttarti dalla carrozzina?
-non capisco non sento Maria Teresa, aiutami, non sento cosa mi dicono, uffa non viene mai nessuno,  Maria Teresa ascolta tu.
-Maria Teresa volevo solo salutare la mamma e sentire come stava…
– Signora sua figlia vuole sapere come sta
-bene grazie Giorgio non hai più la febbre? guarisci presto.
Chiamo mio fratello.
– ho chiamato la mamma, sta bene, la tengono a letto ancora oggi, un casino la telefonata, alla fine ha concluso che ero il Giorgio.
-Ah  così non la devo chiamare, è come avesse già parlato con me. Tu devi chiamare la mamma, Cristina.

Riepilogando

m quadretto acquarellosoMichela va a prendere l’armadio mercoledì alle 14.  Dentro all’armadio ci sono il vassoione d’argento e una borsa di scarpe della mamma e una altra di vestiti.

Ho scoperto i due giacimenti ulteriori di cose della mamma, sotto il letto blu (che non ho avuto il coraggio di tirare giù ed è ancora col materasso su)  e negli armadi della Clara, poi li porterà lei con il Mimmo.

Sul letto di metallo in camera mamma c’è tutta la biancheria di casa: lenzuola, salviette, tovaglierie, coperte di lana, sono grosso modo impilate per… argomento.

Ci sono il battipanni, un bastone e le cose dello stiro.

Nella cassapanca oltre a sacchetti ci sono un sacco di cose di elettricità, il Beghelli etc.

In camera Clara ho trafficato al buio, vuoto armadio e cassettiera, c’è il tappeto che forse è un peccato lasciare se non lo prendi, io con gli animali non lo uso.

Ecco, le cose piccole sarebbero portabili all’usato (sgabelli, lampade) le cose grosse no  perchè non saprei dove tenerle nel frattempo (potrei andare il 22 marzo, forse, a me piace quello di Intra, lavora bene)

Bagni vuoti entrambi come mobilietti, cioè lasciati solo detersivi e carta igienica, tolti farmaci profumi vuoti  etc ci sono sui lavandini saponi e cose per la barba e disinfettanti.

salotto  anticamere tutto a posto, c’era poco, ho dimenticato di svuotare la scrivania del papà, lasciate ciafrusaglie in vetrinetta, i maissen sono sbeccati  ma non sapevo se buttarli lo stesso.

Cucina buttato via tutto l’alimentare tranne zucchero caffè sale e un pacco di spaghetti non scaduti, buttate via le tazze sbeccate, lavato le cose che c’erano lì da lavare (lo scaldabagno era acceso, ho lasciato giù la tapparella e un filo di finestra aperta) .

Ho rimesso tutte le 4 chiavi dell’armadio della mamma che erano nel cassetto.

Ho lasciato fuori: gli attrezzi elettrici di cucina, così li vedi se ti interessano: il grill grandino TEFAL è ottimo per fare le cose grigliate, tipo la verdura e così, ce lo ho uguale, ti consiglio di tenerlo. Fuori anche i coperchi grandi, perchè se avevi preso le pentole grandi, magari sono i loro coperchi. Fuori anche calici e bicchierini, all’usato li prendono basta siano 12 e lo sono. Il servizio di posate nero nella zuppiera dorata è completo, da 6, e bellino. Nell’armadietto a vetrina ci sono anche 6 tazze da caffè con piattino, e  set di teiera etc bianche, sicuramente vendibili all’usato. Stesso criterio insomma per le altre cose esposte: se non le prendi tu le prendo io e provo a portarle all’usato. Ah, le pirofile, qualcuna mi serve (ne ho rotte un po’) una grande rettangolare l’ho già presa (ce ne erano due più o meno uguali).

Non ho toccato il letto di ottone pensando che magari ci ridormi, e neanche ho riguardato gli armadietti sul balcone, ormai era buio, sono andata dopo la mamma.

La roba che è a lavare cosa faccio? mica si può lasciargliela nella cesta e nella lavatrice.

La porto a casa la lavo e magari la prende la Rocio? ho guardato e c’era una felpa, che ti ho messo in anticamera, il resto mi pare biancheria e asciugamani SE&O.

 
Cristina

La questione dei doni di Natale

Quando ero piccola era fuori discussione, la lettera si scriveva a Gesù Bambino, che ti portava i doni. Nessuna spiegazione di come facesse un neonato a far tutte quelle cose,  era implicito, dal momento che era praticamente Dio  e già aveva creato il mondo in sei giorni, solo in un secondo tempo creò il calcio per non annoiarsi la domenica.
La Befana mi convinceva di più,  le si lasciava su un tavolino del pane, del latte e una mela, ed alla mattina trovavo la tazza vuota, e delle briciole, segno indiscutibile del suo passaggio. Era evidente che si era portata via la mela, perchè mancava il torsolo e il picciolo: mio padre, persona onestissima, era tanto avveduto che forse avrebbe potuto pensare il delitto perfetto.
Quando erano piccoli i miei figli, ho dovuto mediare, tra un Babbo Natale in espansione e Gesù Bambino che cercava di tenere la sua posizione, c’erano opposti schieramenti, come per Beatles e Rolling Stones, Mina e Milva:  insomma,  Gesù Bambino era una sorta di capo d’impresa che  dirigeva il traffico di doni sguinzagliando i suoi Babbi Natali per ogni dove.
Ora, che è piccolo mio nipote e sono di nuovo addentro alle questioni dei bambini, mi sembra che di un Gesù Bambino, portatore di doni impacchettati e infiocchettati, non se ne senta più parola.  Mi sembra, magari mi sbaglio: forse è anche meglio, si fa meno confusione con i doni che può portare Gesù Bambino, e ci sono altri Natali, lo ricorda oggi, vigilia di Natale,  un articolo di stampa in modo molto molto efficace.

La scorta

Mi ricordo, quando andavo a trovare l’Angela nella casa di riposo delle Suore Misericordine di Monza, era contenta della sua stanza che dava sui prati, anche se i suoi pensieri non spaziavano più  e ripeteva sempre le solite cose, con rinnovato entusiasmo, per lei erano sempre una novità.
Le suore combattevano con lei un’aspra battaglia,  come uno scoiattolo chiudeva nel suo armadio i resti del cibo per nasconderlo, infingarde volevano sottrarle questa sua ricchezza per trasferirla nei loro frigoriferi.  Mele, biscotti, mandarini, perfino il Certosino  – giustamente un formaggio clericale, mica President o il Bel Paese.
Angela ora non c’è più, e mia madre, la sua “padrona” – mamma mia che termini orrendi si usavano una volta, eppure il loro rapporto era questo  e si dipanava nelle più ovvie rivalità casalinghe –  le va somigliando, ma se scherzando le dico, Mamma, ormai sei come l’Angela, che ripeteva sempre le stesse cose, lei si arrocca. Eppure, ad Angela tutti noi famiglia possiamo solo essere grati, era una di quelle persone estremamente generose che passano la loro vita prendendosi, con cura, cura degli altri.
– Cristina, quando vieni ho una cosa da darti – mi ha detto un giorno al telefono dalla casa di riposo la mamma, tutta misteriosa.  Mi passa, a pranzo, un cartoccello fatto  malamente con un fazzoletto di carta – Guardalo  a casa, cos’è!
Purtroppo, il pacchetto non era fatto bene, e sono sgusciate fuori delle bustine di zucchero.
Gliele danno con la colazione,  non le usa, teme che le buttino via e allora le nasconde nella borsetta, per evitare lo spreco. A me fa sorridere, la mamma ha perso appartamento, soldi, gioielli al gioco, ma ci ha sempre fatto prediche perchè noi figlie fossimo attente a queste piccole economie.
Questo week end era invece il turno di una fetta di pandoro, infazzolettata nella borsetta. Domenica la tirava fuori e mi diceva “La vuoi tu da portare a casa? ” e ne sbocconcellava un pezzetto, con le dita incerte. Le sembrava un tesoro.
Per questo mi è tornata in mente l’armadio dell’Angela e il Certosino. Mi chiedo se sia un istinto o un gioco della loro mente,  questo loro essere provvide scoiattoline, una conseguenza della perdita di autonomia, un modo di mettersi al riparo, una protezione  perchè non si sa mai.

Il Do

La villa di Stresa dei cugini per me  bambina solitaria in vacanza era un paradiso.  Credo che lo possa essere per chiunque apprezzi la bellezza e certe atmosfere.
Innanzitutto, era in riva al lago,  mentre la nostra  era più in alto,  e in darsena non ci si ndava  quasi mai;  lì invece si poteva fare subito il bagno, e poi si pescava, tutti insieme. Qualche persico, ad esser fortunati, e gobbetti colorati, cioè i persici sole, e poi c’era la danza delle alborelle,  così l’aveva chiamata Camillo, la moltitudine di pescetti che si incuneavano tra le rocce e facevano baluginare i loro  argenti. Poi in giardino c’era una tartaruga, Soffione, tutte le volte da trovare dove si era nascosta, e  poi la tenda grande, il ping pong, in primavera i rododendri perfino arancioni, e la pianta sensitiva, e la loro nonna che al suo compleanno invece di ricevere i regali li voleva fare lei, e questo mi ha sempre strabiliato. Io ero spesso sola, tranne quando venivano loro a giocare da noi, ma preferivo quando andavo giù io da loro.  Non c’erano solo Camillo e Marella, ma anche i loro cuginetti più piccoli, l’Andrea il Giovanni il Carlo e il Pildo, e qualche volta loro amici.
Oggi mi è venuto in mente  il Do, non so perchè, forse perchè stavo ascoltando musica e lui suonava il pianoforte, dava lezione a Camillo.  Il Do, non re, mi, fa, sol, la… forse la nota più… al maschile?  Il suo nome era Franco Verganti.  Non è che abbia dei ricordi personali, solo, una volta che era finita la lezione, Camillo veniva a giocare, e veniva spesso anche il Do, ed inventava qualche gioco… mi pare di ricordare una specie di mini caccia al tesoro, diceva un colore e si doveva portare qualcosa di quel colore.  A me che venivo da una famigllia bancaria faceva specie  l’idea di un maestro di piano che veniva in vacanza con te, ma di sicuro non era  strano nella casa della musica per eccellenza.
Me lo ricordo già un po’ in età e con non troppi capelli, in questa foto era evidentemente più giovane.  Ora che ho un po’ a che fare con la musica, marginalmente,  il Do mi è forse tornato in mente come esemplare ravvicinato di pianista,  e sarei curiosissima di ascoltarlo oggi, che ci capisco un po’ di più.
Così,  ho spulciato un po’ su Google,  e oltre alla foto ho trovato questo libretto di partiture, si doveva essere molto dedicato alle nuove leve pianistiche, e un accenno qui, uno dei due pianoforti nell’esecuzione con Renata Scotto della Petite messe solennelle di Gioacchino Rossini. E quanto alle esecuzioni, ho trovato appunto solo questa!

 

Quattro generazioni a pranzo – e anche dopo pranzo.

Non è facile parlare di qualcosa con la mamma, orma fa confusione con le nostre stesse parentele, ogni argomento si complica. I suoi favoriti sono questi: la divisione dei gioielli e degli argenti rimasti, come faremo con tutti i suoi vestiti, quanto è preoccupata per mio fratello,  la morte e l’ultimo arrivato, l’acqua minerale che è diventata amara.
Oggi, a pranzo con lei, mia figlia Michela e il nipotino Luca, cerco di parlare – almeno – del tempo, aggiorno il meteo sul cellulare fermo al venerdì, e annuncio:
– Sarà bel tempo sino all’altro martedì.
– Che data?-chiede mia mamma
– Il 10 dicembre
– Ah, ma io sarò morta, devo morire il primo.
Faccio finta di nulla – Oggi mamma? Oggi è il primo dicembre, hai scampato novembre, che noi di solito muoriamo a novembre.
– io quando muoro?- chiede Luca.
– eh te ce ne vuole! -gli rispondo
– E’ vero – dice serafico – prima devo diventare grande!

Quando mia madre dice il primo, come data, in realtà intende il 20 gennaio prossimo, il suo centesimo compleanno. Teme che, compiuto 100 anni, le tolgano la pensione, forse perchè l’ha presa per troppi anni.  E comincia la tiritera dei gioielli, nella quale il nipote Lorenzo è suo marito, mio figlio suo figlio, per fortuna lasciamo cadere il discorso complicato:- Ma muoio e poi vedete voi!

Mia figlia le chiede: -Nonna che regalo vuoi x Natale?
La nonna: -Voglio morire
Interviene l’esperto, Luca: – Ma Babbo Natale non te lo porta!  Quella la porta l’Angelo della Morte che viene dall’oscurità profonda.
La nonna tergiversa, l’Angelo della Morte non lo vuole, e Luca insiste: – Ma l’hai detto tu che vuoi morire!
insomma, questa faccenda va sistemata: lo vediamo correre verso la finestra del salone della casa di riposo, e si alza sulla punta di piedi, fuori ci sono gli alberi del giardino di una scuola media. Sentiamo la sua vocetta gridare sottovoce, chiama: – Angelo della Morteeee Angelo della Morteeeee.
Poi cambia postazione alla finestra, l’Andreina, una compagna di banco della bisnonna, lo va a salutare – Luca bellissimo cosa fai?
– Chiamo l’Angelo della Morte per la nonna.
Andreina arriva da noi ridendo, poi arriva anche il Luca, e prende il berretto della sua mamma – Mamma dammi questo, mi serve!
Torna alla finestra, e sventola il cappello, come per farsi vedere, e di nuovo “Angelo della Morteeee”
Insomma, lui era tranquillo, aveva fatto il suo dovere per accontentare la bisnonna.
La bisnonna era diventata insolitamente lucidissima e temeva che il bambino di notte sognasse queste cose. Anzi, sembrava  scaramanticamente imbarazzata.
Discorsi allegri e sereni, a pranzo e dopo pranzo,  tanto da toccarsi quegli attributi che noi donne non possediamo.

Mariangelona

A saperlo, mamma, l’ossigeno te lo facevamo respirare prima, o forse bastava un po’ di cortisone, sembra che tu abbia dismessa la scontentezza che ti accompagna da quando mi ricordo di te, che non andava mai bene niente, sei perfino sorridente, e non piangi come facevi spesso prima di stare male.
Mi rimproveravi che ero cattiva, che non capivo quanto soffrivi relegata nella casa di riposo, non avevo parole carine e, soprattutto, non ti davo un bacio quando arrivavo e quando andavo via, dimenticandoti che non sono mai stata espansiva, e che se venivo sempre nei fine settimana, qualcosa voleva dire, anche se non ti baciavo.
E’ quasi preoccupante vederti meno brontolona, e remissiva, questo per te sarebbe l’esser fuori con la testa? che se ci fosse ancora il papà direbbe che sei sempre stata un bastian contrario, che ti eri messa a fumare in tempo di guerra, quando non si trovavano le sigarette e bisognava prenderle alla borsa nera.
nonnaMa tu non sei tu fuori con la testa, è la tua vecchiaia, i tuoi cento anni il 20 gennaio 2014.
Tu continuavi a dire che non volevi festeggiarli, e volevi morire prima.
Da anni dici, in novembre, che muori, che in novembre è morto il papà, le due tue figlie, novembre è il nostro mese, e giovedì scorso sul finire dell’ottobre hai fatto la prova, ci hai fatto spaventare, forse ora sei più serena perchè hai visto che non eri sola, continuavi a dire che non volevi morire nel letto lì da sola.
Ossigeno, cortisone, antibiotico alle due del pomeriggio, e già alla sera facevi di nuovo le smorfie dietro all’infermiera, quella che dicevi che sembra una scimmietta, forse non ti avrà sentito, perchè lei ti chiama Mariangelona.
Ma te sei tremenda con le infermiere, mamma, lasciatelo dire… oggi ce l’avevi con l’infermiera che voleva convincerti a stare sulla carrozzina e a non andare già a letto, dicevi che è diventata prepotente, prima era simpatica. Quando è passata in corridoio, hai detto a voce troppo alta ” Ecco quella strega”, ha sentito ed è andata via ridendo con qualcuna, ridendo e ripetendo Ha detto strega. Ma mica ti è bastato, quando la sudamericana ti ha portato il the, mentre usciva dalla stanza tu inclemente hai detto “questa è brutta ma simpatica” … in un solo turno te ne sei giocate due, di infermiere.
Oggi nel salone suonavano Violino Tzigano, e tu non c’eri, non c’eri neanche di sopra a fare merenda… eri nel letto, in penombra, e con la TV spenta…mi spaventi così, sai mamma?
Prima brontolavi sempre, telefonavi cinquanta volte perchè venissimo lì a mangiare puntuali… oggi non avevi telefonato impaziente perchè non arrivavo ancora. Vedi, però ora che non brontoli, ora che Highlander è vulnerabile, appari indifesa, è più facile preoccuparsi per te. Anche ora, mi sto chiedendo se stai dormendo, o hai di nuovo scambiato il giorno per la notte, e non capisci perchè ti tengono al buio… non mi hai ancora chiamato come l’altra notte, credendo fosse mattino, dicendomi che stavi morendo, che pensavi di toglierti dal pasticcio invece no, forse morivi. Tra due giorni, però, doveva cominciare novembre, mi hai detto lo scorso martedì quindi  tra due giorni saresti morta. Sconsolata hai detto alla Monica del bar  ” Si vede che non mi vogliono neanche lassù”
E’ un po’ come se avessi staccato gli ormeggi dagli orologi, e stessi fluttuando nel tempo, oggi ti aspettavi cominciasse l’estate e tuo figlio aveva 95 anni, dice sempre di sentirsi vecchio, mi hai spiegato.

Ricetta estiva

Prendete un’anguria, portatela in cucina.
Appoggiatela su un carrellino.
La gatta entra in cucina e si spaventa da morire vedendo quel coso verde minaccioso che prima non c’era, diventa lunga un metro, annusa circospetta, oscillando il capino da destra e sinistra, e se ne va, non convintissima.
Se non avete il frigorifero portatile per angurie, togliete dal frigo tutto quello che c’è e metteteci l’anguria: l’anguria si gusta meglio a temperature esterne intorno ai 36°-40°. Potete anche riempire la vasca da bagno di acqua fredda e mettercela, il nipotino alla sera sarà entusiasta di giocare con una astronave invece di paperelle e mini-pony.
Un’ ora prima di uscire di casa portando l’anguria da offrire nella serata, toglietela dal frigo, appoggiatela in piedi sul tavolo di lavoro,  controllate che stia ben ferma e tagliate come fosse un coperchio l’estremità opposta.
Ora, dovete solo svuotare l’anguria e tagliare il contenuto a pezzetti tipo macedonia, senza i semi, aggiungervi qualche cucchiaiata di zucchero e servirla dentro l’anguria stessa, usata come mastellone, e qui potete sbrigliare la vostra fantasia, sfoggiando  finalmente il corso di scultura che avete frequentato dieci anni fa prima di impiegarvi chessò alle poste.

Io ho optato per il sobrio mastello liscio.
Ora, per svuotare l’anguria, prendete un lungo coltello e passatelo al confine tra il bianco e il  rosso. Capovolgetela pure, non uscirà neanche un pezzo d’anguria. Allora con un coltellino tagliate uno spicchio più piccolo, guantatelo, cederà. Mettetelo in una terrina grande, perchè dovete andare avanti a togliere il resto. Ce la farete con Il coltellino, le mani, la paletta della torta, un cucchiaio. Poi, se volete allisciate col coltello il bordo interno, ma  a quel punto state già odiando l’anguria, posate il coltello grosso, state per diventare pericolose. Vi verrà anche il pensiero “forse dovevo usare un cavatappi”. Pensate anche: ma come ci stava dentro nell’anguria tutta quella roba lì? Niente paura, è la stessa sensazione quando cambiate casa e vi preparate per il trasloco.
Rincuoratevi: la gatta per tutto questo tempo ha fatto il tifo per voi, è soddisfatta della vostra vittoria.
Ora, dovete fare a pezzi piccoli, tipo macedonia, l’interno dell’anguria testè estratto, togliendo i semi. Dopo un po’ che lo state diligentemente facendo, vi accorgerete che dovevate cominciare due ore prima di uscire, non una sola, quindi, ricordatevelo per la prossima volta Ora siete in ritardo, non importa, dovete riempire l’anguria a un livello decente, avevate detto che portavate al Van Ghè l’anguria ora non potete andare senza.
Cospargete un po’ di zucchero, mescolate, chiudete con la pellicola cellophane e mettetele il suo coperchio, il pezzo tagliato all’inizio.
Andate, con un bel sacchetto robusto che non perda, mettete l’anguria nel seggiolino del bambino e… buona serata!

Murphy ed io

Quando al mattino ti svegli perchè il tuo gatto per imperscrutabili motivi atterra sul tuo posteriore, ivi aggrappandovisi…
quando vai da tua cugina senza ombrello, e si mette a piovigginare, e stai da lei finchè la pioviggina smette, e quando decidi di tornare a casa perchè ha smesso, giri l’angolo e arriva l’acquazzone
alla 23 di sera non puoi che  scoprire che tuo figlio, già rientrato a Ginevra, ha smarrito la tua auto, che  serve al mattino, e allora esci  nella notte a cercarla, mentre piove il piovibile.
Murphy mi ha concesso di ritrovarla, dopo quasi un’ora di giri per le  strade,  ma sono certa per un solo scopo: poterla riperdere.

Ora la paura

Era stanca di stare al pc,  anche un po’ annoiata, voleva andare a letto a leggere un po’; inoltre sentiva un indolenzimento al ginocchio, quello col menisco che fa un po’ gli affari suoi, ed aveva voglia di allungare le gambe. Le solite tappe prima di raggiungere il cuscino,  preparare le tazze e le caffettiere per la colazione, il  bagno, questa volta senza bucati da stendere, accendere la luce del comodino,  mettere in carica l’esoso android.
Conquistate finalmente le lenzuola, il libro di Rossana Campo da cominciare, stava leggendo la quarta di copertina, un po’ impicciata dalla fascetta rossa e dalle cartoline di Minimal Incipit che le avevano regalato comprandolo,  quando il capofamiglia, che era già a letto, si sveglia prestissimo la mattina, si gira brontolando dall’altra parte del letto, bofonchiando contro la luce, e dice di andarsene a leggere in salotto, ma lei dice di no, che dopo si addormenta là e ci dorme male. Tanto, sapeva che non avrebbe resistito a lungo con gli occhi aperti, la stanchezza prevale sempre.
Tempo tre minuti, si alza risentito e va sul divano in salotto, apostrofandola e portandosi la sveglia:  lei rimane un attimo interdetta, le viene da piangere, ma non è giusto che lui dorma scomodo che per andare al lavoro ha un viaggio lungo.  Lo raggiunge in salotto, ma lui non vuole saperne di tornare a letto.
Lei si siede al suo pc, ed accende la lucina smorzata che illumina i tasti:
“Dai vai a dormire comodo nel letto, sto qui, ascolto un po’ di musica come faccio di solito” lo diceva per convincerlo a tornare di là, pazienza se non leggeva, pazienza per la gamba, lo diceva piangendo, non le sembrava giusto che fosse così arrabbiato per una cosa così stupida e che non ci fosse verso di rimediarvi, se non con lui incavolato e scomodo sul divano, che non voleva tornare nel letto sgombro.
In risposta si alza dal divano “Ora ti spacco tutto!”  come, ti spacco tutto, e lei pensa al  cellulare in carica, che non potrebbe permettersi di ricomprare, lo segue, lui appare sulla porta del ripostiglio con un attrezzo in mano,  e si dirige al salotto,  la figlia esce dalla sua stanza, lo apostrofa, perchè la mamma  non deve poter leggere a letto se è stanca, tu lo fai sempre e lei non dice niente, lei sempre piangendo disperata corre nel salotto a prendere il pc, chiude il coperchio, lo stacca, resta immobile sulla sedia, chiude gli occhi, è esausta, ha paura, paura, paura…
Lui si sistema sul divano, lei torna nel letto, in preda a un pianto che sembra inarrestabile, piange il pianto di tutto il mondo, che quando ci si sente così, ci si prende addosso la tristezza di tutto.
I litigi, il dialogo impossibile, le minacce, sono cose di sempre… ultimamente  però la violenza non è più solo quella ricattatoria, psicologica, onnipresente,  da un po’ di tempo, è comparsa la paura, quella lacerante, e fisica.

Il dolore di mia madre.

Andare a trovare mia madre non riserva molte sorprese. In genere come arrivo ha da ridire se tengo la giacca aperta e prendo freddo, ho fatto più tardi di quanto ho detto, anzi, aveva detto lei, e si è dimenticata l’ora che  aveva detto.  In genere vengo accolta dalle esclamazioni dei tavoli vicini “ha visto signora che sua figlia è arrivata?”  e mi siedo al tavolo con un certo imbarazzo. Se mangio, non devo mangiare, e tante altre sue preoccupazioni di questo tipo.
Oggi, ancora uno dei suoi temi preferiti:
“Tuo fratello, tsè, è un bugiardo. Dice che mi telefona un giorno si e uno no, invece non mi chiama mai. E’ da quando ha quella donna lì che non è più gentile con me. Adesso lei ha la gamba rotta lo sai? La vendetta del cielo. ”  e comincia a venirle il magone.
“Mamma no, dai, ogni volta  dici è quella donna lì, adesso hai riabilitato la precedente, e va male questa, che quando eri da lui veniva sempre a trovarti, e cucinava, stava lì pomeriggi con te.”
“See see  lui non è più il bravo figlio affezionato di prima. Ma io quanti anni compio?”
“Il prossimo gennaio sono cento, mamma.”
Ha un’aria incerta “Ma io pensavo i cento di saltarli, di compierne 91. Ecco, compirò 100 anni senza avere rivisto tuo fratello, mai più, non verrà mai più a Milano”
“Mamma, lui abita in Veneto e non sta benissimo, è appena stato qui la settimana scorsa, certo che verrà ancora, non può farlo spesso come vorresti tu.”
“Passo le giornate aspettando che varchi quella porta” dice accennando con la testa all’ingresso.” e non mi chiama mai, se non lo chiamo io”
“Mamma sai che non è vero” ormai la mamma piange “mamma lo abbiamo visto anche l’altra volta sul cellulare,  ti ho fatto vedere le chiamate, che avete parlato”
“No, no, è un bugiardo, lui non mi chiama più”
“Mamma, ti stai facendo male da sola, vuoi ascoltarmi? Lui ti chiama, è qui sul cellulare, ci sono le chiamate col suo numero, quelle ricevute e quelle perse. Lui ti chiama, se non rispondi, ti richiama.”
Il discorso, giocoforza ad alta voce, si fa difficoltoso, non c’è verso di farle capire che non è come pensa lei. Mia figlia mi fa segno di lasciar perdere. Anzi si fa aggressiva. Sorride solo al bisnipotino “I bambini sono innocenti” dice, e io non sono per niente d’accordo, a volte sono crudelissimi “Adesso non rispondo più al telefono, così non può più dire che mi chiama.  Perchè lui fa finta, mi imbroglia, pensa di farmi passare per scema, perchè sono vecchia. Non ho più un figlio. Devo trovare qualcuno che tenga il telefono e risponda quando lui chiama, così sente che lui non parla, che fa finta di chiamare, che rimane scritto sul telefono che mi ha chiamato, e se lo dice un altro almeno gli credete, che non sono io che sono scema.”
Singhiozza, e mi sento gli occhi addosso, come fossi la carnefice della vecchietta, invece non so come uscire dall’impasse,  spiegarglielo, che il suo dolore è fondato su cose che inventa lei, per starci poi male.
Chiamiamo il suo figlio mio fratello, risponde, parla con la mamma. Poco dopo la mamma riprende a dire che è un sacco che non lo sente.
“Mamma, ma lo abbiamo appena chiamato”
“Ah si? E cosa mi ha detto?”
“Non lo so mamma, ci hai parlato tu”
Ci pensa su “Cosa vuoi che dicesse? Si certo che ti chiamo, stai tranquilla. E’ un bugiardo, non si fa mai sentire”.
E’ persa in questo loop, la sua mente appare come un muro impenetrabile, penso si renda conto che non si ricorda più bene le cose, e allora nega questa evidenza con tutta la sua forza. Alza le braccia, in segno di resa.
“Giuro, che io muoia qui all’istante se dico bugie, che tuo fratello non mi ha mai chiamato una sola volta.”  A quel punto, mi aspettavo un fulmine che,  ZOT , la colpisse, invece no, interviene con intento salvifico mia figlia, sua nipote diletta.
“Nonna,  davvero eri triste perchè hai litigato con la vicina di letto? Me lo diceva la Rocio”
“Chi io? Non litigo mai con nessuno, adesso anche la Rocio mi prende per scema”
Insomma, ce ne è per tutti.  Anch’io sono definita stronza, anche se con aria titubante perchè la parolaccia ai suoi tempi era forte,  perchè difendo mio fratello che fa lo stronzo: fortunatamente qualche minuto dopo vengo riabilitata, solo io naturalmente.
Sono tornata a casa esausta, continuo a pensare  a queste ore passate con la mamma, nelle quali ha quasi sempre pianto,  convincendomi che sta meglio quando non ci vede, e non le viene invidia della nostra vita a casa nostra, e sicuramente nel suo tran tran quotidiano si perde più via. D’altra parte come si fa a non andare da lei che è così contenta quando ci vede… per i primi cinque minuti, e comunque anche in quei cinque minuti manifesta la sua felicità brontolando su qualcosa che facciamo, se no non sarebbe lei, è il suo modo di sentirsi utile, immagino, non la ricordo diversa.
Credo che la perdita di autosufficienza pesi tantissimo sul suo umore, come è comprensibile che sia,  prima non piangeva così di frequente come da quando sta sulla carrozzina.
Alla sera mi chiama da un altro numero telefonico, le hanno prestato il cellulare, pare che il suo non funzioni più: mi chiede se lo ho bloccato in qualche modo quando ero lì  perchè era arrabbiata con mio fratello. Ovviamente no…

Il profumo di caffè.

Il profumo del caffè quando apro la vecchia scatola di latta nera, ed il coperchio ermetico. Una delle poche cose sopravvissute negli anni, con la caduta in disuso delle torrefazioni, dove il caffè lo si comprava in sacchettini, e te lo macinavano sul momento.
Ai tempi,  bere la sambuca con la mosca era ancora facile. Non sono una bevitrice di sambuca con la mosca, ma suppongo ora si sia fatta una faccenda complessa, devi rintracciare una torrefazione per comprare una manciata di chicchi di caffè, oppure il super ti dà l’opportunità di  comprarne una confezione da  minimo  250 g, ottenendo così una quantità di mosche che  ti seguirà tutta la vita, il loro aroma no, però.
Posso affermare con sicurezza che i barattoli sono gli stessi, perchè quand’ero ragazzina li ricoprivo di carta colorata e ne facevo portamatite.  Poi anche questo svago creativo divenne inutile perchè una marca di caffè, forse Suerte, forse Splendid, aveva inventato i barattoli non più di latta, ma di plastica, e tutti colorati. Mia sorella ne era gran consumatrice, e son di quelle cose indistruttibili che alla lunga diventano imbarazzanti. Il primo dici, oh che bello ci metto le matite. Nel secondo i pennarelli. Nel terzo forbice, righello. Nel quarto, i pezzi piccoli del Lego.  Nel quinto, le sopresine dell’uovo kinder dei bambini, ma solo quelle che si disfano sempre. Poi, i bottoni.  Poi le viti, le viti con la testa a croce, cioè la soluzione salomonica all’antico dilemma delle monetine.   Insomma, l’invasione degli ultracorpi era uno scherzo al riguardo. Credo di averne ancora nel box, e son passati più di quarant’anni.
Insomma, a me piace aprire il barattolo del caffè, per il profumo che si sprigiona. Al venerdì sera le caffettiere le preparo quasi tutte, un esercito di cinque, esclusa quella grossa grossa, la mattina del sabato è un avvicendarsi alla colazione. Ci verso l’acqua, la livello, ne esce un po’ sul piano di granito della cucina, resta invisibile, del resto essere invisibile è il suo lavoro da acqua pulita. Prendo la polvere, la sistemo nella caffettiera, livello anche quella. E’ un rito, va  seguito lentamente, con compunzione. Un po’ di polvere di caffè sfugge, cade nell’acqua, vi galleggia, in una relazione impermeabile e senza futuro. E’ un rito, ed i gesti abituali non occupano la testa,  e consentono  di pensare ad altro e restare  in silenzio, col cucchiaino che spiana le montagnette brune, e  debbo pensare tanto, no, qualcosa di meno creativo, debbo fare considerazioni e trarre conclusioni.