Sono salite credo in Piazza Trento, erano quasi le dieci di sera, ero soprappensiero, le ho viste lì, vicino all’autista. Impossibile non notarle, giovanissime, il loro profumo ha riempito il filobus.
Una parrucca di capelli lisci, biondo platino, nascondeva un po’ il viso della più minuta. Quella alta, con la giacca e la coda di cavallo, i capelli di un colore più naturale, sembrava la meno convinta. Ma la bruna, scollatissima e scosciata, era truccata magistralmente. Le labbra carnose rosso brillante, l’ombretto sino agli zigomi cosparso di brillantini. Il seno era florido e sodo, lo spacco del vestito lasciava intravedere la fine della calza a rete nera. Scarpe rosse, ovviamente con tacco da vertigini.
Sono sempre le mani e i piedi che le tradiscono.
La signora davanti a me le fissava con aria smarrita, tenendosi il bavero della giacca, aggrappata, che non le sfuggisse la mano a farsi un segno della croce. Non riusciva a non guardarle, e la invidiavo moltissimo, perchè invece io non le guardavo, ma avrei voluto osservarle bene.
Sono momenti in cui non sai bene cosa fare, vorresti essere naturale, in realtà sei curiosissima, se fai finta di niente temi che pensino che fai apposta a far finta di niente, se le osservi, temi che pensino “ma cosa hanno tutti da fissarci? andatevene un po’ a….”
Ma non è facile restare indifferenti… ricordo la metamorfosi del ragazzo del negozio di animali, le unghie colorate, i capelli, l’abbigliamento …. poi era lei.
Mi piacerebbe avere la sfacciataggine di fissarle, osservarne i movimenti, la mimica, carpire gli sguardi. La felicità e l’infelicità, i loro perchè. La loro famiglia, il loro divenire, le scelte e le vie obbligate. Che magari non sono tanto diverse dalle nostre che appaiono all’esterno meno colorate, meno disperate, più normali, come se fosse possibile supporre che esista un concetto assoluto di normalità.
Io sono scesa, loro erano ancora su, mi ero chiesta dove andassero… forse, non andavano ma tornavano.

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