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Il mio “nascosto” Bookcity

Il pezzo che leggerò dopodomani.
Io non so niente dell’Africa in Africa. Leggo, ascolto la tv, ma non sono mie esperienze dirette, e allora l’Africa che conosco è questa, riesco a scrivere di mie sensazioni, di pensieri, di cose che vedo e mi colpiscono. Non sono una scrittrice che crea storie, io riporto. Riporto le impressioni di una persona qualunque, che non si ritiene in possesso di verità assolute.

locandina 2019 bookcity

MAMAKAR
Ascolto, il venditore di libri ha agganciato il vicino dell’ombrellone davanti.
Chiacchierano proprio. Sembra che un altro “vu’ cumprà” non si stia più facendo vedere, aveva promesso di cambiare l’orologio spacciato con complicate funzionalità, chissà se allunaggio compreso, e che invece non funzionava per niente. No, lui, il tipo non lo conosce
Affabile, il venditore chiede il nome al nipote tredicenne del vicino, il biondo stravaccato sul lettino.
”Ah, ti chiami Nicolò… come De Nicola, il vostro primo presidente. Einaudi è stato il secondo. “
Stupita, tendo un po’ di più l’orecchio.Si chiama Mamakar, viene dal Senegal – ma non è alto! I senegalesi non sono tutti alti alti? – studia storia e filosofia a Dakar, viene in Italia a fare la stagione, per guadagnare il denaro per pagarsi l’università. Vuole diventare insegnante di storia in Senegal.
“T’è capì, ministro?” il mio primo pensiero di riflesso, ascoltandolo.
“Mica vengon qui solo per fare i delinquenti, ministro. Pensa un po’, arriva col visto turistico per fare la stagione con un progetto, cioè vuole tornare, laurearsi, e restare nel suo Paese, per migliorarlo col suo lavoro. Ovvero quello che dici che gli africani dovrebbero fare invece di buttarsi sui barconi per vivere nella pacchia a sbafo in Italia”.
Forse che i nostri ragazzi non se ne vanno via da qui? Hanno poche opportunità per costruirsi una vita, e quando all’estero hanno trovato un lavoro e accumulato esperienza, hanno comunque poche opportunità se volessero tornare a casa. Invece Mamakar ora è qui, ma si è disegnato il suo futuro in Senegal, a casa sua.
Oh, il venditore dell’orologio complicato è tornato davvero, con lo strumento nuovo e questa volta funzionante.
Noto, i venditori africani in spiaggia son diminuiti, ci sono loro due e a volte una splendida donna che incede con la cesta di vestiti sulla testa, ma non sono diminuiti gli ambulanti nel complesso.
Numerosi quelli arrivati dallo Sri Lanka, o insomma da qualche zona lì, che si salutano e si riuniscono ogni tanto a scambiarsi due parole, e così vedi questi accrocchi fitti di cappelli occhiali da sole e cesti appesi a pannelli e a manici di scope.
Il venditore di cocco di norma è italiano, quello di quest’anno è molto organizzato, propone ogni giorno una maglietta diversa a tema “Cocco”.

Caldo…sta facendo molto caldo, ma sotto l’ombrellone la mente corre lo stesso, tanto lei può farlo senza sudare.

La spiaggia, la sabbia del deserto, il mare, l’acqua potabile, Greta, il cambiamento climatico.
Dicono, noi italiani – prima gli Italiani – ne risentiremo presto, saremo la prossima Africa? ci rifugeremo nel Nord Europa?.

Siamo già stati emigranti… i Terùn dal Sud al Nord, e in Germania, in Belgio, nelle Americhe, e non sempre bene accolti, a svolgere i lavori più umili e pericolosi. Perché ora abbiamo dentro tutta questa acredine? E così poca memoria?.

Dicono, tra un po’ di anni i problemi climatici dell’Africa saranno i nostri, saranno di molti popoli.
E quindi noi qui ci prepariamo, vedo, costruendo bacini nelle Dolomiti per raccogliere l’acqua piovana e innevare le piste di sci: ci estingueremo, ma lo potremo fare sciando.
La Siberia brucia, l’Amazzonia brucia, bruciava anche la Sardegna, i ghiacci si sciolgono, dicono che dal permafrost riprenderanno vita protozoi e virus sinora rimasti sconosciuti, speriamo non tutti parenti stretti dell’ Ebola.
Di fronte a tutto questo non esiste Africa, Italia e i confini, e l’Amazzonia di Bolsonaro e il muro di Trump o le smanie di Erdogan.
Il pianeta se ne frega della nostra geografia politica e dei nostri regolamenti, il mondo è uno solo, le nuvole non vanno ovunque senza passaporto?
Tutto riguarda tutti e, preciso meglio per gli individualisti: ogni cosa riguarda ognuno.
Che si voglia o no, siamo tutti dentro nella stessa catena.

MY NAME IS ADIL

Alcuni pensieri dal  film che ho visto ieri, qui il trailer con la splendida voce di Alessandra Ravizza, alla Biblioteca di Baggio; il regista Adil Azzab era presente alla proiezione del film, la sala era piena.
adilIl film narra la vicenda di Adil, ovvero il regista del film, rimasto in Marocco con la madre e i fratellini mentre il padre si era avventurato in Italia.  Il ragazzino è costretto dallo zio, piuttosto violento ed amante del gioco e delle scommesse, a custodire il gregge di pecore e a fare combattimenti con un coetaneo, per ottenere in premio due scatolette di tonno.
Nonostante il forte  legame affettivo con i nonni e la madre, Adil sogna di andare altrove, avendo compreso il futuro che lo attende, finite le elementari, pastore di pecore in eterno  in una terra  piana e assolata. La madre lo capisce e fa avere un messaggio al padre, che impegna i propri risparmi per far portare Adil in  Italia.
Siamo nei primi anni 2000. Il ragazzino, che  sogna di fare l’elettricista, approda a Milano, dove aiuta il padre al mercato, riesce ad avere il permesso di soggiorno, va  a scuola,  e imparando la lingua riesce anche a stringere amicizia coi compagni di scuola,  a studiare e poi lavorare come elettrotecnico.  Quando la ditta chiude, un’associazione che si occupa di aggregazione sociale lo include nei suoi programmi insegnandogli la comunicazione mediale, e il videomaking.  Adil,  diventato collaboratore volontario nella nella medesima associazione, riesce così a raccontare la sua storia in un film, con i pochi mezzi a disposizione raggranellati con un crowdfunding, e girato con la funzionalità video di una macchina fotografica  Canon.
Un fratello  impersona Adil ragazzo nel film,  gli attori sono infatti gli amici e i parenti stessi.
Agli inizi del secolo  – ora, nel 2018, possiamo scrivere così – veniva emanata la legge Bossi Fini, ma se torno indietro con la memoria, il problema immigrazione non ricordo fosse sentito come ora, o meglio non lo si sentiva nel modo esacerbato e strumentalizzato e sfruttato come ce lo fanno sentire ora. E’ di oggi l’arresto in Francia di un uomo che aiutava una coppia di immigrati a valicare il confine nella neve, lei incinta. E la morte di una gestante ammalata di tumore, bloccata alla frontiera nella neve col compagno, portata davanti a un centro di assistenza, salvato il bambino col cesareo, nato orfano di madre e ora ricoverato a Torino.  Lei si chiamava Beauty, il suo compagno si chiama Destiny.  Sì, certo, di storie così ce ne sono tante, e di miseria quotidiana, anche nel nostro paese, anche di italiani. Ma sempre miseria è.  Miseria d’animo versus miseria di fatto.
Pensavo, ascoltando Adil regista che raccontava della nascita del film, “cosa è riuscito a fare, nonostante noi” .  Il ragazzo arriva a Milano, e resta sconcertato, così tanta gente, e nessuno sembrava vederlo.
Chissà se ora, adulto, avrà modo di progredire nel suo percorso.
Uno dei punti portanti del film è il senso di estraneità… sentirsi straniero in Italia, tornare nel proprio paese per ritrovare le proprie radici, e allo stesso tempo sentirsi cambiato. Non essere nè carne nè pesce.
Dalle conversazioni con il pubblico, è emerso che la stessa sensazione la prova chi è migrato al Nord dal Sud Italia.  Forse è una cosa che tutti noi italiani dobbiamo tenere presente.
Alla domanda “ma ora che qui hai studiato,  fatto esperienze, non provi il desiderio di tornare al tuo paese ed insegnare quello che hai imparato, aiutarli ad ampliare le prospettive di futuro lì?”  una forma velata di aiutiamoli a casa loro. Adil vorrebbe che tutti potessero studiare, perchè in Marocco chi sta lontano dalle città fa solo le elementari.
Ho solo voluto appuntare alcuni pensieri, senza nè arte nè parte, al mio solito.
Anche perchè l’argomento è smisurato, soggettivo, sfaccettato, mondiale.

FILOVIA 90-91

Alla fermata mi sono seduta sulla panca tra un giovane di colore e una coppia di anziani invece di incolore.
Ha suonato un cellulare, non era il mio, il ragazzo, pulito e ben vestito, uno studente, risponde al suo imponente Samsung .
L’anziano scuotendo il capo ha bisbigliato alla moglie: “Guarda che telefono che ha!! …visto?”
Eccerto! Sono i nostri 35 euri che lo mantengono così bene. Sono certa che hanno  pensato quello, e nero è nero,  quel lavavetri con la t-short rigata che stava facendo la gimcana tra le macchine della circonvallazione, era evidente che dei 35 euri se ne faceva un baffo, quello no, non lo guardavano.
Sono poi salita sull’autobus, una signora col capo coperto, musulmana direi, in buon italiano mi ha indicato un posto a sedere, ho ringraziato, sto su poco, sto in piedi.
L’ho poi sentita, alle mie spalle, parlare con qualcuno… o da sola, non so. “Cose da pazzi. Ci sono i posti per gli invalidi e quel ragazzo sta seduto,  non si muove, che gente, che mondo,  non si capisce più niente”
L’ho vista andare dal ragazzo di incolore, farlo alzare, e far sedere una signora di incolore con le stampelle.
Poi, poi basta, sono scesa.

PITZA E DATTERI

Un film portatore di messaggi,  secondo me destinato a restare privo di autorevolezza, salvo  un Salvini o una Santanchè che si mettano a deprecarlo pubblicamente.
Il titolo, purtroppo, per quanto motivato, sembra quello di un filmetto qualunque che fa un po’ ridere, con questi personaggi un po’ ingenui e pasticcioni.
A Venezia uno sparuto  gruppetto di musulmani, i cui membri provengono da etnie tutte diverse, cerca una moschea per pregare insieme, invece di riunirsi genuflessi verso la Mecca nei luoghi più imponderabili di Venezia.  Arriva un giovane Imam afgano a cercare di risolvere il problema, ma il suo integralismo viene messo a dura prova dal fascino di Venezia, di una parrucchiera turca progressista, ma il problema della moschea verrà risolto.

Sicuramente il fil rouge del film è l’integrazione. Bepi/Mustafà (Giuseppe Battiston) è un voluminoso veneziano decaduto che si è convertito all’Islam, ed è irriducibilmente propenso alla violenza nei confronti di quella civiltà occidentale che lo ha bistrattato, pur di tornare in possesso della moschea ora diventato un negozio di parrucchiere. Gli altri componenti del gruppo, gli stranieri, sono invece molto riguardosi: il curdo, davanti all’ipotesi di usare esplosivi,  obietta che gli italiani sono molto affezionati ai muri vecchi, così come l’arabo fa presente  che la lapidazione in Italia non si usa… perchè alla fine nessuno di loro è veramente violento, e la moschea si può aprire anche alle donne, e sono orgogliosi che il sindaco di Venezia la inauguri.  E il problema della moschea viene risolto da una persona da cui non se lo sarebbero mai aspettato…
Pitza, con tanti datteri, viene ordinata dal  giovane Imam in un bar, dove si siede per provare a fare l’occidentale,  quando si è smussata la diffidenza verso questa nostra civiltà, ed ha subito il fascino di Venezia, del mare, dei fuochi artificiali… Pitza e datteri, ovvero, l’integrazione.
Insomma, il messaggio di un Islam non violento,  del desiderio di convivere in pace, passa facendo sorridere lo spettatore. Buona cosa gettare questi semi…  solo il film di Fariborz Kamkari nel suo insieme, per quanto aiutato da una Venezia sempre meravigliosa, dalla musica dell’Orchestra di Piazza Vittorio – orchestra eterogenea quanto il nostro gruppetto –  non è abbastanza incisivo, rischia di passare inosservato.
Insomma, un film godibile.

IL LUOGO COMUNE

 Ormai è certo, sentir parlare in un certo modo di Milano mi infastidisce assai. Premessa d’obbligo, non penso che Milano sia esente da difetti, storture, insufficienze, sarebbe folle pensarlo, una tesi insostenibile.
Milano è grigia.
Oggi, per esempio, c’è un cielo azzurro limpidissimo, e non è infrequente, neanche d’inverno.  Capita di girare in bicicletta, e sentire il profumo dei gelsomini, oppure di erba tagliata. Grazie forse all’apposito reparto dei supermercati, i balconi e i davanzali si sono riempiti di piante e di fiori, procurarseli è diventato più facile, un po’ come i ravioli, che una volta erano piatto della festa, oggi sono un primo veloce e sostanzioso.
Quando rientro a casa verso sera attraversando i giardinetti, i grilli mi accompagnano per un tratto. Al Parco Sempione ci sono gli scoiattoli, e i gabbiani nel Naviglio, nelle risaie alle porte di Milano gli aironi cinerini. A Trenno c’è una fattoria dove si insegna equitazione circense, ed oltre a cavalli di ogni misura, ci sono animali di varie specie, e vendono prodotti biologici, ed ospitano scolaresche. Poi non so, quante altre cose che altri sanno, ed  io non conosco.
E Milano non è certo grigia per la mente, piena di iniziative culturali, e sportive: credo che ci sia la possibilità di fare quasi qualunque cosa  ginnica o culturale desideri fare.  Con i suoi negozi offre la possibilità di acquisto per ogni tasca, dal superlusso al tutto a un euro.
Mi è capitato di provare una sorta di risentimento un sabato pomeriggio sotto i portici di piazza del Duomo,  quando  cercando di procedere a gomitate verso un cinema, ho sentito una signora accanto a me esclamare “Ah, io a Milano non ci vivrei, meglio mille volte Garbagnate”.
Mi son ritrovata a difendere mentalmente Milano.
” E brava, però venite tutti qui, per i cinema, le mostre, i negozi e per lavorare… e l’economia gira, anche grazie a questo, non lo nego. L’altro modo di vedere le cose è: venite qui tutti, affollate, inquinate, trovate tutto quello volete, e poi dite che brutto che casino che sporco meno male che vivo da un’altra parte” .
Mi sono vista Milano come assaltata dalle cavallette, che se ne vanno lasciando desolazione e mi sono accorta di apprezzare la mia città, nella quale sono cresciuta e ho vissuto sognando anche io la casa col giardinetto, e un altro tipo di vita meno brulicante.
Un’altra cosa che ho scoperto irritarmi. è quel disprezzo della  vita impiegatizia (tanto milanese…)  che chi ha velleità intellettuali, atteggiamenti da “alterntivo” manifesta… o si sente costretto a disprezzare, guardare dall’alto in basso.  Come se una vita ripetitiva, dedita alla famiglia e al lavoro, attenta alla gestione del tempo e del denaro, per evitare disguidi e imprevisti, sia meno meritevole di rispetto della vita vissuta a “genio e sregolatezza”, i vestiti stirati meno di quelli sdruciti.
Come sempre, non vivo le cose in modo alternativo, l’aut aut, il bianco o il nero, i Beatles o i Rolling Stones, ma come coesistenti, come due modi di essere diversi, ognuno con le sue prerogative, non uno migliore e uno peggiore, spesso complementari.  E non è detto che un travet non sia più aperto di mente di un alternativo… alle volte la cocciutaggine di voler essere diverso, di cercare il diverso, ti impedisce di accorgerti, o ti induce a rinunciare, a piccole bellezze a portata di mano.
Penso a me irrequieta e scontenta…alle volte, il luogo comune è una riscoperta.

 

Oh bella adesso se l’Italia è così, è colpa mia.

(dedicato a Marco)

E’ successa una cosa inimmaginabile, in casa non si trova più la carta Fidaty Oro con un sacco di punti Fragola,  proprio non c’è più: manca solo fare la radiografia al cane, gli altri posti li abbiamo pensati tutti.  Neanche all’Esselunga l’hanno trovata, così l’ho bloccata, è pur sempre una carta di credito, e poi per averne un’altra occorre fare la denuncia di smarrimento, si sa.  Dove?
I Carabinieri in via Egadi, dove ero comoda,  non ci sono più, non mi ricordo dove si sono trasferiti, e vabbè nessun problema, c’è internet, no? così, ieri sera,  trovo il sito www. carabinieri. it .
Meraviglia delle meraviglie, c’è scritto che si può fare la denuncia online, prendendo appuntamento per andare  di persona per apporre firme e timbri con la dichiarazione già fatta: intanto la invii e ti mandano una mail di conferma.
Comincio col cercare il comando di zona, e la mia via non esiste a Milano, col nome e cognome del pittore, coll’iniziale del nome, solo col cognome, con via privata, con via priv.: se non  fosse perchè ci abito, mi avrebbero anche convinto della sua inesistenza. Digito il nome della via con cui fa angolo, evvai! Scelgo la mia caserma,  da piccola ci abitavo vicino e seguivo dalla finestra l’abbeverata dei cavalli, che adoravo, un appuntamento quotidiano.
Digito la mia denuncia, mi arrabatto per la stampa, mi ricopio i codicini, ecco, pronta, domattina vado, sono pronta.
Stamattina sono andata.  Intanto, danno un indirizzo e si entra da un’altra via: tipico. Davanti al portone chiuso ci sono passata davanti una vita, andavo alle medie e dopo al liceo, allora era in funzione,  c’era la garitta col soldato di guardia, non so perchè lo trovavo imbarazzante. Star lì così ore, e poi non sapevo che faccia fare, magari sembravo sospetta.
Entro, il carabinierino allo sbarramento, per la denuncia, mi manda in una saletta con qualche sedile, una madre e una figlia, e una signora anziana col cappellino.  Le prime due dovevano incontrare un militare, l’altra doveva ritirare  la denuncia perchè aveva ritrovato la carta di identità.
Ma quella stanzina mica prelude a un ufficio, la sola porta è l’ingresso… torno fuori, e dico ” devo aspettare lì anche se ho fatto la denuncia via internet? ” mi assicurano che sì,  poi mi chiamano.
Insomma, passa quasi un’ora, arriva una carabinieressa, alla quale dico che ho fatto la denuncia online, che però non mi era arrivata la mail di conferma da ieri sera. Gentilmente risponde che il servizio online non funziona quasi mai e facciamo prima a farla di nuovo.  Ecco appunto.
La carabiniera è venuta come un Caronte a traghettarci agli uffici, non possiamo noi pubblico girare da soli per la caserma. Mi sembra un sistema di comodità spaziale, davvero.
Mentre accadono questi accadimenti,  una tipa in bicicletta,  un filo irruente, irrompe sulla scena “Ho assolutamente bisogno del permesso di guida se no non mi fanno il duplicato della patente, sono cinque volte che cerco di farlo”  e si piazza davanti alla carabiniera. Al che le faccio presente che c’eravamo noi. Mi guarda sprezzante: “lavoro fino alle sei e mezza, è da novembre che devo fare il duplicato”  al che le dico ” non penserà mica di passare avanti?  prima c’è la signora, poi io, aspettiamo da un’ora, ed anch’io debbo andare al lavoro, è tardi” Penso che lo pensasse, di passarci davanti, infatti acida dice: “Ah sì vorrei proprio seguirla, per vedere come va al lavoro”  al che le rispondo ” bastava arrivasse cinque minuti prima di me stamattina  e non c’era problema”:
La tipa si rivolge alla carabiniera: “le spiace se aspetto qui? Non sopporto di entrare in una stanza  con una persona così negativa.  Finchè ci sono persone così,  senza comprensione per gli altri, per forza l’Italia andrà  male”
“No, mi spiace, non è permesso che lei stia qui.”  Intanto, la mandano a farsi due foto tessera, per necessità suppongo, non per evitarle di venire contaminata da me, dalla mia negatività.
La signora anziana divertita scuoteva la testa, e poi mi dice “Ha visto,  i giovani?”
Una quarantina di minuti dopo, avevo terminato, avevo la mia bella denuncia riscritta e la tizia era stata “evasa” da un altro carabinieretto sopraggiunto all’altra scrivania.

La questione dei doni di Natale

Quando ero piccola era fuori discussione, la lettera si scriveva a Gesù Bambino, che ti portava i doni. Nessuna spiegazione di come facesse un neonato a far tutte quelle cose,  era implicito, dal momento che era praticamente Dio  e già aveva creato il mondo in sei giorni, solo in un secondo tempo creò il calcio per non annoiarsi la domenica.
La Befana mi convinceva di più,  le si lasciava su un tavolino del pane, del latte e una mela, ed alla mattina trovavo la tazza vuota, e delle briciole, segno indiscutibile del suo passaggio. Era evidente che si era portata via la mela, perchè mancava il torsolo e il picciolo: mio padre, persona onestissima, era tanto avveduto che forse avrebbe potuto pensare il delitto perfetto.
Quando erano piccoli i miei figli, ho dovuto mediare, tra un Babbo Natale in espansione e Gesù Bambino che cercava di tenere la sua posizione, c’erano opposti schieramenti, come per Beatles e Rolling Stones, Mina e Milva:  insomma,  Gesù Bambino era una sorta di capo d’impresa che  dirigeva il traffico di doni sguinzagliando i suoi Babbi Natali per ogni dove.
Ora, che è piccolo mio nipote e sono di nuovo addentro alle questioni dei bambini, mi sembra che di un Gesù Bambino, portatore di doni impacchettati e infiocchettati, non se ne senta più parola.  Mi sembra, magari mi sbaglio: forse è anche meglio, si fa meno confusione con i doni che può portare Gesù Bambino, e ci sono altri Natali, lo ricorda oggi, vigilia di Natale,  un articolo di stampa in modo molto molto efficace.

Trance

Sono salite credo in Piazza Trento,  erano quasi le dieci di sera, ero soprappensiero,  le ho viste lì,  vicino all’autista.  Impossibile non notarle, giovanissime, il loro profumo ha riempito il filobus.
Una parrucca di capelli lisci, biondo platino, nascondeva un po’ il viso della più minuta. Quella alta, con la giacca e la coda di cavallo, i capelli di un colore più naturale,  sembrava la meno convinta.  Ma la bruna, scollatissima e scosciata, era truccata magistralmente. Le labbra carnose rosso brillante, l’ombretto sino agli zigomi cosparso di brillantini. Il seno era florido e sodo, lo spacco del vestito lasciava intravedere la fine della calza a rete nera. Scarpe rosse, ovviamente con tacco da vertigini.
Sono sempre le mani e i piedi che le tradiscono.
La signora davanti a me le fissava con aria smarrita, tenendosi il bavero della giacca, aggrappata,  che non le sfuggisse la mano a farsi un segno della croce.  Non riusciva a non guardarle, e la invidiavo moltissimo, perchè invece io non le guardavo, ma avrei voluto osservarle bene.
Sono momenti in cui non sai bene cosa fare, vorresti essere naturale, in realtà sei curiosissima, se fai finta di niente temi che pensino che fai apposta a far finta di niente, se le osservi,  temi che pensino  “ma cosa hanno tutti da fissarci? andatevene un po’ a….”

Ma non è facile restare indifferenti… ricordo la metamorfosi del ragazzo del negozio di animali, le unghie colorate, i capelli, l’abbigliamento …. poi era lei.
Mi piacerebbe avere la sfacciataggine di fissarle, osservarne i movimenti, la mimica, carpire gli sguardi.  La felicità e l’infelicità, i  loro perchè. La loro famiglia, il loro divenire, le scelte e le vie obbligate.  Che magari non sono tanto diverse dalle nostre che appaiono all’esterno meno colorate, meno disperate, più normali, come se fosse possibile supporre che esista un concetto assoluto di normalità.
Io sono scesa, loro erano ancora su, mi ero chiesta dove andassero… forse,  non andavano ma tornavano.

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Io e il Vescovo di Roma

Lo sentivo, che non mi avrebbe tradito, lo aspettavo a varco, avrebbe dovuto dire qualcosa sui gay, prima o poi, e  in questo viaggio di ritorno dal Brasile, si è espresso sui gay, non solo quelli del Vaticano, e sul ruolo della donna nella Chiesa. Ha parlato anche d’altro, ovviamente.

Non credo affatto che il Vescovo di Roma sia un’operazione mediatica della Chiesa, lo ascolto e gli credo, d’istinto, e di solito ho un buon istinto.
E poi deve avermi letto quando ho scritto che il problema sono le lobbies, non i gay.
Penso che non sia il solo, con queste idee, all’interno della Chiesa, forse è il solo ad avere visibilità. Speriamo, Gesù mi è sempre piaciuto, ma non ho mai amato le impalcature che gli hanno messo intorno, mi son sempre sembrate molto distanti e divere dalla persona  di Gesù, sì, persona, poi il discorso so che può essere complesso, ma Gesù era persona.

http://video.corriere.it/papa-non-giudico-gay-vaticano-chi-sono-io-giudicare/644653d8-f851-11e2-a59e-96a502746665

Dal calzolaio

Oggi sono riuscita a passare dal calzolaio, il negozietto nella piazza dove abitava mia madre e non lontano da casa mia. Una vera bottega… già l’anno scorso aveva salvato la vita ai miei sandali, che avevo comprato uguali in due anni successivi, erano troppo comodi.
Me li curerà,  non sono in fin di vita.
Abbiamo chiacchierato un po’, è un egiziano, dice di essere tra i primi arrivati a Milano. Abbiamo parlato della situazione economica, che non lascia scampo, ma dove vanno a finire i soldi che paghiamo in tasse, c’è in giro la disperazione, insomma i discorsi che in questo periodo è difficile non fare, li leggi sui giornali, li senti al bar, li ascolti sul filobus quando la gente parla col telefonino, li vedi sui volti. Gli unici sordi ciechi sono quelli che ci amministrano, infatti poi alla tele senti che sono aumentati i fallimenti per colpa dello Stato che non paga. Anche lui come me ha la sensazione che ci sia un gioco perverso di qualcuno che vuole diventare padrone del mondo.
Ma mi dice che questo si verifica perchè è un problema di cultura,  la gente ha perso i valori, esiste solo il dio Soldo, e che  chi fa il male, dovrà renderne conto, perchè c’è di sicuro un motivo perchè Dio ci ha messo sulla terra, ci sarà il Giudizio.
Mi dice che nel suo paese sta crollando tutto, un paese come il suo… e gli dico che anche noi, insomma, Roma…era grande anche Roma. NO, mai come l’Egitto.  Non insisto… dell’Egitto mi viene in mente la Sfinge, gli omini di profilo, le mummie e il gatto sacro, di Roma il Satyricon, Nerone e Tiberio, il Colosseo e scaccio il pensiero di Alemanno.
Mi racconta che sua moglie è italiana, ha due figlie, una laureata in lingue, con borse di studio e un Erasmus,  alla Statale con la lode, e l’altra in architettura alla Bicocca con 95.
Ah, questi immigrati, che vorrebbero la cittadinanza… come fosse chissà che, questa cosa sempre più slabbrata, e prosciugante.

Economia spicciola (la mia)

Perchè l’economia riprenda, occorre che la gente abbia soldi da spendere, sia ottimista, cioè deve avere un reddito, un lavoro e i prezzi devono essere accessibili, devono riprendere i consumi.
Nel prezzo di una camicia, è compreso l’aumento dell’IVA che il fabbricante di bottoni ricarica al confezionatore vendendoglieli,  idem per il filo, la tela, la confezione, il trasporto al negozio.  Chi compra il prodotto finito nel prezzo si becca tutti i ricarichi. Quindi se il prodotto è caro si vende meno e le aziende sono in difficoltà.
Allora, per non bloccare l’economia, aspettiamo ad aumentare l’Iva, ma il ministro Saccomanni avvisa che per farlo ci saranno tagli dolorosi alla spesa pubblica. Non saprei quali aspettarmi.  Diminuiscono ancora i letti negli ospedali? Ci sarà un insegnante ogni tre classi? I pubblici ufficiali debbono portarsi le biro da casa? Insomma, tutto questo per rinviare l’Iva e potersi comperare la camicia. Ma alla fine siamo sempre noi, gli stessi soggetti, a pagare, o in salute o in soldi, che sia Iva aumentata o taglio doloroso. Non so se una camicia salva più vite di un elettrocardiogramma. Siamo sempre noi. Si tratta solo di scegliere di che morte morire, insomma.
Invece, far ridare i soldi a chi ha rubato? Evitare seriamente che si possa rubare ancora denaro del contribuente? far pagare penali a chi ha stanziato denaro pubblico in opere inutili o non terminate? Su, un po’ di fantasia, occorre cambiare i soggetti paganti, i soldi da qualche parte sono, se sono sparite dalla tasca della popolazione saranno in qualche altra tasca.

Perchè poi a me girano le balle per questo pacchetto lavoro per i giovani e vecchi disoccupati, che intanto lascia a piedi la generazione in mezzo,  sembra essere proprio data per persa, quella dei quarantenni. Poi non capisco perchè avere uno sconto per un anno di € 650 mese dovrebbe invogliare un’azienda a pagare contributi e oneri per altri 40 anni assumendo un giovane. Usare questi soldi per un appalto  obbligando  l’assunzione dei lavoratori, cui possano partecipare aziende che abbiano chessò tot  assunti non è meglio? Alla maniera italiana, ci sarà chi troverà il trucchetto, lo spiraglio, per mangiarsi i fondi destinati al pacchetto.
Poi, altra cosa, il pacchetto  che riguarda i giovani che  abbiano tra i 18 e i 29 anni, siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale e viva solo con una o più persone a carico. Insomma, mia figlia che ha 24 anni, un diploma, un bambino di 5, sta cercando di laurearsi, lavora tutto il giorno con contratto apprendistato a 800 € mese ed è indietro due mesi con la paga perchè in ditta non entrano soldi, vive con bambino e compagno con noi perchè non ce la fanno ad andare da soli, insomma mia figlia, che ce la mette tutta, non merita aiuti,  non ha diritto a nulla, posso solo pregare che regga il traballante posto di lavoro di noi genitori. O forse li dobbiamo buttare fuori di casa, così trova un vero lavoro?

Ora la paura

Era stanca di stare al pc,  anche un po’ annoiata, voleva andare a letto a leggere un po’; inoltre sentiva un indolenzimento al ginocchio, quello col menisco che fa un po’ gli affari suoi, ed aveva voglia di allungare le gambe. Le solite tappe prima di raggiungere il cuscino,  preparare le tazze e le caffettiere per la colazione, il  bagno, questa volta senza bucati da stendere, accendere la luce del comodino,  mettere in carica l’esoso android.
Conquistate finalmente le lenzuola, il libro di Rossana Campo da cominciare, stava leggendo la quarta di copertina, un po’ impicciata dalla fascetta rossa e dalle cartoline di Minimal Incipit che le avevano regalato comprandolo,  quando il capofamiglia, che era già a letto, si sveglia prestissimo la mattina, si gira brontolando dall’altra parte del letto, bofonchiando contro la luce, e dice di andarsene a leggere in salotto, ma lei dice di no, che dopo si addormenta là e ci dorme male. Tanto, sapeva che non avrebbe resistito a lungo con gli occhi aperti, la stanchezza prevale sempre.
Tempo tre minuti, si alza risentito e va sul divano in salotto, apostrofandola e portandosi la sveglia:  lei rimane un attimo interdetta, le viene da piangere, ma non è giusto che lui dorma scomodo che per andare al lavoro ha un viaggio lungo.  Lo raggiunge in salotto, ma lui non vuole saperne di tornare a letto.
Lei si siede al suo pc, ed accende la lucina smorzata che illumina i tasti:
“Dai vai a dormire comodo nel letto, sto qui, ascolto un po’ di musica come faccio di solito” lo diceva per convincerlo a tornare di là, pazienza se non leggeva, pazienza per la gamba, lo diceva piangendo, non le sembrava giusto che fosse così arrabbiato per una cosa così stupida e che non ci fosse verso di rimediarvi, se non con lui incavolato e scomodo sul divano, che non voleva tornare nel letto sgombro.
In risposta si alza dal divano “Ora ti spacco tutto!”  come, ti spacco tutto, e lei pensa al  cellulare in carica, che non potrebbe permettersi di ricomprare, lo segue, lui appare sulla porta del ripostiglio con un attrezzo in mano,  e si dirige al salotto,  la figlia esce dalla sua stanza, lo apostrofa, perchè la mamma  non deve poter leggere a letto se è stanca, tu lo fai sempre e lei non dice niente, lei sempre piangendo disperata corre nel salotto a prendere il pc, chiude il coperchio, lo stacca, resta immobile sulla sedia, chiude gli occhi, è esausta, ha paura, paura, paura…
Lui si sistema sul divano, lei torna nel letto, in preda a un pianto che sembra inarrestabile, piange il pianto di tutto il mondo, che quando ci si sente così, ci si prende addosso la tristezza di tutto.
I litigi, il dialogo impossibile, le minacce, sono cose di sempre… ultimamente  però la violenza non è più solo quella ricattatoria, psicologica, onnipresente,  da un po’ di tempo, è comparsa la paura, quella lacerante, e fisica.

non mi dà soddifazione scrivere su FB… non resta niente

Non so se posso contare di arrivare ai posteri scrivendo su FB.
Oggi, quando sono uscita di casa per andare al lavoro, stava attraversando la strada un gruppetto di persone, tutte col valigino, chissà da dove venivano, non ci sono alberghi vicini.
In ogni caso, li ho raggiunti all’attraversamento della corsia preferenziale, dove si erano collocati in formazione sbarramento, e sembravano non accorgersi che lì il semaforo non diventa verde quasi mai, e mi hanno fatto perdere il filobus che stava arrivando.  La cosa però non è spiaciuta alla mia flemma tipica milanese: va bene, tra un po’ ne arriverà un altro, intanto leggo, quattro minuti sono tantissimi.  Insomma, quando ho visto questi omini con valigia, ho proprio pensato che noi umani siamo una specie infestante, e che forse, crisi o non crisi, semplicemente non ce ne è per tutti.  Uno di quei pensieri, che se ci pensi intensamente,  ti fanno sembrare un po’ tutto privo di significato, del tipo ci siamo inventati lavori inutili come la burocrazia, e si copiavano carte con penne calamai e bella scrittura, poi sono arrivate le fotocopie con la carta chimica che si sbiadiva da sola e poi i toner, e poi i link e anche se la gente per un po’ è stata riciclata, come la plastica,  che adesso i copiatori con calamai sono magari quelli che immettono dati nei pc,  adesso si stanno  sostituendo meccanicamente i lavori che potevano fare gli uomini, e gli uomini sono inutili, alcuni uomini si sentono inutili, ma chi ha il diritto di decidere che tu non hai più diritti? Chi glielo ha detto che può?
E mi sembra una cosa aberrante,  perchè l’uomo non dovrebbe perdere il diritto ad avere dei diritti, cioè,  è vivo, ha diritto a vivere, respirare… ci avevano detto crescete e moltiplicatevi, se non ricordo male.  Ora non so bene, ma a me sembra che nelle comunità di animali, ci sia posto per tutti…semmai creano un gruppo nuovo, come per mitosi.
Oggi si parla di Little Tony, perchè è morto, se no non mi pare se ne parlasse più tanto… c’è da dire che non mi è mai piaciuto come cantante,  proprio una questione di epidermide.
Si parla anche della rabbia grillina, ma d’altra parte il calo era prevedibile, un primo segnale in Veneto: è ovvio, la gente arrabbiata voleva delle soluzioni. Però dai, una scrollatina alla politica gliel’hanno data.
Si parla anche di femminicidio, ed è un termine che mi sta sulle balle, mi pare che l’assassinio abbia già le sue pene previste, esistono le aggravanti. Femminicidio… che ci sia qualcosa di distorto da reinquadrare, nella nostra società,  invece, non viene in mente  a nessuno, perchè è un po’ più faticoso e impegnativo. Tipo, l’assuefazione alla violenza.
Oggi, è stato l’ultimo giorno di lavoro di una collega che ha dato le dimissioni per stare a casa., e mi sono ricordata la sensazione che avevo provato quando per un attimo mi ero illusa di rientrare nell’ultimo prepensionamento.

Il mio lavoro.

Ieri leggevo questa notizia,  dell’uomo disperato che doveva lasciare la casa pignorata e venduta all’asta, e si è dato fuoco, aveva un debito di 10.000 euro, dal 2001,  e la casa era stata venduta per 26.000 euro.   L’articolo sul fatto accaduto in Sicilia, si conclude così: “E’ arrivato il momento di fermare  –  dice Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria  –  tutte le procedure di recupero dei crediti e di avviare una moratoria che possa consentire alla gente di mantenere la propria casa. Le famiglie non ce la fanno più ad andare avanti. Questo gesto drammatico è la spia del malessere sociale che vive la povera gente di fronte alla grave crisi economica di questi mesi”.
Ricordo, anni fa,  un uomo che aveva sparato al perito nominato dal tribunale che voleva entrare nella casa per valutare l’immobile.  Ricordo una signora che mi disse che il marito era in ospedale perchè non riusciva ad orinare, pensando al debito, e che tempo prima aveva cercato di impiccarsi in cantina.   Ricordo un mio collega picchiato  nel salottino della banca da un debitore. Un altro aveva mandato un salmone affumicato intero, al medesimo collega, che lo aveva rimandato al mittente. Ricordo una pratica che ero riuscita a far chiudere pagando una cifra simbolica, indispensabile per mettere la parola fine al debito,  un padre e marito violento e violentatore, suicida in carcere, la vedova non più padrona della sua mente, i due figli, ovviamente precari, che si erano fatti  carico della madre. Non è un lavoro facile,  il mio, sicuramente, non solo per i risvolti legali e l’esperienza; mi ricordo che ero stata assegnata, proveniente dagli sportelli, al reparto legale, dove dovevo occuparmi di assegni smarriti, successioni, indagini della magistratura, e quando mi dissero se volevo passare al contenzioso, recupero crediti, risposi che, potendo scegliere, preferivo di no, non mi ci vedevo in quei panni lì.   Poi, mi trovai invischiata in quelle tematiche,  avendo dato una caparra per acquistare una casa su cui una banca aveva messo un’ipoteca a seguito dell’insolvenza del proprietario, in stato pre-fallimentare. Insomma, ne uscii, ma mi ero nel frattempo accorta che la materia era invece interessante.  E soprattutto, avevo toccato con mano che un insolvente non è sempre e solo una vittima, cioè, alle volte è un incallito, altre volte un disperato. Il mio di quella volta lì lo avevano definito un re Mida al contrario…
E in ogni caso, mi sono resa conto che quello che ormai da anni è il mio lavoro, non è da vedere in chiave così negativa, dipende da come lo si svolge, riconoscendo dignità all’interlocutore, che ha comunque un problema, e si cerca di risolverlo, e sono contenta quando ci si riesce, a trovare un accordo, non è una cosa così rara o impossibile.
La notizia che citavo in apertura  si aggiunge alle innumerevoli storie di disperazione per la crisi attuale,  non che anni fa non accadessero,  ma è indubbio che ormai sono all’ordine del giorno.  Però da addetta ai lavori, nell’articolo leggo tante altre cose… per esempio, il credito è del 2001, non so di che anno sia il pignoramento, immagino sia iniziato nel 2002. Ora, sono solo le banche che fanno lievitare i debiti, o anche i tribunali?  con le loro lungaggini – spesso motivate dalla carenza di personale, un’udienza rinviata all’anno successivo, la sentenza a due o tre anni… un cancelliere viene spostato temporaneamente,  senza essere sostituito, quante volte è accaduto? o una maternità,  e tutto sta fermo finchè ritornano, per esempio i mandati di pagamento delle esecuzioni concluse stanno fermi, il debito così non viene estinto nè ridotto, sta lì ancora, e matura interessi, i soldi non tornano in circolo. Danno per il debitore, e per il creditore, che non è sempre una banca.  Un creditore poi non ha convenienza ad attivarsi per il recupero di cifre modeste, con azioni costose, quali un pignoramento, punta a trovare piuttosto un accordo. Per cui non so, temo che qui l’articolo sia un po’ generico.
Anche la conclusione del Sindaco siciliano, che dice di fermare i recuperi del credito… ma allora le banche dovrebbero erogare prestiti e pazienza se il debitore non li rende? La banca è un’impresa, mica un’opera di carità, sarebbe come dire al panettiere fai il pane, e lo distribuisci, ti paga solo chi vuole, però.  Per me, smetterebbe di fare il panettiere, o sarebbe per lo meno molto incazzoso, le banche smetterebbero di far piccoli finanziamenti,  con ciò che ne consegue, cosa che sta già in parte avvenendo.
Signor Sindaco, quando parla di moratorie, Lei sta parlando di soldi altrui, fossero imprestati da Lei,  cosa farebbe? che quei soldi poi non sono sempre  delle odiate banche, ma anche di fornitori, di mogli separate, magari in situazione non meno disperata del debitore,  hanno faticato a trovare i soldi per il pignoramento, tra avvocato, notaio, perito, pubblicità d’asta e aspettano da anni di riavere il dovuto.  Ho visto estinguere un pignoramento perchè il nuovo giudice ha eccepito che il titolo con cui era iniziato non aveva i requisiti per essere esecutivo, dopo 9 anni che il procedimento era in piedi, nel corso del quale era anche stata vinta dal creditore una causa di opposizione.  Una Waterloo per il creditore, che non ha diritto al rimborso delle spese.
Ora, signor Sindaco, questa Sua idea,  un’idea che sicuramente vorrebbe tamponare un’emergenza,   ancora una volta insegnerebbe agli italiani che gli impegni si possono anche non rispettare, e non credo che si abbia bisogno di questo, in Italia, anzi.
Nessuno mi toglie dalla testa che se ci fosse meno corruzione, e gli incarichi e i lavori fossero dati per merito e non perchè chi conosce chi, non saremmo in braghe di tela, il problema nostro, italiano, non è solo la crisi.  Piuttosto, quello che serve, è che la gente abbia la possibilità di lavorare, e di fare fronte agli impegni, perchè di persone che hanno ancora senso dell’onore, e patiscono nel mancare, e onesti si sentono in una gabbia ingiusta dalla quale non trovano un modo di uscire, credo ce ne sia ancora parecchia, e non vorrei che a una ad una se ne andassero.
Insomma, non è che si debba invece dare una mossa lo stato?  invece di prosciugare tutte le risorse, lasciarle girare, e magari pensare che le modifiche degli iter giudiziari non siano  necessariamente quelle che interessano alcuni politici?  Magari completare l’informatizzazione, mettere un po’ più di personale?  Una giustizia giusta e che funziona è un opzione in più per attirare investimenti sul patrio suolo.
Non è la moratoria che ridà il senso della propria dignità a una persona in difficoltà, è il lavoro, è il sapere di poter mantenere la propria famiglia, e che i figli potranno avere un futuro magari non di miseria.  La moratoria, da sola, non serve a nulla, la disperazione è solo rimandata, ed è ora che voi politici manteniate gli impegni assunti sedendovi sulle tanto ambite poltrone.

Devianze

C’è qualcosa di bacato nel modo di diffondere, leggere le notizie, e di conseguenza nel loro diffondersi, come si procedesse per sineddoche, per slogan.
Per quanto dove arrivi la mia memoria, in fatto di giornali e di notizie, mi ricordo seriosi telegiornali, seriosi quotidiani e settimanali da una parte, e  la stampa scandalistica e pettegola dall’altra  che allora era per me incarnata, o meglio incartata, da settimanali tipo Stop e Novella 2000, dove un bacio faceva notizia, dapprima in foto in bianco e nero,  gli interessati si celavano sotto occhialoni scuri, poi via via  a colori fino al cliché della foto in acqua fino alla cintola e a seno nudo, anche in inverno.
Ora ci sono anche i social network, a fare da bollitore, e anche da termometro,  delle notizie, e la comunicazione va veloce, non ci si può fermare a leggere tutto, ovunque, ed allora si cerca il cavillo, o la cosa ridicola, e si batte su quello, quasi una gara a trovare  il brontolamento  e che non abbia ancora rilevato nessuno.
E’ così che si perdono i concetti, i ragionamenti, quelli che dovrebbero magari essere illustrati e propalati  e potrebbero, chessò,  arrivare ad aprire le menti, arrivare a chi non ha avuto la fortuna di studiare. Ci si ferma sull’inezia, sul gesto, cosicchè un’inezia, un gesto possono così rovinare un personaggio pubblico, o esaltarlo, quest’inezia offusca passato presente e futuro.
Insomma, mi sembra che la divulgazione si sia come allineata al livello delle foto a colori di cui sopra, scatti magari concordati col fotografo.
Guardo le “onde” su Facebook,  l’indignazione o l’ilarità,  dura un giorno, per far posto ad un’altra onda il giorno dopo, e vi sento come uno spirito di gara, a chi sarà l’arguto più arguto…. ma a cosa serve, se non a inacidire l’animo e far sentire tutti scontenti di tutto, in un modo assolutamente non costruttivo… non c’è tempo per pensare, per fare,  e anche la stampa pare adeguarsi, noi perdiamo,  la gente sta su FB, allora è così che si deve fare.
Non so, mi pare che quello che una volta era giornalismo, ora sia diventato come una branca del marketing.
Sono concetti ancora un po’ disordinati, chiedo venia.