Archivio mensile:settembre 2010

ribellione

In attesa del  metrò giallo incombe sulla parete di fronte della galleria un manifesto con Bersani, PD, in maniche di camicia, che ci dice che la pazienza è finita, rimbocchiamoci le maniche.
Sono d’accordissimo: la mia pazienza è finita, è ora che LORO  si rimbocchino le maniche.
Io non ho più niente da dare.
Quello che si guadagna, in casa basta appena.
E a noi va già bene, se mi guardo in giro.
Se una volta avevo la certezza che al massimo nel 2016,  a 61, anni sarei stata a casa dal lavoro con una buona pensione, non ce l’ho più: non so se saranno 61, e non so se la pensione sarà buona. 
Ci contavo, per tornare ricca proprietaria del mio tempo: però mia madre ha 96 anni, e mia figlia un bimbo piccolo, e si deve costruire la sua vita, e hanno bisogno del mio tempo, adesso, non nel 2023, tanto per dire una data a caso, mi piacciono i numeri dispari.
E se penso che quel rimbocchiamoci le maniche può  voler dire  richiesta di sacrifici, ulteriore decurtazione dei servizi, maggiorazione del pagamento dei servizi, non ci sto.
Perchè lo stato, in varie forme si prende già un sacco del frutto del mio lavoro, le tasse che mi trattiene, e quelle che pago nei prodotti che compro per vivere, l’Iva del panettiere, per dire, è dentro nel prezzo del pane.
Per cui  soldi li vadano a prendere dai politici e dagli amministrativi corrotti e collusi, perchè a me sembra strano che non bastino mai. 
E anche chi stanzia fondi per un’ opera pubblica che poi rimane incompiuta, o inadatta all’uso, o si riveli assolutamente inutile, pensata  solo per far lavorare l’impresa del cugino, venga fatto dimettere senza liquidazione. 
E via di questo passo.
Io non ne ho più.
E vorrei fosse lasciato un minimo spazio per sogni e progetti e idee, perchè tutto sembra impossibile, e si soffoca, così, tra leggi e normative e tassettine.

.. ancora….


Mumble mumble…


diamoci una pulitina

ecco il passo dell'oca.


preoccupante… nel 1868 il lago è arrivato al'altezza della targa!

svasso arruffato

la gendarmerie del porticciolo di Pallanza


così Titti non mi riconoscerà!

svasso che si tuffa!

un avviso un po' imbarazzante, come si usa?

giuro che un giorno ci vado, alla Pizzeria Emiliana di Gennaro Esposito!

questo… mi pare solo bello.

il solito bar

scacchi


Nella foto c’è un errore, chi lo individua?

Quando i giocatori finiscono la partita, si affrettano a risistemare gli scacchi, pronti così per la sfida del giorno dopo. La sala vuota con tutte le scacchiere schierate, in attesa, ha un suo fascino.
Ma nel primo pomeriggio cominicia l’andirivieni, i partecipanti si fiondano alle vetrate dove sono affissi i nomi a coppie degli sfidanti, Open A, Open B, Under 20, Femminile.
Le qualifiche degli scacchisti arrivati ad alti livelli  mi ricordano un po’ Qui Quo Qua e le Giovani Marmotte, con il loro Gran Mogol. Qui ci sono GM Grandi Maestri, e Maestri Internazionali , uno di questi cammina scalzo magrissimo con i capelli un po’ lunghi. WGM, sono le donne grandi maestre, che non c’entrano con la Gelmini, ovviamente. Si può riconoscere un grande maestro perchè in genere ha più capelli di un partecipante all’Open B, probabilmente li tortura meno ed i capelli si fidano di più a far capolino. Un’altra caratteristica del bravo giocatore di scacchi  è chiamarsi Daniele, o Michele, anche nelle varie versioni  dell’Est Europa.
Uno pensa che è solo un gioco, invece sono lì tutti seduti, ed è uno sport, con tanto di CONI e di analisi anti doping, solo che pare ci siano problemi a determinare quali possano essere  le sostanze tabù per uno scacchista, chissà, forse il caffè.
A guardarli dal vetro, nessuno ride, solo quelli dell’organizzazione, le espressioni dei giocatori sono quasi drammatiche, tese, intense.  Un bambino, forse non ha otto anni, si alza in piedi quando deve muovere.
Tac, pacca sul timer, c’è chi si alza, annota la mossa ed esce a fare un giro, mentre l’avversario pensa lalla sua prossima. Una ragazza, sul tardi, esce, va al bagno col viso coperto di lacrime.
Io sto lì, leggo,  vado a fotografare le farfalle, guardo, assorbo comunque l’ambiente, e solo lì mi viene voglia di giocare a scacchi, ma quando mi trovo davanti alla scacchiera provo un certo smarrimento: non so assolutamente perchè dovrei muovere un pedone piuttosto che un altro, non mi immagino la partita partendo da quella mossa lì, che sia inglese, siciliana, o un gambetto, ed esiste anche un attacco indiano, di soppiatto, non è che l’avversario  improvvisamente ha penne mocassini e tomahawk (però sarebbe bello). E’ più divertente dopo, quando i pezzi si sono finalmente sparpagliati nella scacchiera, allora si che provo gusto a fare le pensate.  In ogni caso, perdo, più o meno velocemente, in genere più, senza potermi appellare a Bucholz.