Archivio mensile:gennaio 2011

incipit

Nella grande casa davanti alle Isole Borromee nel pomeriggio restavamo qualcuno dei "grandi", ed io. I miei fratelli ed i  cugini erano sempre con gli amici, si conoscevano tutti tra loro, i ragazzi delle ville, andavano al Verbano, un circolo privato esclusivo, a prendere il sole e a fare il bagno, organizzavano giri in barca, giocavano a tennis. A quei tempi, circa cinquant'anni fa, essere belli giovani ricchi e spensierati poteva essere ancora una cosa sana: facevi sport e ti abbronzavi.
Adesso meno, credo, anche se non faccio  parte della categoria nè ho, come un tempo,  l'occasione di fare da spettatrice.
Nelle vacanze al lago passavo gran tempo da sola, ma non mi spiaceva più di tanto, o con gli adulti.
Nei ricordi di quel periodo della mia  vita,  i "grandi" sono come delle comparse, in fondo non seguivo granchè delle loro vicende, e di poche venivo messa al corrente, mentre della casa e del giardino mi sembra di ricordare ogni angolo.
Non mi pare di aver mai pensato o desiderato che le cose fossero diverse, mi sembrava fosse  normale così, come normale era per me muovermi in una villa enorme, con tre fontane, prati, terreni, statue in bronzo.
Non  mi sentivo sola, non sapevo di far parte di una famiglia benestante. Semmai  volevo un cane o un gatto mio.
Quando la zia Bruna, sorella maggiore di mia mamma, veniva a passare qualche giorno nella villa di Baveno, sicuramente sarebbero venute a trovarla " le Borioli", che io ostinatamente continuavo a chiamare le Jucker:  che potessero esser magari imparentate, non mi ricordo.
Arrivavano a piedi dalla "strada alta", in parte sterrata, la si chiamava alta perchè parallela alla "bassa" che scorreva in riva al lago, e portava sino a Baveno: era sterrata sino a Roncaro, dove c'era la cappella per la messa domenicale.
Insomma, mentre le mie sorelle sbuffavano a sentire il nome delle Borioli, due donnine magre spesso con vestiti a pois, ed i capelli raccolti,  io ero contenta perchè elogiavano per i miei lavori all'uncinetto, che a sette anni avevo appena imparato a fare con la mamma. Patine rettangolari che avevano il bordo come la lama di una sega, patine rotonde che facevo e disfacevo, finchè non riuscivo a farle restare piatte.

porte

Qualche notte fa, nel sogno ero nella villa di Baveno, il cuore della mia infanzia. Stava scendendo la notte, ero con la mia famiglia, e fuori dalle finestre si vedevano dei volti, ed avevo paura. Una donna dalla pelle scurita si era messa a dormire seduta appena fuori della porta principale, la vedevo attraverso il vetro Poi era stata la notte, ed era passata tranquilla. Un mio sogno ricorrente è stato a lungo un branco di lupi in giardino, proprio in quella casa. In questo sogno invece si aggiravano nel giardino sconosciuti, che non forzavano per entrare.
A pensarci ora, quante porte in quella casa, e quante vetrate… tutto il pian terreno era a finestre. C'erano due porte che davano sulla terrazza prospiciente il lago, quella sul davant era doppia, la porta a vetri e quella di legno con la sbarra. L'altra laterale, verso il prato con la fontana dei gemelli, me la ricordo solo  col vetro, ma ora che sono grande, non penso che potesse essere solo così. Però, la sera si chiudeva a chiave anche la porta di quel salone, erano quattro saloni in fila, quindi forse sì, c'era solo il vetro. 45 anni fa non si aveva tanta paura, forse la si aveva ma le cose non succedevano, non mi ricordo di furti in quella casa, ma ero piccola, forse a me non lo raccontavano. C'era la porta, quella dove ho sognato la donna, che era doppia, era l'ingresso con la scala che saliva ai piani con le stanze. Poi c'era ancora una porta, considerata più  di servizio, vicino alla scala che scendeva in cucina. Già, per la cucina, si scendeva, una scala di pietra, anche un po' ripida, ti portava in uno stanzone piuttosto buio, con un tavolo in mezzo, ai lati si aprivano le porte di due cantine. Un posto che intimoriva una bambina… ma avanzando verso la luce, si arrivava alla cucina vera e propria, quella con la dispensa, e la cucina  e la legna, e il tavolo dove mangiavano la Piera e la Francesca. La Francesca era la moglie del giardiniere, e faceva la cuoca, e oggi ripensandola mi accorgo che doveva essere timidissima. La Piera invece era di Roncaro, il paesino vicino, e serviva a tavola, e mi ricordo che stirava, sotto un portico appena fuori dalla cucina, che proseguiva nella stanza dei giochi.
Quando c'ero io, la stanza dei giochi era ormai una stanza di rottami, i giochi non erano stati i miei, ma quelli dei cugini più grandi di me. C'era dentro un po' di tutto, anche riviste, leggevo Gente, in bianco e nero, e Stop. Ho assistito all'agonia del grande plastico del trenino, con la galleria, i paesini…un giorno non c'è più stato, al suo posto c'era un ping pong.  Lì non credo che pulisse mai nessuno, tranne forse la sottoscritta con una scopa più grande di lei,  già da piccola davo  segno di voler trasformare nella mia casa qualunque posto dove mi fosse trovata ad essere. Anche lì c'erano porte da chiudere bene per la notte, ma non so come dovessero essere, facevano Piera e Francesca,  prima di tornare alle loro case. Nessuno credo andasse in cucina di notte.  Un piccolo frigorifero e un lavello c'erano anche di sopra, prima della sala da pranzo.
Stavo spesso da sola, e spesso avevo pensieri paurosi, mi avventuravo per le stradine inselvatichite del giardino, ma poi scappavo indietro, altre volte arrivavo, con tanto di bastone di  castagno, fino ai terreni incolti sopra la villa, sopra l'orto, dove c'era un fico e dei castagni… e non avevo neanche dieci anni, e avrei potuto incontrare chiunque.
Forse mia madre stava giocando a carte, forse i miei fratelli erano via con gli amici nelle altre ville. Non mi ricordo che mi cercassero, forse non si accorgevano neanche quando mi allontanavo, o forse lo dicevo, ma mia madre non credo capisse dove andavo, lei non si muoveva mai. Di solito stavo nell'ultimo salone, quello con la porta solo di vetro, stavo sempre lì a leggere, a disegnare, a  schierare  eserciti  delle fiches colorate dei grandi per giocare a pulce sul tappeto. Sono riuscita ad avere in casa mia il cane di bronzo che stava in quella stanza contro la vetrata, ed il quadro con i monelli sotto l'albero di ciliegio. Per me erano Tom Sawyer ed i suoi amici. E ho anche un po' di quelle fiches.

filobus

La signora occhialuta seduta sul filobus mi lancia uno sguardo di comprensione e complicità, ma non la conosco, e così mi giro per vedere se qualcuno alle mie spalle ha raccolto il suo cenno.

No, era tutto per me.

Ora lei sfoglia una rivista, io invece resto in piedi nel mezzo stracolmo, una situazione che odio perché mi sento esposta ai borseggiatori, mi è già accaduto su quella maledetta filovia.

Arrivano zaffate di uno strano odore, e la signora seduta lancia un sospirone, lei sospira mentre io vorrei resistere in apnea.

Dal sedile alle sue spalle una zingara raduna i suoi sacchetti di plastica stracolmi e si prepara per scendere.

La signora seduta mi mormora “Meno male, non se ne poteva più”.

Cerco di restare inespressiva, non intendo partecipare ai discorsi, prevedibili, che sono iniziati tra le signore intorno  ed un pensionato,  subito dopo la discesa  della zingara, ormai gli effluvi del mezzo li conosco anche troppo bene, e non sono rari, se vogliamo vedere, anche gli italiani flatulenti di alcool e malvestiti.

L’altro giorno invece era salito un vecchietto, di quelli tutti minuti e grinzosi, sul mento un accenno di barba bianca della giornata, e degli occhiali con una vistosa montatura nera, ed un piumino bianco, troppo grande per lui, e sentivo tutt’intorno odore di zucchero filato, e  pensavo che qualche volta succedon cose che sembran venire da una fiaba.

nostalgia

Qualche volta mi viene voglia di tirar giù dall'armadio la mia scatola delle lane, e vedere di far qualcosa, chessò, un golf per il nipotino, o coi cotoni, il mininmo sindacale,  almeno una patina per le pentole. Poi mi immagino  ferma sul divano a sferruzzare, e penso che non durerei molto, e poi, trovare un posto a sedere sul divano di casa, è quasi impossibile, e poi, il micio Zampi è goloso di fili… insomma, l'idea mi passa. Però, le scatole della lana, dei cotoni e del punto a croce, continuo a tenerle.

a chi il carbone?

L'assistenza informatica per i Tribunali… non ci sono i fondi.
La carta igienica a scuola… non ci sono i fondi, ma neanche per la carta delle fotocopie.
La maestra di mia figlia chiedeva al fondo di classe dei genitori anche le biro  rosse, ma questo credo fosse un problema suo.
Qualunque cosa si debba fare nel pubblico, per il pubblico, non ci sono i fondi.
I servizi che ci sono, si tagliano, non ci sono i fondi.
Ma ci sarà un motivo perchè mancano i fondi, quando gli italiani pagano le tasse, pagano in più  anche un ticket o un qualcosa sui servizi che utilizzano, che di gratuito c'è sempre meno.
Mi sembra un ragionamento così semplice: da qualche parte i fondi vanno, dobbiamo trovarli.
E non so perchè, li vanno sempre a cercare da chi paga due volte le cose, ma sì dai, facciamogli pagare un po' di più ancora, o togliamogli anche quello, facciamo che pagano, ma poi non c'è il posto,  come l'asilo nido.
Mai che ci sia una seria revisione dei superstipendi, dei supermanager, delle superconsulenze, e dei superlavori che non servono a nessuno.
Per esempio, quanto abbiamo pagato l''impresa che ha fatto gli scivoli agli angoli dei marciapiedi di Milano?
Non ce ne è quasi nessuno che non abbia un saltino, in fondo al quale non si formino piscine quando piove.
Invece di pagarli, io mi farei risarcire da chi ha lavorato così male.
Volete  incassare più tasse? basta che aumenti il numero delle persone che lavora.
Si formeranno delle famiglie, che consumeranno, e contribuiranno così a far lavorare le aziende.
Per governare bene si deve favorire il benessere della popolazione, non soffocarlo.
Oh! ecco, l'ho detto, mi sembrano dei concetti così semplici, sono così difficili da realizzare?