Archivio mensile:aprile 2009

liberazioni, liber azioni

“Verso le venti e trenta, quando sono all’inizio di corso Buenos Aires, ti faccio uno squillo e scendete” scrivo a Donatella.

Invece, sono le venti e venti, quando parto  da casa, mi programmo sempre le cose come fossi Superman, anzi Superwoman, mentre i minuti scorrono via, facendosi quarti d’ora. Non ho più la percezione del tempo, io vado tranquilla e lui corre. “Arriverò in ritardo di 12 minuti” rimando sms. Non so se saranno 12…ma mi piaceva scrivere così, avrebbe fatto sorridere, e dava l’idea dell’imponderabile.

L’imponderabile era in agguato in via Melzi d’Eril, direzione Arena, auto immobili, solo in quella direzione lì, la mia: con una manovra degna di un ritiro della patente, faccio inversione a U per ritrovarmi nel traffico di via Procaccini, si va piano, ma si va, chi va piano va sano e va lontano, fino in Viale Monza, fino in via Rovetta 14, al circolo ARCI di Turro, laddove ormai sto trascorrendo i miei giovedì sera.

Per la serata è in programma un reading, “reading resistenziale”, è una serata un po’ speciale, ho potuto seguirla dalla sua nascita, e poi questa volta ci sono gli amici.

Forse è meglio dire  ho potuto seguirne la gravidanza, pensando invece alla serata  dell’evento come la nascita… ha un significato diverso, direi.

 

I ragazzini scendono dalla mia macchina, ed anche la loro madre in gonna, e si commenta la novità (la gonna) indossata senza calze sull’onda della giornata di sole, mentre ora tira vento e minaccia il temporale.

 

Nella saletta un forte accento napoletano irrompe, ce l’ha con l’illuminazione, che a guardare la “scena” con il neon negli occhi  resta ciecato, e già quella sceneggiata mette di buon umore e riscalda, se mai ce ne fosse stato bisogno,  è irresistibile, si ride tutti.

Le cantanti, accompagnate dalla chitarra di Mario, sfornano i primi brani, dei quali, ovviamente, non so né ricorderei mai il titolo…ripenso a Milva, alla bocca di Milva, però loro son più fresche,  partecipano e compartecipano.

 

Tocca a Guido leggere brani del libro che ha tratto dall’intervista a Silvio Villa, soldato e deportato, ascolto  attenta, cose che credevo di sapere ed invece no, queste non le so, e son faccende umane, erano i nostri soldati, perché gli eserciti son uomini in mezzo a uomini, e se leggi di storia, le cose non son raccontate così.

 

E’ attento anche il più grande dei ragazzini, il piccolo è invece troppo piccolo, si divincola in braccio alla madre,  “andiamo a casa” cantilena assonnato, nel momento delle canzoni spalanca gli occhi.

 

Chiara tiene tra le dita pochi fogli, legge il  racconto nato da un suo incontro in occasione del film Binario 21, cui ha partecipato…lì mi sono un po’ persa invece, perché Chiara leggeva benissimo, con  freschezza e profondità, e seguivo più la voce che le parole, qualcuna mi colpiva, e restavo a soppesarla  linguisticamente,  tipo “dragavano le panchine”,  son rimasta ferma un bel po’ in quell’immagine di persone che cercavano.

 

La madre cede, la riaccompagno a casa con i due figli, il grande sembra spiaciuto, avrebbe resistito, afferma. In effetti, di Resistenza, si trattava!

Così  perdo una buona parte dell’intervento di Paolo, che sventola il suo canovaccio parlando delle quattro giornate di Napoli, durante le quali suo padre ragazzo  con gli amici nascose un cavallo, questo ho fatto in tempo a  sedermi di nuovo ed a sentirlo, .e a sorriderne  con gli altri.

 

E mi viene da pensare che quel che ricordo io della mia famiglia e la Resistenza, è solo il racconto dell’impresa della mia indomita nonna paterna che, sfollata nella sua villa a Mazzè, una sfollata di lusso con tanto di servitù, prese il calesse ed andò dal capo dei Partigiani a farsi rendere il volugrafo dello zio, sottrattogli per la causa  mentre arrivava da  Milano. Un ricordo un po’ così, insomma, ma i miei nonni paterni stavano dall’altra parte,  della quale non mi hanno lasciato ricordi.

Col nonno  condividevo  piuttosto la raccolta di francobolli di tutto il mondo, affascinanti e coloratissimi, tanto quanto cupi e monocordi erano quelli italiani.

Ma questo è divagare…la mia specialità.

Perché dopo rapidi sguardi e cenni d’intesa,  Chiara  riappare, questa volta gira le pagine di un libro, e le legge, legge i pensieri  di madre, di una madre cui l’esercito sta portando via un figlio giovanissimo, una madre della Slesia, una madre è  ovunque una madre, e, forse non ci si pensa mai, non tutti i tedeschi erano nazisti. Poche pagine di Franz, vive, e toccanti, scritte da un figlio, figlio e nipote, lette da una donna.

 Comunque, se dovessi fare una sintesi della serata,  direi che usiamo spesso  con noncuranza vocaboli  tipo leggere, cantare, dire, e non pensiamo che potrebbero, dovrebbero funzionare anche  come  sinonimi di trasmettere… invece Guido, Chiara, Paolo, e Simonetta e Nadia, le cantanti,  di certo non lo hanno solo pensato.

E poi comincio ad amare questa saletta, per quanto lontana da casa mia.

In programma per il prossimo giovedì mi pare ci sia poesia in lingua, dialetto, e un poeta rumeno ed uno egiziano.

C’è voluto del coraggio stamattina, con la luce senza forza che filtrava a stento  grigia dalla finestra, e i caloriferi spenti, ad uscire dal letto e buttarsi sotto la doccia, e regolare l’acqua… ma altrettanto coraggio a chiudere il getto caldo, e mettere il piede fuori dalla nuvoletta di vapore acqueo.
Una cosa del vivere da soli, è che si è l’unico produttore di calore animale in giro per casa. 

A Banchette.

Lasciando l’autostrada per Torino, e prendendo quella per Aosta, le Alpi erano di fronte, vicine, tangibili…è logico, andando verso la Val d’Aosta, ma non me le aspettavo…. come se non me ne ricordassi, che esistevano le montagne, quelle vere, alte, con le rocce e il verde scuro, ed il bianco della neve. I prati a lato dell’autostrada erano verde tenero, anche le foglie degli alberi, nitidi e luccicanti  nella luce tersa del cielo grigio chiaro, il cielo della pioggia indecisa a cadere.

filmatino beccato in giro…

se penso che di solito a fare la differenza è il comma  dell’articolino….
Ora, Gasparri è Gasparri, ma lasciamo perdere chi è… quanti in Parlamento fanno uguale, si trovano nella stessa situazione? Chiedo, ma la risposta la so già.. cioè, non è che lo so, sono  sicura che sia così…

Entra nella sala bassa una persona di statura medio bassa, occhiali, capelli abbastanza corti, neri. L’amica ci lascia soli al tavolino, con la persona si dirige  verso i microfoni, si siedono sulle sedie appoggiate alla parete. Le luci si abbassano, o meglio, ne vengono spente alcune.  La poetessa in  milanese inizia a declamare le sue poesie. Scruto la persona,  ha aperto la giacca, ha una maglia, potrebbe quasi avere il seno, poco. La sbircio, sento che mi osserva. Penso che sia una donna cui piacciono le donne, poco fortunata nell’aspetto esteriore.
"Te si vede che sei un uomo" bisbiglio al mio vicino. Ride… piano, leggono le poesie non si deve disturbare. Io le ascolto, un po’ mi perdo però, come sempre quando ascolto leggere, e come mi succedere per i testi delle canzoni, se cerco di ascoltarli attentamente, se cerco di coglierne le parole scindendole dalla musica. Lo stesso nel comprendere il dialetto milanese, la lingua milanese come l’hanno chiamata i due poeti… mi restano nel pugno le parole che stanno dicendo, e quelle prima han fatto puff. Quando si va ad una lettura, sarebbe bello anche avere il testo, per una zuccona come me.
Un po’ mi perdo anche perchè osservo la sua mano, la mano del mio vicino, e penso che non ho avuto prima tanto modo di fare questa conoscenza tattiloftalmica, tattile con gli occhi, cioè. Scelgo oftalmica invece di visiva perchè sono reduce dalla visita oculistica, il cristallino si tiene ancora.
Un po’ mi perdo anche perchè le mani ora stanno imbrigliate sotto il tavolino, la mia e la sua, e si carezzano, e penso quanto è dolce, ed incredibilmente normale questa sensazione.
Succede anche che la serata finisce, e le luci si riaccendono, e comunque stiamo vicini a parlare con gli altri, e  poi usciamo,  e  arrivati alla mia macchina sembri impossibile lasciarsi… è come una telefonata, in cui si dice ciao ci sentiamo, e poi torna in mente qualcosa da dire, e si riprende, e nessuno fa click. Ma un click alla fine deve esserci, però sorrido, mentre avvio la macchina, sorrido perchè rivedo il suo,  di sorriso, che è buono, e penso come siamo semplici, è questo che è incredibile.

Le camelie hanno lasciato il posto alle azalee

Ed anche i fiori bianchi, e rosa, e gialli degli alberelli e delle siepi stanno lasciando il posto alle fogliioline verdi e tenere. Foglioline che crescendo diventeranno impolverate e  torride, ma non voglio pensarci.
Anche quei grovigli grigi di foglie e di frutto, rimasti sui platani che vedo dalla finestra,  sono scalzati dalle foglioline.
Voglio godere della loro lucentezza e non pensare alla polvere secca dell’estate.
La trapunta del letto è un po’ tutta tormentata, l’alternanza del caldo e del freddo, ed i passaggi dei gatti.
I gatti irrequieti nella casa nuova, così rumorosa, così  "sulla strada",  di notte c’è sempre qualcuno che passa urlando, o le moto, e il tram che sferraglia all’alba.
Gatti quatti, guardinghi, felpati… spazi da conoscere, salti da calibrare, impronte sul lavandino, si strusciano,  ti scrutano dalle postazioni sconosciute, ma ora conquistate.
Dico dei gatti, ma potrei anche dire di me.