“Verso le venti e trenta, quando sono all’inizio di corso Buenos Aires, ti faccio uno squillo e scendete” scrivo a Donatella.
Invece, sono le venti e venti, quando parto da casa, mi programmo sempre le cose come fossi Superman, anzi Superwoman, mentre i minuti scorrono via, facendosi quarti d’ora. Non ho più la percezione del tempo, io vado tranquilla e lui corre. “Arriverò in ritardo di 12 minuti” rimando sms. Non so se saranno 12…ma mi piaceva scrivere così, avrebbe fatto sorridere, e dava l’idea dell’imponderabile.
L’imponderabile era in agguato in via Melzi d’Eril, direzione Arena, auto immobili, solo in quella direzione lì, la mia: con una manovra degna di un ritiro della patente, faccio inversione a U per ritrovarmi nel traffico di via Procaccini, si va piano, ma si va, chi va piano va sano e va lontano, fino in Viale Monza, fino in via Rovetta 14, al circolo ARCI di Turro, laddove ormai sto trascorrendo i miei giovedì sera.
Per la serata è in programma un reading, “reading resistenziale”, è una serata un po’ speciale, ho potuto seguirla dalla sua nascita, e poi questa volta ci sono gli amici.
Forse è meglio dire ho potuto seguirne la gravidanza, pensando invece alla serata dell’evento come la nascita… ha un significato diverso, direi.
I ragazzini scendono dalla mia macchina, ed anche la loro madre in gonna, e si commenta la novità (la gonna) indossata senza calze sull’onda della giornata di sole, mentre ora tira vento e minaccia il temporale.
Nella saletta un forte accento napoletano irrompe, ce l’ha con l’illuminazione, che a guardare la “scena” con il neon negli occhi resta ciecato, e già quella sceneggiata mette di buon umore e riscalda, se mai ce ne fosse stato bisogno, è irresistibile, si ride tutti.
Le cantanti, accompagnate dalla chitarra di Mario, sfornano i primi brani, dei quali, ovviamente, non so né ricorderei mai il titolo…ripenso a Milva, alla bocca di Milva, però loro son più fresche, partecipano e compartecipano.
Tocca a Guido leggere brani del libro che ha tratto dall’intervista a Silvio Villa, soldato e deportato, ascolto attenta, cose che credevo di sapere ed invece no, queste non le so, e son faccende umane, erano i nostri soldati, perché gli eserciti son uomini in mezzo a uomini, e se leggi di storia, le cose non son raccontate così.
E’ attento anche il più grande dei ragazzini, il piccolo è invece troppo piccolo, si divincola in braccio alla madre, “andiamo a casa” cantilena assonnato, nel momento delle canzoni spalanca gli occhi.
Chiara tiene tra le dita pochi fogli, legge il racconto nato da un suo incontro in occasione del film Binario 21, cui ha partecipato…lì mi sono un po’ persa invece, perché Chiara leggeva benissimo, con freschezza e profondità, e seguivo più la voce che le parole, qualcuna mi colpiva, e restavo a soppesarla linguisticamente, tipo “dragavano le panchine”, son rimasta ferma un bel po’ in quell’immagine di persone che cercavano.
La madre cede, la riaccompagno a casa con i due figli, il grande sembra spiaciuto, avrebbe resistito, afferma. In effetti, di Resistenza, si trattava!
Così perdo una buona parte dell’intervento di Paolo, che sventola il suo canovaccio parlando delle quattro giornate di Napoli, durante le quali suo padre ragazzo con gli amici nascose un cavallo, questo ho fatto in tempo a sedermi di nuovo ed a sentirlo, .e a sorriderne con gli altri.
E mi viene da pensare che quel che ricordo io della mia famiglia e la Resistenza, è solo il racconto dell’impresa della mia indomita nonna paterna che, sfollata nella sua villa a Mazzè, una sfollata di lusso con tanto di servitù, prese il calesse ed andò dal capo dei Partigiani a farsi rendere il volugrafo dello zio, sottrattogli per la causa mentre arrivava da Milano. Un ricordo un po’ così, insomma, ma i miei nonni paterni stavano dall’altra parte, della quale non mi hanno lasciato ricordi.
Col nonno condividevo piuttosto la raccolta di francobolli di tutto il mondo, affascinanti e coloratissimi, tanto quanto cupi e monocordi erano quelli italiani.
Ma questo è divagare…la mia specialità.
Perché dopo rapidi sguardi e cenni d’intesa, Chiara riappare, questa volta gira le pagine di un libro, e le legge, legge i pensieri di madre, di una madre cui l’esercito sta portando via un figlio giovanissimo, una madre della Slesia, una madre è ovunque una madre, e, forse non ci si pensa mai, non tutti i tedeschi erano nazisti. Poche pagine di Franz, vive, e toccanti, scritte da un figlio, figlio e nipote, lette da una donna.
Comunque, se dovessi fare una sintesi della serata, direi che usiamo spesso con noncuranza vocaboli tipo leggere, cantare, dire, e non pensiamo che potrebbero, dovrebbero funzionare anche come sinonimi di trasmettere… invece Guido, Chiara, Paolo, e Simonetta e Nadia, le cantanti, di certo non lo hanno solo pensato.
E poi comincio ad amare questa saletta, per quanto lontana da casa mia.
In programma per il prossimo giovedì mi pare ci sia poesia in lingua, dialetto, e un poeta rumeno ed uno egiziano.