Non ho potuto chiamarti, anche se lo smartphone porta ancora il tuo numero, e l’ultima telefonata prima che te ne andassi per sempre.
Forse te ne avrei scritto già ieri notte, senz’altro ti avrei chiamato oggi per raccontarti.
Mi trovavi sempre sciocca perchè al Van Ghè non volevo parlare o essere chiamata per i ringraziamenti dopo la tua presentazione degli autori, anzi, la tua regia.
Mi rimproveravi per la mancanza di autostima, di fiducia in me stessa.
Mi dicevi da sempre che scrivevo molto bene, ma non ero una scrittrice, ed ero d’accordo con te, non ho una storia dentro che pulsa. Scrivo i miei quadretti, non saprei fare altro. Però, se li avessi raccolti in un libro, lo avresti presentato volentieri.
Mi fa sempre sorridere, rileggerti “il 24 sera, come annunciato eoni luce or sono, io ti chiamerò al proscenio, tu avanzerai senza fare sorrisini di timidezza preventivi e successivi, prenderai l’applauso del pubblico e te ne tornerai al posto. Tu fai troppe cose perché ti s’identifichi con quel che sei, quanto dire il direttore artistico delle serate letterarie. Così ti qualificherò io, da domenica 24 in avanti ”
Ecco, ieri mi sono vinta. Ho letto in pubblico, due pezzi del mio blog, in piedi, in bella vista.
Mi sono vinta ma non abbastanza, perchè non ho avuto il coraggio, non mi sembrava mai il momento, di dire che speravo di non fare una figuraccia perchè volevo dedicare questo momento a Giovanni Choukhadarian, l’amico che mi aveva sempre spronato ad avere fiducia in me stessa e a non stare in un angolo, l’amico che in febbraio se ne è andato via su un arcobaleno, e manca sempre tanto … ecco, Giovanni, ho provato a fare come dicevi tu.
Ero emozionata, ho letto troppo veloce, ma mi sembrava che quello che leggevo piacesse abbastanza al pubblico. A momenti mi cadevano i fogli, mi tenevo con un dito al leggio e sentivo il leggio spostarsi e temevo che cadesse, avevo una fretta immotivata, ma nessuno mi diceva di fare in fretta se non l’emozione dentro di me.
Grazie, amico mio
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