Archivio mensile:giugno 2012

Quasi amici

Il titolo italiano mi sembra privo di senso, meno peggio l’originale francese, Intouchables: probabilmente hanno preferito cambiarlo perchè non si pensasse che fosse un film sui  politici italiani.

Di questo film dello scorso febbraio, ormai arcinoto, tratto da una storia vera, campione d’incassi in Francia e in Italia tra i film francesi,  9 candidature al premio Cesar vinto da Omar Sy come miglior attore, e che  sta quasi uscendo dalle sale, posso dire le cose che dicono tutti, sulla bravura degli attori, sul giusto mix di humour, sdolcinature etc.: mi è piaciuto, mieloso q.b, mi ha fatto sorridere, ed anche scendere qualche lacrima.
E poi, per la scena della scorta della polizia, il miliardario ed il badante (veri) si sono certamente ispirati a “Quattro bassotti per un danese
Quelli che piuttosto intendo considerare del film, e tenerli a mente, sono alcuni particolari umani, tipo la serie dei  colloqui per la scelta del “badante” ,  una sfilata di ipocrisie. Professionali, gli aspiranti infermieri, erano  tutti pronti ad assistere il malato come fosse una pianta in vaso, in quanto “diverso”, in quanto condannato a non vivere.  E ti rendi conto,  improvvisamente, quanto quei luoghi comuni. quelle cure, la commiserazione, siano utili solo a soffocare con lentezza ogni barlume di desiderio di vita nel malato. L’infermiere con il camice, parla compitamente dei mali del fumo viene allontanato in malo modo, nulla può rispetto l’ex galeotto e manesco Driss che induce il tetraplegico Philippe a parlare di sesso, e gli passa lo spinello,  e lo porta da certe massaggiatrici. O si dimentica di tenergli il telefonino, e Philippe parla con il suo parente che lo mette in guardia contro quello sconosciuto ” Capisci che lui si dimentica che non posso tenere il telefono? che non mi pensa come uno malato” ecco, le parole non erano proprio queste, ma il senso c’è.
Allora mi  chiedo quante volte, anche involontariamente, manchiamo di rispetto, umiliamo altri semplicemente facendo avvertir loro commiserazione da parte nostra,  o che li trattiamo in modo diverso. Ma penso anche ai bambini, quando li trattiamo da bambini,  e gli diciamo ” tu sei troppo piccolo” senza magari spiegargli, non li aiutiamo a crescere. O chi non trova lavoro. O chi è troppo vecchio.
Solo pensieri così, non una rece.

vedrete la musica, ascolterete le immagini

Così veniva presentato, quando ero piccola, il film di Disney, Fantasia, per il quale avevo una vera passione, non solo per i piccoli cavallini alati e  la Danza delle Ore con ippopotami in tutù e coccodrilli.
Ieri sera mi è successo con questo:

e come questo ho visto che ce ne sono tanti altri.
Ascoltavo la musica, e guardavo lo spartito, cercando di ricordarmi quella grammatica, e la frequenza delle note ha preso forma nella musica…affascinata ho seguito gli spartiti, e poi ancora, riproduci il video.
Forse, per osmosi, posso arrivare a comprendere meglio il linguaggio musicale?
E’ una delle cose in lista ” da fare prima di morire” come l’imparare a dipingere con gli acquarelli, solo che se la pensione me la spingono sempre più in là, mi rovinano i piani.
E qualche volta penso che morirò presto, mi fa paura la casa dell’Oltrepò, così piena di crepe verticali e orizzontali, forse vuole inghiottirci, e allora se muoio presto sarebbe il caso di non rimandare nulla.
Anni fa, avevo  cominciato a lavorare da poco, un giorno a casa ha suonato il campanello, ed era un pianoforte. Non che non avessi avvisato i miei genitori o la cameriera, di aver noleggiato un piano forte, ma credo non mi avessero dato retta.
Insomma, avevo questo piano verticale in camera, ed andavo a lezione un paio di volte la settimana da Susanna, in via Lovanio, quasi la cerco che debbo ancora restituirle una guida turistica su Firenze, mica l’ho buttata via, si sa mai nella vita. Così un po’ le note le avevo imparate, le palline vuote e piene, e le minime e le biscrome… ora non mi ricordo più nulla, mi ricordo che le frazioni di note dovevano fare l’intero, che equivaleva alla pallina… era così? Mah!  In ogni caso, il mio solfeggio era di uno stonato pazzesco, potrei sognare me che solfeggio  una notte che ho gli incubi. E per suonare, mi vergognavo a provare, mi vergognavo con gli stessi tasti, mi vergognavo che mi sentissero, un po’ la vergogna che provo a cantare o stare in pubblico.  Forse mi riesco ad esprimere scrivendo e con le fotografie, perchè non appaio.
Fatto sta che il pianoforte dopo giorni e giorni di silenzio se ne tornò alla Ricordi.

Una settimana di ferie in meno

 Volevo rileggermelo per quanto mi era sembrato assurdo, e sono andata a ripescare l’articolo di ieri sull’ultima uscita di Polillo, che è stato per l’occasione ricordato come quello che proponeva la tassa sui cani.
Premetto doverosamente di non essere un’economista, e semmai un’economa-fallita- nella gestione domestica.
Bisogna aumentare il PIL, dice, lavoriamo nove mesi all’anno,  e quindi dovremmo lavorare di più senza aumento di retribuzione. A prescindere che l’azienda dove lavoro lo sta già facendo,  mi chiedo quali sarebbero le prime ripercussioni.
Innanzitutto, potrebbe venire trattato a mo’ di San Sebastiano da tutto il settore connesso al turismo, che già ha visto cali paurosi nelle prenotazioni e quant’altro.  Mettiamoci anche le visite ai Musei, che si stanno dimostrando redditizie per lo Stato (speriamo chelo Stato  se ne accorga).
Se bisogna incrementare la crescita, e quindi i consumi, quel lavoro che dovrei fare io per una settimana, potrebbero affidarlo a un nuovo assunto: eccoti un nuovo consumatore e pagatore di tasse. Ovverossia,  un giovane non disoccupato, o un esodato che riesce ad arrivare alla pensione dove gliela ha messa la Fornero, o una donna non penalizzata rispetto al maschio,  o un extracomunitario comunitario…  perchè proprio sulle spalle del lavoratore già lavoratore,  novello Atlante, sottopagandolo quindi rispetto alla media europea?
E poi, scendendo nelle piccole vicende quotidiane,  per lo più  inimmaginate dai gestori di cosa pubblica,  una settimana di ferie in meno, con scuole e asili chiusi, ad una madre importa, e anche costa, e poi,  passare un po’ di tempo con i propri pargoli, mica nuoce alla crescita, neanche a quella italiana.

Vanghè

La serata di ieri sera, per quanto interrotta, sono rincasata presto, mi è sembrata meravigliosa, e chissà cosa ho perso….
E’ stata un po’ una sorpresa, non avevo letto programmi precisi, e poi, se appena posso, a priori, al Vanghè vado, che si stia bene, che l’intrattenimento sia di qualità, per me è scontato, i programmi li salto anche.

Presenti, tanti, alla serata di “chiusura” delle attività della stagione 2011-12, che poi chiusissimo mi sa che non starà. Presenti anche tanti artisti, molti che proprio non conoscevo, ma d’altra parte non ho la presunzione di conoscere tutto e tutti, ho fatto per anni una vita tra lavoro famiglia, scuole, ed è dal 50esimo compleanno che mi sono regalata, e pretendo, di metter il naso fuori da quel circolo “vizioso”, ed il terreno da recuperare è tanto.
Così, oltre alla schiettissima poetessa Anna Lamberti Bocconi,  ho  ascoltato i cantautori, Folco Orselli e il milanesissimo Giangilberto Monti, e  Ruggero Dondi che si è cimentato con  poesie di Campana scritte da lui, con molta verve, e sorpresa, batteria basso tromba e chitarra, son scivolate via le note di tre brani di jazz.
E quando sono andata via si stava preparando Roberto Zanisi,
Con molta timidezza, quasi vergogna, si  faceva cenno ad un cartello, con delle formule di abbonamento per gli spettacoli del prossimo anno… ma che vergogna e vergogna, il Vanghè deve crescere e prosperare, che se lo scopo dell’associazione è supportare il disagio mentale, ci fa star bene anche noi, non ufficialmente mentalmente disagiati, ma tanto tanto stanchi  e ci piace trovare, in  via Bastia 15, a Milano, disperso tra  casone e capannoni, la fetta di mondo che ci offre il Vanghè.

 

 

La fabbrica dei fantasmi.

Un librino,  La fabbrica dei fantasmi , 130 pagine ma non le dimostra, si comincia a leggere e non si smette sinchè è finito.
Perchè? Non so, vediamo.
Si era detto, nella presentazione della scorsa settimana, che i personaggi, ed il posto, non hanno un nome, ma in fondo quel posto, lo abbiamo bene in mente tutti, e i nomi possiamo immaginarli, ma non serve che si chiamino chessò  Agnieszka o Fritz, o Rafiki, o Siroune.
Qui,  l’autrice elenca  Le Voci:
La madre, il militare, il ragazzo, la figlia, l’amico del ragazzo, il colluso, il fantasma, il Rosso.
Queste voci parlano, parlano a te lettore, o parlano a se stessi? Sono voci senza suono,  cose che non vengono dette a voce alta, nè urlate.
Non importano i nomi e il luogo,  perchè questa vicenda è astratta, non nel senso di irreale che si dà adesso a questa parola, ma per il suo stretto significato etimologico, di distacco, cioè, questa vicenda ha potuto accadere  settant’anni fa, ma anche cent’anni fa, o anche venti, e potrà succedere ancora.  Una prova di forza tra il potere, la fame e l’ignoranza, la storia, il suo ciclo, la lotta per la sopravvivenza,  lotta,  o resa che sia.
La madre, da contadina che bada al sodo, e a far andare avanti la baracca, non ha pensieri di morale appunto se non legati a vantaggi pratici.  La figlia, che mi ostino a pensare come la ragazza,  è indicata come figlia, quindi  un personaggio imbrigliato, mentre il ragazzo, maschio,  non è sottoposto ai pregiudizi, studia, si accorge che qualcosa non quadra, in quella fabbrica.
Stupita mi accorgo riportando l’elenco delle voci che non c’è il vecchio, il padre, eppure così presente. Al solito, non voglio dir tanto della trama, per non rovinare il gusto della lettura.
La vicenda è delineata da queste voci, dai  dialoghi con se stesso di questi personaggi, strutturata un po’ tipo  La scomparsa di Patò, di Camilleri, che tanto mi piacque, dove la storia è creata invece da lettere e dalle relazioni dei carabinieri,  o tipo Caro Michele della Ginzburg.
Non so se sia la particolare composizione narrativa che mi prende, sono tutti libri che ho divorato, come a suo tempo anche il Diario di Anna Frank, forse  mi tiene più vicina di un racconto in terza persona, o un di un io narrante? Ma no, mi sono bevuta anche Zola, Tolstoj, Verga e anche Bulgakov.
Sicuramente, l’Olocausto è un argomento che attanaglia, per l’orrore, per la bassezza, l’immedesimazione, perchè resta sempre dentro l’immagine di persone tranquille nelle proprie case che vengono trascinate via, e chissà se potrebbe capitare anche a te, cosa faresti, sei genitore, figlio fratello, amico, quale strazio grande è…
Certo fatico a correlare le vittime all’attuale popolo di Israele, del quale non so bene cosa pensare, e forse è questa proprio la Storia.
In ogni caso, questo bel librino mi piace immaginarlo recitato in teatro, un po’ come la presentazione cui ho assistito.

Evento con sottotitoli.

Il I Festival della letteratura di Milano,  è nato da un’idea che riguardava gli scrittori italiani “d’altrove”, che poi si è via via estesa,  e questo non saprei dire se sia stato  un bene o un male: in un territorio dove allignano movimenti tipo la Lega, e dove gli stranieri, comunitari e non, sono numerosissimi,  porre l’accento sull’unità culturale, o  condivisione che sia,  non nuoce certo all’ambiente.
Ieri sera, organizzata da Torno Giovedì  in uno dei posti più belli di Milano, lo dico sempre del Vanghè, si è parlato del libro di Francesca Bettelli, il suo primo,  La fabbrica dei fantasmi, Gaffi Editore.
“Mia sorella non mi crede, ma io l’ho vista.
Era un treno come gli altri scuro silenzioso nessuna scritta…poi eccola, una mano infilata tra una fessura delle assi. Senza vita.
Non riesco a dimenticarla.
Continuo a vederla.
Perchè portano i bambini alla fabbrica?”
Un libro di voci, voci senza un nome, in un posto senza un nome, che si sa dov’è, ma potrebbe essere ovunque, nella nostra vita quotidiana, frenetica, nella quale anneghiamo i nostri fantasmi. Potrebbe succedere ancora, succede tante volte, e non ce ne accorgiamo…l’indifferenza, la paura, il nostro orticello.  Dire “Il Re è nudo”
Questa cosa delle voci mi ha ricordato il buio, ed il tintinnio nel museo ebraico di Berlino, e lo spiraglio di luce lassù.
Ma in questo libro, che leggerò, le voci sono altre, quelle di chi vive intorno alla fabbrica, e di un militare, e di un fantasma:  Margherita Remotti ha interpretato il ragazzo, la ragazza, il militare, con il solo ausilio della voce, di una sedia e di un tavolo, cambiava la scena, ci catturava.  Frasi semplici, scandite che nel contesto dicono tanto di più, delle nostre scelte e delle nostre non scelte.
Un vibrante Fernando Coratelli, ha introdotto le letture, e il dialogo con l’autrice.
I frequenti applausi erano sottolineati  dal leggero abbaio di NicolaTesla, un giovane carlino, che ha pensato bene di sottotitolare con ringhio moderato alcune parti della lettura, ma occorre dire che con argomenti di tale tensione emotiva,  un sorriso non ci stava male.

Bianco Bric

Stasera, al Vinodromo di via Salasco 21, la mia prima dose di Festival della Letteratura di Milano, dove ho potuto rendermi conto di quanto  poco conosca le liste dei vini, ma secondo me le fanno complicate apposta, per dare un senso all’essere enoteca e non bar. Per forza, ci devono essere nomi sconosciuti ai più.  Perfino la macchina per il caffè è scostata rispetto al bancone, quasi Cenerentola, e chissà il latte, dove lo celeranno.
Così ho ordinato un Bianco Bric, perchè mi ricordava il nome del cane beige ed ispido  della ragazza di tantissimi anni fa di un amico  del capofamiglia.
E poi, non sono stata attenta a ordinare, insomma, è arrivato il vino solo, senza  neanche un cicinin di grana, o un’oliva da rincorrere.

Eccoli!

Il gruppo letterario è affiatatissimo, Luigi Carrozzo ha presentato Fernando Coratelli, Sergio Garufi, Franz Krauspenhaar, Marco Rossari ed i loro libri, Quando il comunismo finì a tavola, Il nome giusto, Le monetine del Raphael, L’unico scrittore buono è quello morto.
Per quanto riguarda i libri, di questi ne ho letto per ora solo uno, e quindi se volete accattatevilli, eccerto che vai ad una presentazione  e ti viene voglia di leggerli.  Anche se a dire il vero qualche volta, non questa, mi è successo di pensare “quel libro non lo comprerò mai”.
Volevo spendere due parole su questo Primo Festival. La parola Festival per me è molto abbinata al mondo della musica.  Quando non si tratta di musica, Festival mi evoca gli sconti dell’Esselunga, Festa del Maiale, Festa dell’Uva, o, in gennaio, Festa del Bianco, che non era perchè cadeva la neve ma perchè c’erano gli sconti sulla biancheria di casa.  Però, al momento, non ho un’alternativa da suggerire.
Spero che questo Festival riesca, per tutta una serie di motivi.  Intanto, è nato dal “basso”, cioè non da un’iniziativa imprenditoriale dei grandi editori, ed hanno collaborato un sacco di volontari. Il Comune non ha stanziato fondi, si vedrà l’anno prossimo.  Milano è piena di piccole iniziative culturali, poco pubblicizzate, magari questa manifestazione risveglia un po’ di attenzione: ricordo per un paio di anni, 2009, 2010, una sorta di piccolo Salone in via Tortona, in ottobre, ma nel 2011, che ci sia stata o no, non mi sono accorta.  Insomma, la cultura non sono solo le grandi case, i grandi nomi, i grandi teatri, occorre prenderne atto  e dare  la possibilità di sopravvivere anche ai piccoli e medi, e la grande Milano ha il dovere di concedere spazio,  questo Festival ci deve, ci dovrà  essere.
Ecco, dicono che Milano imita Mantova. Non so, di Mantova ho sentito dire, non ci sono mai andata, sono stata a Torino e Belgioioso.  Mantova certo ha il vantaggio di essere più raccolta, rispetto Milano, però non mi sento di giudicarla, questa manifestazione, che è solo all’inizio, e mi sembra, come esordio, già abbastanza ricco: è alla fine, che si tirano le somme, e  su queste si elaboreranno nuove idee.

SGRUNT

Da quando ho cambiato la borsa non trovo più le penne, mi servo dal portamatite sul tavolo dell’amministratore. Anzi, portapenne, ho preso una Bic nera.
E’ il momento delle deleghe, ravano di nuovo nella borsa, estraggo la mail stampata. Più che una delega,  è una direttiva, se non fossi d’accordo col delegante posso votare per me in un modo e per lui in un altro? E’ come un’astensione, però, +1-1=zero.
Lei, è ancora accompagnata dalla madre, cui dà la delega, e presenziano in due: proprio non la imparano, che anche in due ha diritto di parlare una sola, che non è una per volta, come  è comunque educazione. Deve parlare solo la delegata, mica caricarsi a vicenda, con sorrisetti tesi di reciproca approvazione, dai, vai, sì così, e aggredire gli agnellini condominiali presenti.
Il discorso sulle fogne è spettacolare, se ne parla per quasi un’ora senza che nessuno pronunci mai il sostantivo di Cambronne, cenni, smorfie, nasi arricciati, sottintesi, ma la parola no, non si può. Allora non la metto neanche qui, è un blog rispettabile, perdinci.
Dunque il rifacimento delle fogne sono nel menù per € 25000,00 e nessuno ha più sentito nessun odore, tranne Lei. Lei non si capacita, chiamiamo l’Asl, agli altri l’idea della full immersion in casini inenarrabili fa accapponare la pelle. “Per favore, metta nel verbale che io ho chiesto l’intervento dell’ASL” dice in tono imperiosamente tranquillo “che poi vi concio per le feste alla prima occasione” sicuramente è il retropensiero. Ci si accorda su una videoispezione per verificare che non ci siano incrinature, prima di fare il lavoro che magari non serve. Io, il film della videoispezione, penso che non lo voglio vedere molto.
La questione del tetto di Lei, del suo nostro corpo interno, è cosa breve, già  il serpente aveva sibilato minacce all’assemblea prima, “mi rivolgerò al giudice conciliatore” pedante e pignola anche nelle minacce, che dovrebbero sgorgare spontanee… Vi farò causa brutti imbecilli, ecco, una cosa così è ammissibile, ma Lei no, che poi Lei ride, ride uguale quando si incavola e quando ride davvero, isterica. Lei avrà il suo tetto rifatto perchè pericoloso,  pagato da tutti come da cavolosa norma di regolamento contrattuale, e nessuno si prende la responsabilità di dire no, che se poi rimanesse davvero sepolta sotto la neve, hai voglia. E allora avrà anche la  sua cappottina alla parete fredda del corpo interno, perchè il ponteggio.
Gli edili dei lavori condominiali debbono ringraziare il dio ponteggio.  Perchè se c’è bisogno del ponteggio, allora si debbono fare tutti i lavori prevedibili per i prossimi 50 anni, indebitandosi per i successivi 100, conviene, per non pagare due volte il ponteggio.
Lei è contenta, potrà essere perfettina, perchè il tetto nostro e la nostra cappottina costano, e allora rimandiamo, rimandiamo alla videoispezione, semmai se non si fanno le fogne si fa almeno la cappottina. Lei non ci capisce, se una cosa va fatta si fa. Lei non ha figli, Lei è seguita passo passo dalla mamma anche se vive da sola, a Lei non so se hanno tagliato lo stipendio, noi ci teniamo le macchie di umido, la parete fredda ancora per un po’.
Cioè, io rinuncio alla casa al lago, per pagare intanto il tetto suo.

domenica

Mezza pagnotta di grano duro, mezzo salame, una busta di mortadella, una banana, una mela in un sacchetto dell’Esselunga.  Le chiavi della casa là.  Il cane, il guinzaglio, si può andare. Non ho più la stessa abnegazione. Forse l’abnegazione non può essere di diversi tipi, la stessa o diversa:  o c’è o non c’è. Ecco, non c’è più l’abnegazione di un tempo, e ora non sono abnegata per niente.
Il cane quando si avvicina alla casa si agita e comincia a uggiolare, infatti, sorpassati tre ciclisti,  due curve,  ci siamo: arriveremo giusto in tempo perchè Boris, aperto il bagagliaio,  li insegua abbaiando, i poveretti pedalano in salita. Stranamente Boris questa volta non presta molto attenzione ai ciclisti, solo un abbaio veloce,  ha il suo daffare, deve segnalare tutti i confini, acciocchè il microscopico cane dei vicini sappia.
Il chiavistello del cancello è nascosto dalla rosa canina troppo cresciuta, che cerca di trattenerti per i capelli  quando passi, guardinga, l’erba è alta, altissima, e nasconde i quadratoni di sassi del sentierino.
Non è il castello della bella addormentata, non ha le torri ma un  lucernario al quale manca una tegola, e quando entri,  potrebbe essere, che la vita a un certo punto si è fermata, la piscinetta di Luca è capovolta semisgonfia sui due ombrelloni chiusi, ad asciugare, dalle vacanze di due anni fa.
Prima del crollo del tetto, e dopo il crollo.
Prima che io mi allontanassi, e dopo.
Una nuova crepa nelle piastrelle del pavimento, corre dalla porta del salotto alla finestra verso la strada, quella che il capofamiglia non vuole mai tenere aperta di giorno, neanche gli scuri, perchè “essi” vedono dentro e rubano. Fisime, sono entrati tante volte a rubare lo stesso, e la strada è una provinciale in collina, a piedi non passa praticamente mai nessuno.
Prendo i guanti, le forbici, taglio le velleità dell’alloro  di diventare albero, no, te siepe devi restare. Le rose gialle, sono bellissime, taglio quelle sfiorite, sopra un formicaio, ed in un attimo i miei piedi pullulano  aggrediti.  Il caprifoglio corre per terra sul cemento.
Il rastrello, la scopa, il forcone.
Il sole, il vento, le nuvole, qualche goccia di pioggia, il sole.
Ora, davanti è ripulito, Luca ora potrebbe giocarci, davanti, subito fuori dalla porta, e sotto il gramo nido delle tortore,  tra il glicine e la rete
Dentro casa non ci so stare, il timore che mi incuteva ormai  è diventato grande.