Archivio mensile:Maggio 2012
Rifiuti, quelli che si buttano.
Stamattina leggevo in Facebook considerazioni come Pizzarotti abbia vinto a Parma con il discorso di non costruire un inceneritore a Parma, e consideravo come questa cosa non sia una soluzione, perchè alla fine, una zona o l’altra, resta con il fiammifero più corto, e si trova l’impianto di smaltimento rifiuti in casa, e se protesta uno, han diritto a protestare anche gli altri, mica che son più brutti.
Piuttosto che niente, meglio riciclare. Meglio di tutto, sarebbe riciclare un volume minimo di rifiuti, perchè a zero rifiuti appare difficile arrivare, un po’ ce ne saranno sempre.
Mi chiedevo, ma una volta come si faceva, come si raccoglievano i rifiuti negli anni ’60 a Milano? Mica mi ricordo bene.
Senza dubbio, i rifiuti una volta erano meno, ripenso alla cucina di quando ero piccola.
Il pane secco, veniva grattuggiato.
La carta oleata, quando restava pulita, veniva conservata e si riutilizzava per impanarci le cotolette.
In cucina uno straccio per pulire il piano di marmo, e il lavello, mica metri di scottex.
Lo scottex lo usi e lo getti, lo straccio lo lavi: certo, anche lavando, coi detersivi inquini. Forse, con il vecchio marsiglia, non si inquinava molto.
L’ortolano usava i sacchetti di carta marroncini, ed a volte la carta di giornale, e sono sopravvissuta agli anni di piombo. Il tonno si consumava raramente ed era servito in pezzi, ed anche i wurstel non andavano in fila di quattro. La carne veniva comprata per consumarla in giornata, o il giorno dopo.
Anche la farina veniva venduta a peso, e lo zucchero, e me la ricordo, la carta da zucchero color carta da zucchero. E l’ortolano vendeva cose di stagione, mica avevi fragole tutto l’anno, nei contenitorini di plastica.
I supermercati non esistevano ancora, almeno nella mia realtà primi anni ’60, e non ricordo allora i sacchetti di cellophane, ma solo Bramieri in tv che diceva, e mo’ moplen.
Il latte era in bottiglia, che restituivi al lattaio. Poi fu il latte in tetrapak. Ma i vuoti a rendere delle acque minerali, e delle coca cola, sono andati avanti sino al 1990 circa, li tenevo e li riportavo all’Unes, e ti davano lo scontrino da scontare con la spesa.
La rumenta, veniva buttata in uno sportellino nel muro delle scale di servizio, e finiva dritta in un bidone, questo si poteva fare sino all’avvento delle prime suddivisioni imposte ai fini del riciclo.
In campagna anche oggi la mia vicina, brucia le carte nella stufa e gli avanzi di cucina li passa alle galline.
La vita frettolosa ed i supermercati, e la velocità nei trasporti, hanno cambiato questo piccolo mondo antico.
Io però non riesco a ricordarmi come all’epoca portassero via la pattumiera dalle case, e come la smaltissero, ero piccola, forse è un problema che non mi sono mai posta, la pattumiera cadeva giù dallo sportellino, e finiva così. Mi ricordo lo spazzino, lo strascee, e l’arrotino. Ora, tengo via degli stracci, ma mi accorgo che si usano pochissimo, e per le lenzuola rotte e cose così da buttare, mi hanno detto di un’organizzazione che le manda ai lebbrosi di non so dove.
Alla fine, non ho visto To Rome with Love, ma Dark Shadows.
Questo tiro mancino non me l’aspettavavo: per vedere il film di Allen al cinema Odeon, alle 19.30, obbligatorio il biglietto da € 20,00 comprensivo di aperitivo. Chissà se per lo spettacolo delle 22 era prevista la spaghettata. In quell’odore nauseante di pop corn che impregna certi multisala non ho certo voglia di fermarmi a mangiare alcunchè cosicchè ho ripiegato su Dark Shadows, film che, scorrendo quelli in programmazione a Milano, mi aveva colpito per i nomi presenti, Tim Burton regista, il suo immancabile Depp, la Bonham Carter, la Pfeiffer e persino il vampiro storico Christopher Lee. Avevo poi scorso velocemente qualche recensione, e sembrava un’opera stanca di Burton, non volevo cedere al richiamo da cassetta. Tra l’altro, avevo letto che era tratto da una serie televisiva americana degli anni ’60.
Oltretutto, le faccende di vampiri, che adoravo da giovane, ora che sono più stressata mi causano tensione…. tensione che è caduta dopo i primi dieci minuti di film, fortunatamente, quando quasi temevo mi avrebbe preso la nausea.
La vicenda: una ricca famiglia si trasferisce da Liverpool nel Maine, ed intorno alla loro attività ittica nasce un villaggio, sorge su un’altura uno spettralissimo Collins Manor. Il discendente per dissidi amorosi con una strega perde la sua innamorata, finisce vampiro, viene casualmente liberato dopo duecento anni, torna a casa… e poi non racconto altro della trama, perchè se no si toglie il bello del film.
Protagonista naturalmente è Johnny Depp, un vampiro nobile e attento ai sentimenti, ritornato a gironzolare nel mondo nel 1972, che apprezza Erich Segal e considera Alice Cooper la donna più brutta che abbia mai vista, mentre la Pfeiffer, felicemente invecchiata sullo stile già della Virna Lisi, è quella con le palle, nel film, l’unica che non beve, non vede fantasmi, non si trasforma, e considera dal lato pratico il ritorno del parente vampiro. Sua figlia Carolyn, adolescente inquieta, è in conflitto col cuginetto, che viene curato perchè vede il fantasma della madre. Insipida la donna dei sogni vampireschi, l’attrice Bella Heathcote, con un nome così da Far West oggi non si fa carriera, a parer mio, ma sono ignorante e magari è già famosissima. Simpatica la Bonham Carter psichiatra sensuale e alcolizzata, e vitalissima la strega Eva Green. Fanno da contorno, se va bene con gli arrosti il contorno ci può stare anche in un film, Willy servitore ubriaco, Roger, discendente dissipatore e disonesto che è forse un personaggio un po’ superfluo, e lungo tutto il film si muove una vecchissima e minuta cameriera, lucida candelieri, pavimenti, aiuta a trasportare una bara, e quando canta Alice Cooper sta appoggiata alle casse acustiche a leggere un giornaletto. Christopher Lee, smessi i panni vampireschi, in questo film interpreta il suo cameo (le particine dei grandi bisogna chiamarle così, come le torte pronte) come capo dei capitani pescatori.
In conclusione, nonostante i miei timori, il film non è stato deludente: prevedibilmente comici i disagi del vampiro che ha saltato due secoli di sviluppo tecnologico e sociale e si ritrova ai tempi degli hyppies, molti gli effetti speciali, ma non ridondanti e finalizzati alla vicenda. Molto curata la fotografia, soprattutto nella prima parte più ricca di paesaggi spettacolari, di una luminosità particolare. E numerosi richiami ad altri film, anche disneyani, uno scorcio della baia di Collinsport ricordava il cartone animato Pocahontas, il duello finale Maga Magò e Merlino nella Spada della Roccia, ma anche la guerra dei Roses, con i torcicolli de La morte ti fa bella e gli sputacchi verdi de L’Esorcista. Che poi non so neanche se sono richiami voluti, o somiglianze inevitabili considerati gli argomenti.
Alle volte, un senso di spossatezza.
Online. Anni fa, al massimo era Only you.
Overdose da moquette.
Tre giorni di Salone, o Fiera, del Libro, sono troppi. Non per l’oggetto libro, poverino, ma per il rumore, e le code per tutto, e i prezzi del ristorante, che quando ho visto una macedonia rovesciata per terra vicino ad una cassa, sono trasalita… “poveretto…. ma pensa se gli fosse caduta la tagliata coi pomodorini…”
Non ho granchè da raccontare, che non abbia magari già detto nei post degli anni scorsi, perchè più o meno le cose sono quelle, cioè, non è che un libro lo puoi mettere in mostra in tanti modi diversi: con l’ebook può solo peggiorare.
L’impressione che il titolo Primavera Digitale nascondesse una sorta di timore nei confronti dell’ebook, una specie di non capisco ma mi adeguo, un aggirarsi” sì ma il bisnes qui come si fa?”
L’impressione che gli stand fossero meno, più che un’impressione, credo sia la realtà. I NEI, tutti vicini vicini in uno stand come piselli nello stesso baccello, L17 era un allegro punto di ritrovo.
Ho imparato che è inutile appuntarsi gli eventi, all’appropinquarsi dell’ora, sempre che ti ricordi di guardare l’orologio, sei immancabilmente dalla parte opposta del Salone (o Fiera) e la traversata è ardua, incontri un tot di persone che non avevi ancora visto, e allora e saluti e di qui e di là, e ciao l’evento.
L’impressione che di libri ce ne fossero meno, ma ci fosse anche meno fuffa: gli altri anni mi guardavo intorno e mi sembrava che di roba se ne pubblicasse troppa, come potevano essere certi di avere un mercato sufficiente per rientrare delle spese me lo chiedevo, mi chiedevo se se lo chiedeva anche l’editore, forse no, o forse sì ma era la forza della disperazione, non arrendersi.
Vado al Salone ed evito come la peste i grandi nomi, portatori di calca: tanto quelli, li vedo volendo in TV, o sui giornali: benvengano però, se portano gente in mezzo ai libri
Anche quest’anno l’apparizione: Saviano in mezzo alla scorta, minutino, in mezzo a uomini robusti vestiti scuri, tutti, e sale sulla macchina. A me fa dispiacere, pensare che debba vivere così, povero ragazzo.
Giravano la trasmissione che sto vedendo ora, e leggiucchiando anche qua e là su FB mi chiedo perchè avercela con lui: se riesce con Fazio a portare al gradimento di un folto pubblico questo tipo di trasmissione, fa solo del bene, dobbiamo spurgare l’educazione televisiva del Berlusconismo, quella che ha ostracizzato la cultura dalla TV e si può dire dal quotidiano, ha ristretto le menti. In questa trasmissione ti parlano, ti raccontano, e tu devi ascoltare, mica guardare le figure. Cosa fanno di diverso quelli che lo criticano? Parlano, scrivono, cioè quello che fa lui. Saviano è diritto, incisivo: è capace di farsi ascoltare, mica è cosa da tutti.
Al Salone evito di comprare i libri che troverei anche in una qualunque libreria sotto casa, perchè appesantire la valigia in treno? Però, è il momento di fare man bassa negli stand dei piccoli e medi editori, quelli che soffrono di mal di distribuzione… ne ho preso però uno solo, allo stand K09 Stampa Alternativa, ah, no, anche il librino di saggezze feline.
Ho assistito a un dibattito, c’era Cortellessa, la Carbone del Manifesto, Vincenzo Ostuni, Achille Mauri, ed è inervenuto Giulio Milani, insomma, un parto TQ, se ho ben capito, perchè io ascolto ma poi perdo il filo, insomma, nasce una sorta di editoria “bio” sugli scaffali delle Coop. Libri certificati per contenuto, lavorazione, e per giusta retribuzione delle persone che vi hanno lavorato. Una specie di razza ariana del libro, a me è suonata così.
Ma a me, quello che piace del Salone, o Fiera, del Libro di Torino, è Torino. Secondo me a Torino le sedie di velluto, i cuscini di raso, le cornici d’oro, anzi doro, te le tirano dietro, ne hanno dappertutto.
La padrona del mio B&B ha messo i cuscini di raso anche sulla vasca, e per di più io volevo la stanza con la doccia, mica la vasca. Poi, c’era un cuscino anche vicino alla doccia. E in largo Saluzzo suonano il contrabbasso sul gradino di una chiesa. Ed io un pezzettino alla volta, Torino me la vedrò, no?
Salone del libro – pre.
Anno quarto, cosa mi aspetto? cosa ho imparato?
Innanzitutto, non esiste scarpa che non diventi indisponente prima del retiro in B&B.
Più le ore passano, più le code ai wc si allungano.
Visti gli ospiti del programma, quest’anno Saviano non c’è, invece un Gramellini al giorno sì.
Se pensi di andare ad ascoltare la Littizzetto, Arisa, Vergassola e così, in uno spazio di quelli chiusi, scordatelo, è inutile che ci vai, sicuramente ci sarà una tale ressa fuori da quella porta che non arriverai in tempo ad aprirla prima che finiscano, entrerai quando gli altri escono, e assisterai alla performance successiva. Se invece vedrai quella folla senza avere il programma sottomano, ti chiederai se è successo qualcosa, e magari non lo saprai mai, perchè non vedi niente, sono coperti dalla gente in coda anche i cartelli.
Il passo successivo è chiedersi : Ma non era Il salone del libro questo?
In ogni caso, è il Salone del libro, ma si può anche definire come multimediale, dal momento che sono presenti musica, televisioni, giochi virtuali e anche Green Peace, e come canto delle sirene, l’editoria a pagamento ti insegue distribuendo volantini per i corridoi.
L’anno scorso sfilavano anche i santi, mi pare fosse San Precario, che secondo me la processione c’è anche quest’anno.
Per mangiare, c’è il Ciao, ristorante sopraelevato, caratterizzato dal fatto che tanti, riconoscendosi da un tavolo all’altro, si salutano con la manina da lontano.
Spesso ci sono in mostra talune eccentricità, tipo il bicchierofono dell’anno scorso, non ho mai sentito parlare di concerti di bicchierofono per cui per me che sono ignorante resta un’eccentricità che può incuriosire grandi e piccini, ed è giusto che ci siano queste cose ad attirare l’attenzione, son certo più innocue di tanta letteratura. Chi poi si porterebbe un bicchierofono a casa?
Visto che il titolo di quest’anno del Salone è Primavera digitale, penso che ci saranno molti dibattiti intorno agli e-books, , alle indirimibili questioni L’e-book seppellirà il libro? Come le case editrici fronteggeranno l’attacco e-book? Adeguandosi, spero. Faccio parte di quelli che non vedono la contrapposizione. Il libro non può morire, ha una funzione e un’utilizzo diverso dall’e-book, ed anche un pubblico diverso, per quale motivo non dovrebbero coesistere? Sono meglio i Beatles o i RollingStones?
E comunque, il Salone del libro di Torino mi piace tantissimo, per l’atmosfera da spiaggia, mi spiace non essere mai andata a quello di dicembre a Roma, e penso sia molto utile anche per quella editoria definita piccola, attirando tanti visitatori, cioè gente interessata ai libri accompagnata da collaterali distratti che magari finisce che si incuriosiscano… pericolo, mica che si mettano a scrivere, no, no… servono lettori, si vede a occhio nudo, nel salone.
Con parsimonia frequento le presentazioni di libri, non mi dispiacciono, non sono quasi mai noiose, però non manco di rilevare ogni volta che sono presenti gli addetti ai lavori, amici, amici di social network… più o meno quelli del giro, insomma, che il libro lo regali all’amico, o questo lo comprerebbe lo stesso per vedere se è più bello di quello che ha scritto lui, insomma non c’è un’espansione del prodotto verso il lettore “esterno”, accade, ma raramente. Invece se sei presente allo stand della tua casa editrice, o parli del tuo libro davanti a una manciata di sedie, chiunque passa, magari si ferma, si ferma perchè sente qualcuno ridere, perchè coglie al volo una parola che sembra interessante, la tua faccia gli è simpatica…
In ogni caso, io vado al Salone di Torino perchè devo ritrovare il coperchietto dell’obiettivo della mia Lumix, che il salone è come il mare, chissà quando e dove mi restituirà il suo corpo.
L’urlo
Mi chiedi, appoggiata al tuo trespolo quadrupede, di aiutarti a infilare la giacca per andare al ristorante, infilarla però sopra lo scialle, e lo facciamo, e ti sistemo le maniche del vestito tirandole da dentro quelle della giacca, e tu cerchi di guardarti dietro, la giacca così acconciata mi chiedi se fa difetto. Ma tu mamma c’hai 98 anni e ti preoccupi se la giacca, o la gonna ti fanno difetto. Io, non mi guardo neanche, so che faccio difetto da tutte le parti, ma sicuramente hai ragione tu, è giusto fare come te.
Mamma, ma come fai, ma come si fa? Io, alla mia morte, non ci penso mai, non mi spaventa, non esiste, per ora, ci penso come una minaccia, per affermare quanto sia indispensabile. Ma tu, tu ci pensi? alla tua età, che ormai sono tanti gli anni che uno si aspetta che arrivi, e arriva invece un altro compleanno, e poi un’altro… A volte sei rabbiosa, e dici che sei stufa di stare seduta lì ad aspettarla, dici che bisogna vivere fino a ottant’anni, dopo è una noia e un tormento. Ma lo dici perchè sei arrabbiata, è un po’ un ricatto che ci fai, per farci sentire in colpa perchè non stiamo intorno a te come e quanto vorresti.
Tutti sappiamo che dobbiamo morire, in questo siamo tutti uguali, e ogni attimo che passa ci avvicina alla morte, i più pessimisti dicono che si comincia a morire quando si nasce. Però vivere ci distrae da questo pensiero, facciamo tante cose.
Ma quando non si riesce a fare quasi più niente, ed aprire il tappo a vite dell’acqua minerale diventa un’impresa, e ci si sente inutili? O sono io che ti guardo dal di di fuori, e penso da presuntuosa che tu debba sentirti inutile, tu invece non lo pensi affatto, ai tuoi occhi siamo degli incapaci che non stiamo a sentire i tuoi consigli, le tue raccomandazioni, non stiamo attenti quando fa freddo, e ci sono persone intorno che non vanno bene, non ci dobbiamo fidare, sono ordinarie, e tu sai badare benissimo a te stessa, non hai bisogno di nessuno.
Pensi a come dividere quei tuoi pochi gioielli rimasti, pensi all’affanno per noi che dovremo sgombrare quel tuo mare di vestiti da antica signora, e le borsette, e io ti mando all’inferno, cosa ci pensi adesso, ci penseremo. Non si parla mai di quest’altra cosa, se magari hai paura, che non si sa come sarà, magari ti farebbe bene parlarne, ma chiedertelo è doloroso, ma non facciamo mai discorsi intimi, sei anche un po’ sorda e questo limita molto, si perde la pazienza a spiegare tutto più volte, o forse non ci pensi neanche, eviti il pensiero come la peste, ricordo la paura del parto che avevo, e allora non ci pensavo mai, come sarebbe stato, partorire, non ci pensavo per non averne paura, ed i giorni della gravidanza trascorrevano.
Mamma, ora non trascorrono più, me li sento sfuggire, i giorni, son diventati troppo veloci per stargi dietro.