Sottotitolo: Quando Twitter non esisteva ancora.
Otto e Anna Quangel, berlinesi, hanno perso il figlio sul fronte franco-tedesco; nel padre , meccanico, matura l’idea di spargere granellini di sabbia, ma tanti, per far fermare la macchina tritatutto del nazismo (tritatutto l’ho aggiunto io).
Una cosa che ai tempi di twitter sembra una bazzecola – no, non penso sia una bazzecola mandare messaggi dai paesi dove la libertà non abita più – bazzecola perchè per la maggioranza di noi è un gesto familiare quotidiano che si fa senza pensarci troppo su.
Non ho letto il libro di Hans Fallada da cui è stato tratto, Ognuno muore solo – di Fallada lessi da bambina il romanzo Fridolino tasso birichino, lo lessi rilessi e lessi ancora, tanto mi piaceva per cui non so dire quanto il film segua il romanzo, che comunque è stato ispirato dalla storia dei coniugi Otto e Elise Hampel.
I granellini di sabbia sono cartoline, accurate come piccoli capolavori, dove marito e moglie riportano brutali crude verità sul nazismo, e che poi rischiosamente disseminano nei luoghi più frequentati della città, perchè vengano raccolte e lette, perchè sveglino le coscienze dei concittadini narcotizzate dalla paura. Solo, la maggioranza dei biglietti viene raccolto da persone terrorizzate dalla sola vista dello scritto, e da questi consegnati alla polizia hitleriana, che ovviamente indaga e noi, sostenuti da una consona colonna sonora, si fa il tifo perchè i coniugi non vengano scoperti.
E’ sempre opportuno non smettere di raccontare quel buio alle nuove generazioni, ma mi chiedevo cosa avesse da offrire l’ennesimo film sul periodo nazista, e credo sia il quotidiano dei cittadini sotto il nazismo. La vecchia signora Rosenthal rifugiatasi in soffitto e foraggiata dalla postina, il giudice Fromm che si offre di nasconderla, il ladro sciacallo, la fila di donne ebree costrette a raccogliere mattoni in mezzo a delle macerie, i lavoratori che devono incrementare la produzione per obbedire a Hitler, chi si mutila le mani per non partire militare, chi si terrorizza per aver solo toccato e letto le cartoline dei Quangel, l’investigatore in gamba che lotta col suo senso dell’onore e la sua coscienza.
Comune denominatore la paura.
Ripenso all’altro film visto recentemente sull’argomento, Frantz, collocato invece alla fine della guerra, dove i genitori apparivano invece più rassegnati, in attesa di qualcosa, di qualche segnale che non poteva più arrivare.
La cosa più bella qui è l’amore della coppia protagonista, un amore intenso e di poche parole, timido e dolce, che arriva e commuove.
Non conosco il regista Vincent Perez, non ricordo Brendan Gleeson che avrei già visto in Suffragette (era anche nella serie di Harry Potter) e qui bravissimo, non ricordo in altri film anche se ne ha girati parecchi di rilievo che non ho visto l’investigatore Daniel Bruhl, ma ricordavo benissimo la grande Emma Thompson, già amata in Casa Howard, Quel che resta del giorno, Ragione e sentimento.
Curiosamente, se penso a Jane Austen, l’inglesità che amo, la vedo con i tratti di Emma Thompson, anche se in realtà la scrittrice era tutta diversa.
Archivio mensile:ottobre 2016
FILOVIA 90-91
Alla fermata mi sono seduta sulla panca tra un giovane di colore e una coppia di anziani invece di incolore.
Ha suonato un cellulare, non era il mio, il ragazzo, pulito e ben vestito, uno studente, risponde al suo imponente Samsung .
L’anziano scuotendo il capo ha bisbigliato alla moglie: “Guarda che telefono che ha!! …visto?”
Eccerto! Sono i nostri 35 euri che lo mantengono così bene. Sono certa che hanno pensato quello, e nero è nero, quel lavavetri con la t-short rigata che stava facendo la gimcana tra le macchine della circonvallazione, era evidente che dei 35 euri se ne faceva un baffo, quello no, non lo guardavano.
Sono poi salita sull’autobus, una signora col capo coperto, musulmana direi, in buon italiano mi ha indicato un posto a sedere, ho ringraziato, sto su poco, sto in piedi.
L’ho poi sentita, alle mie spalle, parlare con qualcuno… o da sola, non so. “Cose da pazzi. Ci sono i posti per gli invalidi e quel ragazzo sta seduto, non si muove, che gente, che mondo, non si capisce più niente”
L’ho vista andare dal ragazzo di incolore, farlo alzare, e far sedere una signora di incolore con le stampelle.
Poi, poi basta, sono scesa.
CAFE’ SOCIETY pensierini sul film
L’ennesimo film di Allen, detto senza quel senso di noia spesso incluso in questo aggettivo, ennesimo. Ne ha fatti davvero tanti, e debbo dire che non troppi sono indimenticabili, o mi hanno lasciata altra traccia oltre la piacevole visione e l’ascolto delle inconfondibili colonne sonore. Cioè, film come Provaci ancora Sam, Prendi i soldi e scappa, per dirne solo due, sono ormai storici, imperdibili, dubito che di questa sua ultima generazione di film alcuni lo diventino.
Cafè Society per me esce un po’ da questo filone, vi ho ritrovato un po’ della passata verve caricaturale, e mi ha fatto molto sorridere.
La vicenda non ha un vero inizio e una fine, la vita scorre su un nastro, abbiamo visto al cinema lo scorrere di una parte di questo nastro… le vite delle persone che abbiamo seguito per un po’, continuavano, solo, siamo usciti dal cinema.
Come tanti film di Allen, l’amore fa da padrone, l’amore con le sue assurdità, che scherzi ci combina.
Anche questo film, come in quello visto la settimana scorsa, Frantz, è come diviso in due “vite”, qui Los Angeles e New York.
Il film è divertente, gli attori giusti, la musica straripante, la fotografia bellissima – la prima inquadratura della piscina mi ha ricordato le luci di Hopper – le vicende non coinvolgono visceralmente, cioè, così devono essere le cose, anche l’amore è così che funziona, i gangster fanno così, nei night la gente nel 1930 era così…e tu guardi lo spettacolo. Così si viveva a Los Angeles e a New York, questo succedeva.
Cioè, non ti asciughi lacrime per l’amore deluso, così doveva andare… forse sono stata una spettatrice un filino cinica, ma molto molto soddisfatta.