Sarà stato il 1975, dovevo avere circa vent’anni… certamente avevo già la patente, perchè guidavo un’invidiabile Fiat 127 arancione.
Non ricordo come ci ero arrivata, ma prendevo parte attiva alla raccolta delle firme per il referendum per l’abrogazione della legge sull’aborto.
Una scelta insolita per me, incapace di fede assoluta, naturalmente diffidente verso chiunque detenga una briciola di potere, potenzialmente anarchica se il mondo non fosse pieno di villanzoni e prepotenti, che sono sempre rifuggita da un inquadrato impegno politico.
Non ricordo mia madre a quell’epoca, anche se non mi sembra fosse uno dei periodi di separazione dei miei. Ricordo invece bene papà, alto dirigente bancario di solidi principi, che aveva festeggiato il matrimonio dei primi tre figli al Principe e Savoia: profondamente onesto e coerente, l’ho amato tanto. Lo ricordo bene, perchè in quel periodo non mi parlava più, ma senza buttarmi fuori di casa.
Quando veniva Vladimiro a prendermi, alto, capellone camicia militare verde con farfallone colorato sulla schiena, Angela, la domestica da sempre in casa nostra, mormorava “O signur de poveritt” e mi guardava uscire, con aria dubbiosa.
Il banco per la raccolta delle firme era quasi una seconda famiglia: il Cancelliere del Tribunale che autenticava le firme, noi ragazzi sguinzagliati per corso Vercelli a chiederle. Lo trovavo anche divertente, il contatto con la gente mi è sempre piaciuto. Ricordo una vecchietta che, presami da parte, aveva bisbigliato ”Bisognerebbe tagliarglielo via, a tucc l’homm!”. Più radicale del Partito!
“Jacopo, ti ricordi che abbiamo giocato da bambini? sono la cugina di Camillo”. Si ricordava, anche se non era più bello come quando ne ero innamorata da bambina.
Non si ricordavano invece alcune amiche di mia mamma, donne di sicura probità, a passeggio per il Corso, anche se mi avevano visto nascere.
Vladimiro svolgeva con assoluta dedizione il compito di convincere alla firma le ragazze, meglio se bionde, e lo vedevamo perdersi in lontananza dietro qualcuna. Ma arrivò la volta che una di queste tornò anche indietro, e rimase con lui: bionda e molto carina, ricordo enormi occhi celesti ma non il nome.
La sera si andava al Partito in Porta Vigentina , a rendere conto delle firme e dei fondi raccolti. Lì Vladimiro, che era del Ravennate, mi aveva fatto vedere la panca dove dormiva.
Nonostante l’impegno, ero personalmente contraria all’aborto, non avrei mai voluto dovermici trovare di fronte, ma ritenevo dovesse essere innanzitutto una scelta personale, anche se regolata da una legge. Non ne condividevo la politicizzazione, così come dubitavo del punto di vista religioso di mio padre e di molti, la vita umana è sempre sacra, e nell’embrione è già iniziata.
Dubitavo sulla sacralità della vita di troppi figli indesiderati, trascurati, venduti, allevati negli stenti, ragazzine con il futuro già giocato.
E’ coscienza: essere genitori è una scelta di vita, non una fase transitoria. Trovavo anche assurdo che qualunque donna, anche single, anche insana di mente, potesse mettere al mondo un figlio, mentre una coppia che è costretta a ricorrere all’adozione deve dimostrare di avere tutte le carte in regola e affrontare un lungo calvario prima di essere giudicata idonea, ed i single sono scartati in partenza.
Stavo rileggendo questo pezzo, scritto un paio di anni fa per il corso di scrittura, il filo doveva essere "la ribelle" …ma Vladimiro, chi l’ha visto? avrà cambiato camicia? accorciati i capelli?