Archivio mensile:giugno 2014

Oh bella adesso se l’Italia è così, è colpa mia.

(dedicato a Marco)

E’ successa una cosa inimmaginabile, in casa non si trova più la carta Fidaty Oro con un sacco di punti Fragola,  proprio non c’è più: manca solo fare la radiografia al cane, gli altri posti li abbiamo pensati tutti.  Neanche all’Esselunga l’hanno trovata, così l’ho bloccata, è pur sempre una carta di credito, e poi per averne un’altra occorre fare la denuncia di smarrimento, si sa.  Dove?
I Carabinieri in via Egadi, dove ero comoda,  non ci sono più, non mi ricordo dove si sono trasferiti, e vabbè nessun problema, c’è internet, no? così, ieri sera,  trovo il sito www. carabinieri. it .
Meraviglia delle meraviglie, c’è scritto che si può fare la denuncia online, prendendo appuntamento per andare  di persona per apporre firme e timbri con la dichiarazione già fatta: intanto la invii e ti mandano una mail di conferma.
Comincio col cercare il comando di zona, e la mia via non esiste a Milano, col nome e cognome del pittore, coll’iniziale del nome, solo col cognome, con via privata, con via priv.: se non  fosse perchè ci abito, mi avrebbero anche convinto della sua inesistenza. Digito il nome della via con cui fa angolo, evvai! Scelgo la mia caserma,  da piccola ci abitavo vicino e seguivo dalla finestra l’abbeverata dei cavalli, che adoravo, un appuntamento quotidiano.
Digito la mia denuncia, mi arrabatto per la stampa, mi ricopio i codicini, ecco, pronta, domattina vado, sono pronta.
Stamattina sono andata.  Intanto, danno un indirizzo e si entra da un’altra via: tipico. Davanti al portone chiuso ci sono passata davanti una vita, andavo alle medie e dopo al liceo, allora era in funzione,  c’era la garitta col soldato di guardia, non so perchè lo trovavo imbarazzante. Star lì così ore, e poi non sapevo che faccia fare, magari sembravo sospetta.
Entro, il carabinierino allo sbarramento, per la denuncia, mi manda in una saletta con qualche sedile, una madre e una figlia, e una signora anziana col cappellino.  Le prime due dovevano incontrare un militare, l’altra doveva ritirare  la denuncia perchè aveva ritrovato la carta di identità.
Ma quella stanzina mica prelude a un ufficio, la sola porta è l’ingresso… torno fuori, e dico ” devo aspettare lì anche se ho fatto la denuncia via internet? ” mi assicurano che sì,  poi mi chiamano.
Insomma, passa quasi un’ora, arriva una carabinieressa, alla quale dico che ho fatto la denuncia online, che però non mi era arrivata la mail di conferma da ieri sera. Gentilmente risponde che il servizio online non funziona quasi mai e facciamo prima a farla di nuovo.  Ecco appunto.
La carabiniera è venuta come un Caronte a traghettarci agli uffici, non possiamo noi pubblico girare da soli per la caserma. Mi sembra un sistema di comodità spaziale, davvero.
Mentre accadono questi accadimenti,  una tipa in bicicletta,  un filo irruente, irrompe sulla scena “Ho assolutamente bisogno del permesso di guida se no non mi fanno il duplicato della patente, sono cinque volte che cerco di farlo”  e si piazza davanti alla carabiniera. Al che le faccio presente che c’eravamo noi. Mi guarda sprezzante: “lavoro fino alle sei e mezza, è da novembre che devo fare il duplicato”  al che le dico ” non penserà mica di passare avanti?  prima c’è la signora, poi io, aspettiamo da un’ora, ed anch’io debbo andare al lavoro, è tardi” Penso che lo pensasse, di passarci davanti, infatti acida dice: “Ah sì vorrei proprio seguirla, per vedere come va al lavoro”  al che le rispondo ” bastava arrivasse cinque minuti prima di me stamattina  e non c’era problema”:
La tipa si rivolge alla carabiniera: “le spiace se aspetto qui? Non sopporto di entrare in una stanza  con una persona così negativa.  Finchè ci sono persone così,  senza comprensione per gli altri, per forza l’Italia andrà  male”
“No, mi spiace, non è permesso che lei stia qui.”  Intanto, la mandano a farsi due foto tessera, per necessità suppongo, non per evitarle di venire contaminata da me, dalla mia negatività.
La signora anziana divertita scuoteva la testa, e poi mi dice “Ha visto,  i giovani?”
Una quarantina di minuti dopo, avevo terminato, avevo la mia bella denuncia riscritta e la tizia era stata “evasa” da un altro carabinieretto sopraggiunto all’altra scrivania.

Appunti sulla delusione.

“Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d’una ingiustizia che non t’aspettavi, d’un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po’ di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s’accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono”.  Oriana Fallaci

Quante volte ho provato questo miscuglio di sentimenti?  la  Fallaci li esprime benissimo come li stesse vivendo  nel momento in cui  scrive, o si fossero appena  quietati.
Certo che, rilette con attenzione dopo il primo entusiasmo, queste parole che ho pescato nel web  e che credo rispecchino anche stati d’animo di molti,   diventano in realtà  un po’… deludenti,   quasi bambinesche, “E’ stato lui!” indichi col ditino tra le lascrime.  Cioè, il malessere  c’è,  ma quanto giustificato sia, è da vedere, certo la sensazione  dolorosa arriva  senza chiederti il permesso,  però poi ci si può e  ci si deve ragionar sopra, agire su di noi, elaborarla, come si dice.
Già  il pensiero che per una delusione potresti perdonare o vendicarti,  non ha sempre ‘sto gran senso,  non bisogna confondere il sentimento con il risentimento.
La delusione spesso nasce da un’aspettativa, non necessariamente nei confronti di una persona ma anche di eventi e successi, e non è necessariamente colpa o responsabilità altrui o del mondo del  malinteso, se ci si aspettava cose che non potevano essere o che altri non sono in grado o non intendevano darci,  cosicchè della delusione possiamo esser noi stessi la causa, se ci si trova a viverla non è detto che sia per forza  subìta.  Anche,  una persona di cui si ha un’idea,  nel tempo si dimostra diversa da quel che pensavi… ti ha deluso lei, o semplicemente tu l’hai conosciuta? Cioè, la delusione, se può starci come sentimento,  come risentimento non è sempre giustificato.
La vendetta   mi è sempre sembrata una sciocchezza, una piccineria,  la sento lontana,  poi  per vendicarsi bisogna pensarsi importanti,  ed è un pensiero che non riesco ad avere,  di me:  meglio che la delusione sfoci nella rassegnazione, più rispettosa degli altri e di se stessi,  e questo non è perdonare.  Si perdona quando si è ricevuto un torto… ma  deve esser perdonato  qualcuno qualcosa perchè non è come pensavi?
Certo la delusione sembra essere diventata  virale, per usare un termine tanto di moda,  quasi facesse parte dell’aria che respiriamo, non so se sia la “crisi” economica, o la difficoltà di muoversi,  collocarsi in un mondo che sembra sempre più complicato ed affollato.

Feuilleton du Paris (2)

Dicevo, che a Parigi vivrei di solo pane, perchè è vero, ovunque Marco ed io ci siamo alimentati, il pane mi è parso buonissimo, golosamente buono.  Certo, nutrirsi da turista non appare faccenda a bon marchè, nutrirsi da indigeno non ho idea, ma devo dire una cosa, anche il vino è sempre stato buono, e tutto sommato anche la cucina, non siamo cascati male: perfino il simil fast-food della Gare de Lyon si dava il suo da fare con accattivanti carpacci,  carpaccio perfino d’ananas, con fragole e gelato al frutto della passione, che non è un bambino, e ha un sapore mica male,  avevo assaggiato lo yogurth nella macchinetta distributrice dell’ufficio, era l’unico gusto rimasto.
Poulet avec legumes, assiette avec jambon chevre concombres: assodato che il concombre era sottaceto,  un’altra volta mi sono azzardata a ordinarla e sono stata sommersa da un profluvio di concombres freschi, che non digerisco.  Poco male, ci sono disavventure peggiori, nelle alimentazioni turistiche, a noi ci è andata benino.   Mi sono anche azzardata in un risotto al Trocadero, il colmo per una padana,  Trocadero è il museo e il suo bar, con terrazza panoramica, non la ricetta o l’ingrediente. Era un risotto con funghi e anche dell’altro non tradotto in italiano, e  quindi non lo saprò mai, servito con la forma di un secchiello rovesciato, non era comunque male.
Prerogativa del bistrot è avere un tavolino rotondo, con la base  tripè metallica pesante nera,  e il tendone color bordeaux scuro e la scritta color crema. Le boulangerie vogliono assomigliare ai bistrot.  A Beauborg abbiamo trovato posto in uno bleu, ed è stato infatti il meno buono, la Tarte Tatin non ha passato l’esame. Viva viva la tarte tatin del Bistrot Valois! col glace, naturellement. (che anche il Valois non aveva l’insegna rossiccia, però)

Feuilleton du Paris (1)


Giovedì notte.  Alla Gare de Lyon scendo con Marco  da puntuale treno svizzero nell’esatto momento in cui l’altoparlante annuncia  che il treno proveniente da Milano via Torino viagga con tre ore di ritardo.  Fuori, una macchinona allegata al servizio TGV ci aspetta per accompagnarci nella notte fino a casa, indossando nel tragitto canzoni di Frank Sinatra.  Guardo fuori dal finestrino pensando “Parigi, Parigi! La Ville Lumiere!  sono a Parigi”
Avenue du Suffren.  Dalle nostre finestre, nostre per tre notti,  si vede la torre Eiffel illuminata.  Non basta, a mezzanotte sberluccica di brillantini. Ma non mi freghi, sai, Torre?  soffro di vertigini. Mi sono già sentita morire sulla ruota panoramica di Gardaland che si era bloccata. Non mi avrai, lo so che perdo il panorama,  che ci vuoi fare?  Diventerò famosa, sarò additata,  come quella che andò a Parigi e non salì in cima alla Eiffel.  Guarda, Torre, che in questo breve soggiorno ti ho ammirata in tutte le maniere, luminosa, brillantante, ferrea,  enorme, con la palla del Roland Garros, con un cavallo bianco che pascolava dimenticato in una aiuola alle tue pendici. Si dice pendici, per una torre di ferro? o radici, come quelle dei denti? Comunque sia, sbucavi ovunque, e tutti i turisti ti indicavano.
Venerdì mattina, colazione nella appetitosa boulangerie sottocasa, a Parigi potrei vivere di solo pane. Marco ordina un cappuccino, mi chiedono se voglio qualcosa, sì grande, rispondo, indendo il cappuccino. Marco aveva un bel cappuccino cremoso con il cacao, io una cosa pallida, grande come il suo. Credo abbiano capito caffè grande, con poco latte, pazienza, intanto ci puccio il panino con l’uva.  Andiamo in Rue dell’Opera, al coso del Turismo per ritirare i pass per musei, mezzi pubblici. Fatto. Andiamo al Louvre che è a un passo da lì, è talmente grande che è  sempre a un passo da moltissimi luoghi.  Ci presentano, Louvre, piacere, Cristina. Puoi passare, hai il pass “niente coda alla biglietteria”.  Quadri, quadri e quadri.  Quisquilie come  Bruegel in una stanzetta laterale.  Anche Vermeer messo lì così, cioè, tutti questi pittoroni,  lì, con nonchalance, come se niente fosse, ci sono anche i copiatori di Caravaggio.  Vuoi una manciata di Raffaelli? guarda sono lì.  Ma che importa alla gente di Botticelli, o della Vergine delle Rocce? Bisogna guardare la Gioconda. Guardare, è una parola grossa.  Fotografare, filmare. Un film della Gioconda, quante volte lo riguardi una volta che torni a casa? Ecco, forse Amore e Psiche, insomma, vedi in 3D un’immagine solitamente piatta in un libro, è tutta un’altro effetto.  Però tu Louvre mi hai  distrutto, nel fisico e nel morale,  sei invalicabile, sei troppo. Però sei bravo, che ci custodisci le nostre opere italiane, le curi bene e il mondo viene a godersele, per conto mio te le affido e volentieri.