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Fonti, a Milano, non è che ce ne siano granchè (che io sappia)

Oltrepasso pedalando piano la cancellata del Parco Sempione su viale Milton, la meta di oggi è ritrovare la mia “vedovella”, da tanto tempo non passo di lì.
Gli alberi affondano le radici anche nel tempo, e lì restano in attesa ,  in fila, alternati alle panchine, dei parallelepipedi di pietra polverosa:  un tempo qui non c’era recinzione, ricordo che a volte passava al galoppo un tipo a cavallo, altre  volte  due carabinieri, al passo, con la mantella ed il cappello napoleonico, chissà, forse passano anche adesso.
Proseguo sui viali, tra i prati che curiosamente, in un mondo dove tutto peggiora,  mi sembrano più erbosi, e imbiancati da pratoline, di quanto mi ricordassi dalla mia infanzia, che fossimo dunque  noi frotte di  bambine romantiche a raccogliere tutti i fiorellini spogliando e calpestando? Sull’erba, ora, alcuni suonatori di bongo, e dei milanesi ancora pallidi, appena fuorusciti dalle tane, che si godono il sole, alcuni  sdraiati semplici, alcuni sdraiati (s)composti, in coppia.
Non è facile muoversi per il parco in bici nel lunedì di Pasquetta, le famiglie “lui, lei, il passeggino e i nonni” avanzano sorridenti per i viali in formazione a rastrello, mentre le non famiglie si sparpagliano, seguendo una bussola incerta, di qui, di là, con movimenti repentini, sembrano  attratti dalla mia ruota.
Una volta conoscevo  i viali del Parco persino per gli asfalti,  i viali  lisci per correre con i pattini a rotelle, e quelli granulosi comodi solo per la bicicletta, e gli sterrati, con la ghiaia traditrice dove la ruota slittava; ora sono tutti senz’asfalto, la ghiaia è polverosa e  scarsa, e tanta la gente che ci cammina, sembra polverosa anche l’aria. Con l’asfalto sembra sparita anche la “mia” fontana e la sua grata, quella dove ci si fermava a bere, dallo zampillo,  si lavavano le ginocchia sbucciate  su cui poi si legava il fazzoletto a mo’ di benda, a fermare il sangue.  Non c’è più l’asfalto, ma non ci sono più neanche le macchinine a pedali, rosso Ferrari, quelle che affittavi per un quarto d’ora e pedalavi su e giù sempre per lo stesso viale, ma non importava, quando sei bambino, non ci fai molto caso, l’avventura è sempre l’avventura.  “Aspetta – penso-  di fontana ce ne era un’altra, là, dove giocavo con Marina e ogni tanto c’era il tizio con l’impermeabile, Marina sapeva che bisognava stare lontane e non guardarlo neanche se ci salutava… però, mica che mi parlassero mai di niente i miei!”  Per raggiungerla bisognava passare da un’altra cancellata che adesso non c’è più,  vicino alle rocce, sotto la Biblioteca, non c’è più lì neanche il trenino , ci sono ora persone, cani, gelati… pedalo, era sulla destra, ci sembrava così lontano da dove stavamo a giocare.  L’odore… eccola, la fontana dell’Acqua Marcia, dove tante persone, soprattutto anziani,  riempivano bottiglie. La fonte della giovinezza, dicevano. Ma quell’odore lì, così… pensavo allora, lo penso anche adesso, guardando gli zampilli e cercando di decifrare le scritte di un cartello, che hanno sovrascritto con un più esplicito pennarellone “acqua non potabile” .
Un giovane si lava, uno shrilankese si ferma a rianimare con l’acqua fresca le sue rose da vendere.  Chissà se l’acqua sulfurea fa bene, alle rose, sapevo dell’aspirina, invece.
A casa, poi, ho curiosato sul web, per sapere qualcosa di più di questa fontana, ed ho scoperto che c’è una galleria sotterranea che porta la sua acqua sino al laghetto del Parco, quello  dove i pesci rossi liberati dai milanesi diventano carpe giganti.

L'Acqua Marcia vicino all'Arena

la galleria sotterranea che va sino al laghetto