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Why Whiplash?
C’è un’infornata di film belli, non so come andare a vederli tutti. Intanto ho catturato American Sniper prima che esca dalle sale – se guardo i film o la tele dal divano di casa, non resisto sveglia davanti a nulla – Birdman e stasera fresco fresco Whiplash, e devo correre per Mr Turner che è già in giro da un po’.
Whiplash perchè all’Apollo Turner aveva gli orari sbagliati. Certo che all’Apollo sono bei bricconi, l’unica consolazione dell’annoso compleanno erano gli sconti al cine, e lì li hanno appena spostati a 65 anni, insomma, mi fanno lo stesso dispetto dell’INPS.
Premesso che per un film o un libro che non sia I Promessi sposi, l’Iliade e l’Odissea e Via col vento non racconto mai la trama. E’ un bellissimo film… esistono ancora cose di cui parlare che non siano deja vu. Un po’ assurdo nella sola scena dell’incidente di macchina (vi renderete conto vedendolo) può ricordare i film americani con istruttori militari un po’ sopra i toni, può ricordare i film sulle abnegazioni sportive, battere il record a tutti i costi.
Senz’altro l’eccellenza è protagonista, la cercano l’allievo ed il maestro. La cercano odiandosi, sfidandosi, facendosi gli agguati, usando altri allievi come pedine. La trovano. Credo non sia solo nella maestria nell’uso dello strumento musicale quanto nel loro rapporto, entrambi hanno trovato nell’altro quello che cercavano. Perchè se si vuole eccellere, bisogna lasciare sul percorso gli affetti familiari, anzi, gli affetti, e si resta soli, anche un po’ odiati, puoi accettare solo le persone che ti permettono di andare avanti, in questo dicevo Neyman allievo e Fletcher insegnante si sono trovati.
Non so giudicare la musica, non essendo musicista, non conoscendo pressochè nulla della sua scienza, ma non credo si debba suonare nella tensione che creava l’insegnante nei suoi sottoposti, penso che la precisione sia necessaria suonando in un ensemble, il jazz così rigido non me lo immaginavo… però questa rigidezza è un’arma necessaria allo svolgimento della vicenda.
Un pensiero in soldoni… sono contenta che sia uscito un film del genere, che racconti di una vicenda legata alla musica, all’eccellenza nel campo della musica. Che diano un quadro della musica come di solito lo danno dello sport. Ecco, vogliamo smetterla di pagare gli artisti in visibilità? L’arte, non è un dono che cade dal cielo. Cioè, non solo quello, al dono si accompagna un lavoro, dietro, e passione e sacrificio e tecnica. Forse non tutti si rendono conto, di cosa ci sta dietro.
Il film è candidato a soli 5 Oscar, si fa per dire, miglior attore non protagonista, miglior film, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio e miglior sonoro –
Del sonoro, mi sono accorta persino io… come avrei potuto non accorgermi?
Fantastici primi piani, che abbondavano però anche sulle scene di Birdman: qui, non si deve perdere lo sguardo scambiato tra gli occhi fieri del ragazzo, e quelli da rettile del maestro, a suggellare il momento della resa reciproca, la fine delle ostilità.
Chazelle, regista a me sconosciuto, giovanissimo, anche Miles Teller, Neyman, ha partecipato a tanti film che non ho visto, come JK Simmons, perfetto per la parte, non sembrava neanche recitasse tanto incarnava il personaggio alla perfezione… con eccellenza, infernale quanto basta.
L’importanza di non porsi limiti: l’effetto nefasto delle altrui parole “Bel lavoro” che ti inducono a rallentare nella tua ricerca della perfezione, alla quale non si arriverà comunque mai, c’è sempre un qualcosa che si può fare di più per migliorare ancora… No, io non sono fatta di questa pasta, ma capisco che a qualcuno gli capita un fuoco dentro…
Però apprezzo quando non mi si dice “bel lavoro” e mi si danno consigli per migliorarmi.
Il Do
La villa di Stresa dei cugini per me bambina solitaria in vacanza era un paradiso. Credo che lo possa essere per chiunque apprezzi la bellezza e certe atmosfere.
Innanzitutto, era in riva al lago, mentre la nostra era più in alto, e in darsena non ci si ndava quasi mai; lì invece si poteva fare subito il bagno, e poi si pescava, tutti insieme. Qualche persico, ad esser fortunati, e gobbetti colorati, cioè i persici sole, e poi c’era la danza delle alborelle, così l’aveva chiamata Camillo, la moltitudine di pescetti che si incuneavano tra le rocce e facevano baluginare i loro argenti. Poi in giardino c’era una tartaruga, Soffione, tutte le volte da trovare dove si era nascosta, e poi la tenda grande, il ping pong, in primavera i rododendri perfino arancioni, e la pianta sensitiva, e la loro nonna che al suo compleanno invece di ricevere i regali li voleva fare lei, e questo mi ha sempre strabiliato. Io ero spesso sola, tranne quando venivano loro a giocare da noi, ma preferivo quando andavo giù io da loro. Non c’erano solo Camillo e Marella, ma anche i loro cuginetti più piccoli, l’Andrea il Giovanni il Carlo e il Pildo, e qualche volta loro amici.
Oggi mi è venuto in mente il Do, non so perchè, forse perchè stavo ascoltando musica e lui suonava il pianoforte, dava lezione a Camillo. Il Do, non re, mi, fa, sol, la… forse la nota più… al maschile? Il suo nome era Franco Verganti. Non è che abbia dei ricordi personali, solo, una volta che era finita la lezione, Camillo veniva a giocare, e veniva spesso anche il Do, ed inventava qualche gioco… mi pare di ricordare una specie di mini caccia al tesoro, diceva un colore e si doveva portare qualcosa di quel colore. A me che venivo da una famigllia bancaria faceva specie l’idea di un maestro di piano che veniva in vacanza con te, ma di sicuro non era strano nella casa della musica per eccellenza.
Me lo ricordo già un po’ in età e con non troppi capelli, in questa foto era evidentemente più giovane. Ora che ho un po’ a che fare con la musica, marginalmente, il Do mi è forse tornato in mente come esemplare ravvicinato di pianista, e sarei curiosissima di ascoltarlo oggi, che ci capisco un po’ di più.
Così, ho spulciato un po’ su Google, e oltre alla foto ho trovato questo libretto di partiture, si doveva essere molto dedicato alle nuove leve pianistiche, e un accenno qui, uno dei due pianoforti nell’esecuzione con Renata Scotto della Petite messe solennelle di Gioacchino Rossini. E quanto alle esecuzioni, ho trovato appunto solo questa!
Beatles-Live at BBC versus Rolling Stones-Stellavox
30 maggio 2013, ore 21, Legend 54, via Fermi 98, Milano. Il navigatore di Beppe non prendeva in memoria numeri civici superiori al 27, così abbiamo seguito le indicazioni per il 27, l’importante, si diceva, era arrivare in via Fermi. Il 27 non lo abbiamo visto fatto sta che seguendo una freccia sbagliata, che per il navigatore eravano arrivati, siamo finiti fuori da via Fermi, anche perchè il 27 è dispari e cercavamo un numero pari, quindi l’altro lato di questa sorta di autostrada cittadina. Il mio android aveva piantato la sua bandierina “98” e indicava il percorso da farsi, avessi avuto una lente di ingrandimento sarebbe stato meglio, in ogni caso aveva questa freccina semovente salvifica… solo che , arrivati al punto della bandierina, c’erano solo prati. E qui mi ripongo la domanda che mi ritrovo a domandarmi sempre più di frequente, e cioè, l’informatica è finalizzata a servire l’uomo o ad asservirlo? In ogni caso, il Legend 54 era poco dopo, effettivamente è al bordo del sino allora per me sconosciuto Parco Nord, nel quale non ho visto esquimesi ma solo parecchi sportivoni che facevano le loro corsette felpate. Sembra un bel posto, questo Legend. In una sorta di veranda, protetta dalle piogge invadenti, si stava svolgendo sicuramente la pizzata di fine anno di una classe delle elementari. All’esterno, nel giardino, gazebi ed amache, e tavolini, insomma, un luogo accogliente per molte occasioni, mi è parso, peccato così lontano da casa mia, per una frequentazione più frequente. Ad un tavolino c’erano due o tre uomini, uno grande e grosso, il cassiere, ho pensato, perchè mi ha detto che la cassa apriva alle nove, e un altro, coi capelli lisci un po’ lunghetti, il collo fatto su in una sciarpa leggera, che ci ha invitato al tavolo in quanto ho detto che Beppe è rollingstoniano, ma stavamo ancora cercando Paolo, Beatlesiano. Poco dopo avrei saputo che si trattava di Mick Jagger, cioè, il cantante degli avversari, Andrea Pagano: potevo indovinarlo dalla sciarpa, tutto sommato, visto che questa estate incipiente ha le temperature ottobrine. Poi, con Anna, abbiamo deciso di entrare, e di cominciare a prendere il posto, cosa che è assai imbarazzante quando è ancora tutto libero. Poi è successa una cosa curiosa, scelto con Anna il posto che mi sembrava migliore per scattare fotografie con libertà di movimento, tra l’altro vicino alle mogli beatlesiane , il marito Anna e Beppe si sono poi seduti altrove, a un tavolino , e vabbè. Anzi, due cose curiose, la seconda, che il presunto cassiere era in realtà Charlie Watts, infatti era assiso alla batteria rollingstoniana.
Nella sfida si alternavano le canzoni, una dei Beatles e una dei Rolling, praticamente tutte conosciutissime, e trovo anche superfluo elencarle, uno, perchè i titoli non me li ricordo mai, due, perchè appunto chi non conosce i loro ineguagliabili maggiori successi? Paint it Black, Con le tue lacrime, Ruby Tuesday, Chains, Love Me Do, A Ticket to Ride sono solo i primi che mi vengono in mente di un elenco che minaccia di essere infinito.
Il finale prevedibile della disfida tra i Beatles/ Live at BBC e i Rolling Stones/Stellavox è stato il pareggio, ed anche le opposte tifoserie non erano per niente accanite, e men che meno io, che per quanto adoratrice dei Beatles, fui acquirente adolescenziale anche di un paio di LP dei famigerati Rolling.
Certo i Beatles , che appunto finirono Baronetti (un colpo mortale inferto loro dai regnanti britannici) erano più compostini e rassicuranti, almeno all’apparenza, dei Rolling Stones , che si portavano dietro un’aura di dissolutezza.
Parimenti, i Live suonavano serafici, ed gli Stellavox avevano Mick Jagger che abbracciava il microfono, interpretava con la voce e con il corpo, muovendosi a suo agio e disinvolto in scarpette rosse per tutto il palco. E sicuramente pareggio giusto e meritato, ben conoscendo i Live at BBC, gli Stellavox sono stati una bella scoperta.
O Beatles, o Rolling Stones, poi quando diventi grande, diventano The Beatles e The Rolling Stones, due espressioni diverse di innovazione, aria nuova, e sicuramente storia della musica nonostante quello che borbottavano i genitori anni ’60.
senza titolo
La solitudine è un sentimento strano e contradditorio, non a caso ti coglie quando sei in compagnia, o sei in mezzo a una folla, e poi esser soli, proprio soli non è facilissimo. Perchè quando ti senti solo, tu non lo sai, ma c’è magari qualche affetto in giro che tu non hai mai immaginato, e sbuca che tu non lo aspetti. Ma la solitudine non c’entra neanche con l’affetto. Forse c’entra con la paura. Io ho paura. So anche che le cose le affronto, ma non è che non le tema. La solitudine peggiore, forse, è sapere che nessuno può aiutarti, e tu non sai da che parte andare. Di là c’è la paura, di qua, un muro.
Mi ritrovo al buio, con la luce del pc e una lampadina fioca, perchè andandosene a dormire il capofamiglia ha spento lo spegnibile. Me no, non c’è ancora riuscito, qualche volta ci va vicino.
Sento lontano rintocchi leggeri, di una campanella, guardo l’ora, 0.01. Un pizzico di paura ce l’ho, il paranormale è sempre stato affascinante, forse un po’ ci credo. Poi mi ricordo, sono i riti buddistici del capofamiglia, seguirà la litania, il cane chiuso fuori dalla porta della camera.
Vorrei ci fosse ancora mio padre, la sua esperienza… la certezza che penserebbe il meglio per me. Mi protegge. E’ via dal mondo da quasi trent’anni, ma sono sicura che mi darebbe i consigli giusti. Sono sicura che non si stupirebbe di Facebook e degli immigrati e di Moody’s.
Il meccanismo è sempre lo stesso, è inutile che ce lo nascondiamo, che appaiano i Grilli e così. Adamo ed Eva, Caino e Abele, Esaù e Giacobbe e i mercanti nel Tempio si ripeteranno all’infinito.
Così, scherzando su Facebook ho riascoltato Elettrochoc, suonata da Mauro Sabbione, e mi son trovata a desiderare che non finisse mai, avrei voluto esser di nuovo immersa nel concerto di sabato scorso. La musica a volte questi scherzi li fa, che ti commuovi. Un po’ come quando vedo il mio lago.
Live after Live for Van Ghè
The show must go on. “ho dimenticato il plettro, tu ne hai uno? ” no non fumo e non suono la chitarra “quando arrivi fammi uno squillo” , “sei lì? chiedi al bar di fianco se ci possono dare del ghiaccio, solo se possono, poi arriviamo noi” “sì possono” “siamo in ritardissimo, riesci a fare andare la lavapiatti per spolverare i bicchieri?” No, non riuscivo, tasto “eco”, manopola, ma “on”? La manopola non faceva scattare nulla, il contatore era sul rosso, le spine erano dentro… Un pensiero, all’inizio le poesie, le poesie recitate su rumore di lavapiatti dietro il sipario, siamo troppo avanti qui al Van Ghè… Per fortuna l’intervento del primo uomo arrivato – una ragazza pisolava sul soppalco, si era svegliata, ma non avevamo risolto- schiaccia il tasto giusto, di fianco a quello “eco”.
Poi arrivano gli strumenti… tutto pieno di strumenti. Laura si allunga sul trabattello a orientare le luci, i leggii sbocciano come fiori in primavera, si allungano i gambi. Perfetto, siamo pronti, peccato che le cibarie son bloccate in tangenziale. Comincia ad arrivare gente, e poi ancora gente, tutti che si salutano, si riconoscono, si abbracciano … ma ci guardo: siamo tutti noi, ma dico, uno di pubblico, uno?
Arrivano le cibarie, e il buon vino, e il registratore di cassa a riempire la tavola decorata con fiori, origami colorati creati dalla ragazza che non pisolava più. E del meccanismo dei buoni e tagliandini, si capisce nulla, è la prima volta che proviamo a far così per le consumazioni. La scaletta, il mio memo degli artisti scritto su un pezzo di carta, poco più che un francobollo, tutta rigirata che nessuno ci capiva più niente.
Ma alla fine ci siamo stati tutti, e il pubblico, e il violoncello, e l’insolito piattino di taleggio e cachi della Divinacomida, e grazie alla poesia di Francesca Genti, Manuela Dago e Paolo Gentiluomo, a Roberto Deangelis, a Patrizio Luigi Belloli, alla recitazione di Camilla Barbarito e di Pasquale Conti, alla musica di Giangilberto Monti, Alessio Lega, Balen’ Arrubia, Matteo Passante, Cesare Livrizzi, agli accompagnamenti di Fabio Marconi e Guido Baldoni, e il gruppo Monteforte, Tripodi, Viganò, Minguzzi sempre disponibile a coccolarci mirabilmente con le loro note. Ma grazie davvero!
Verso il Carroponte
Laura passa a prendermi sotto casa, l’aspetto al semaforo, così salto su e via, verso il Carroponte, dove Guido Catalano declamerà poesie – o farà il cabarettista, a seconda che lo ascolti un cabarettista, o un poeta.
Come decido che è meglio aspettarla dall’altro lato del semaforo, Laura arriva e si ferma giusto dov’ero due minuti prima, si ferma anche perchè c’è il semaforo rosso, e questa è già una buona cosa che non è detto si ripeterà sempre. La vedo, ma lei agita le mani e spiaccica i palmi contro il vetro, le faccio un segno, riattraverso, la raggiungo, mi siedo in macchina e lei mi dice ridendo: “ti stavo facendo segno di aspettarmi l! “…” e io ho capito di venire lì, vedevo segni strani” Il finestrino è completamente giù, no, non mi dà fastidio, solo che Laura mi caccia in mano un navigatore, che non so come riesco a far sì che prediliga la direzione Sesto S.Giovanni, probabilmente era già impostata,dall’ultimo utilizzo, invece dei WXZ che mi scappavano digitati. L’aggeggio parla, ma mica si sente molto quello che dice coi finestrini aperti, e così comincia il viaggio, con me che faccio la ripetitrice del navigatore, ci dice sempre dove andare, ma tante volte ci sembra che sbagli, e allora facciamo qualche altra strada, in conflitto con lo strumento, che non si arrabbia mai. E’ incredibile! Siamo arrivate! “Il Carroponte, lo vedi? ” Mi dice Laura.
Vedo infatti una strisciolina di rosso dietro a delle costruzioni. Postaggiata l’auto, ci entriamo, ci sono delle aiuole e queste gigantesche impalcature, nel mio immaginario carroponte mi faceva pensare a una specie di nave petroliera, ed invece dicasi carroponte un argano installato su un carrello o un paranco, ed un ponte costituito da una trave, i cui usi più comuni .sono all’interno delle fabbriche e dei magazzini per il trasferimento di semilavorati e di prodotti finiti tra un reparto e l’altro o verso l’area di carico e scarico; vi sono anche carriponte destinati all’uso siderurgico con funzioni di parco rottami, carroponte da carica o per movimentazione billette: così in sintesi da Wikipedia. Lì effettivamente c’era la Breda. Un attimo di commemorazione compunta. Gli operai, la fabbrica, le considerazioni sull’adesso.C’è una prima parte coperta, escono voci e musica, ma costeggiando la costruzione color infuocato, si arriva al prato, a un gazebo dove si sta esibendo Andrea Cola, e alla base di un pilone è seduto solitario il Poeta, con fogli bianchi tra le mani, che aspetta le ore 22.00, che sono anche passate. Il
prato è occupato da tavolini e da divanetti fatti con pallets, e assi per schienali. Non ce ne è uno libero. Laura segnala la panca lontana, occupata da un solo individuo. Che però si alza. La panca è libera! con passo felpato e velocissimo ce ne appropriamo. La spostiamo in centro, sul fondo. No, meglio che andiamo un po’ più avanti.
Ci sediamo. No, un po’ più a destra adesso. Ora c’è Catalano nel gazebo, implora che la gente vada più vicino al palco, obbediscono in tantissimi, il prato si è riempito, e noi.. zac, là vicino con la panca. E poi che dire? l’aria era fresca, si stava bene, Guido Catalano ha dato il suo meglio tra foglietti svolazzanti , e, per il veloce ritorno nella notte, come cavalli verso la stalla, il navigatore l’abbiamo lasciato dormire nel suo angolo
vedrete la musica, ascolterete le immagini
Così veniva presentato, quando ero piccola, il film di Disney, Fantasia, per il quale avevo una vera passione, non solo per i piccoli cavallini alati e la Danza delle Ore con ippopotami in tutù e coccodrilli.
Ieri sera mi è successo con questo:
e come questo ho visto che ce ne sono tanti altri.
Ascoltavo la musica, e guardavo lo spartito, cercando di ricordarmi quella grammatica, e la frequenza delle note ha preso forma nella musica…affascinata ho seguito gli spartiti, e poi ancora, riproduci il video.
Forse, per osmosi, posso arrivare a comprendere meglio il linguaggio musicale?
E’ una delle cose in lista ” da fare prima di morire” come l’imparare a dipingere con gli acquarelli, solo che se la pensione me la spingono sempre più in là, mi rovinano i piani.
E qualche volta penso che morirò presto, mi fa paura la casa dell’Oltrepò, così piena di crepe verticali e orizzontali, forse vuole inghiottirci, e allora se muoio presto sarebbe il caso di non rimandare nulla.
Anni fa, avevo cominciato a lavorare da poco, un giorno a casa ha suonato il campanello, ed era un pianoforte. Non che non avessi avvisato i miei genitori o la cameriera, di aver noleggiato un piano forte, ma credo non mi avessero dato retta.
Insomma, avevo questo piano verticale in camera, ed andavo a lezione un paio di volte la settimana da Susanna, in via Lovanio, quasi la cerco che debbo ancora restituirle una guida turistica su Firenze, mica l’ho buttata via, si sa mai nella vita. Così un po’ le note le avevo imparate, le palline vuote e piene, e le minime e le biscrome… ora non mi ricordo più nulla, mi ricordo che le frazioni di note dovevano fare l’intero, che equivaleva alla pallina… era così? Mah! In ogni caso, il mio solfeggio era di uno stonato pazzesco, potrei sognare me che solfeggio una notte che ho gli incubi. E per suonare, mi vergognavo a provare, mi vergognavo con gli stessi tasti, mi vergognavo che mi sentissero, un po’ la vergogna che provo a cantare o stare in pubblico. Forse mi riesco ad esprimere scrivendo e con le fotografie, perchè non appaio.
Fatto sta che il pianoforte dopo giorni e giorni di silenzio se ne tornò alla Ricordi.
Vanghè
La serata di ieri sera, per quanto interrotta, sono rincasata presto, mi è sembrata meravigliosa, e chissà cosa ho perso….
E’ stata un po’ una sorpresa, non avevo letto programmi precisi, e poi, se appena posso, a priori, al Vanghè vado, che si stia bene, che l’intrattenimento sia di qualità, per me è scontato, i programmi li salto anche.
Presenti, tanti, alla serata di “chiusura” delle attività della stagione 2011-12, che poi chiusissimo mi sa che non starà. Presenti anche tanti artisti, molti che proprio non conoscevo, ma d’altra parte non ho la presunzione di conoscere tutto e tutti, ho fatto per anni una vita tra lavoro famiglia, scuole, ed è dal 50esimo compleanno che mi sono regalata, e pretendo, di metter il naso fuori da quel circolo “vizioso”, ed il terreno da recuperare è tanto.
Così, oltre alla schiettissima poetessa Anna Lamberti Bocconi, ho ascoltato i cantautori, Folco Orselli e il milanesissimo Giangilberto Monti, e Ruggero Dondi che si è cimentato con poesie di Campana scritte da lui, con molta verve, e sorpresa, batteria basso tromba e chitarra, son scivolate via le note di tre brani di jazz.
E quando sono andata via si stava preparando Roberto Zanisi,
Con molta timidezza, quasi vergogna, si faceva cenno ad un cartello, con delle formule di abbonamento per gli spettacoli del prossimo anno… ma che vergogna e vergogna, il Vanghè deve crescere e prosperare, che se lo scopo dell’associazione è supportare il disagio mentale, ci fa star bene anche noi, non ufficialmente mentalmente disagiati, ma tanto tanto stanchi e ci piace trovare, in via Bastia 15, a Milano, disperso tra casone e capannoni, la fetta di mondo che ci offre il Vanghè.
Alle volte, un senso di spossatezza.
Online. Anni fa, al massimo era Only you.
Angelini Manfredi Nahum Spiccio Vanghè, in ordine alfabetico, che se no non saprei come fare
Ordunque, quelle sere in cui mi capita di andare VanGhè, se appena riesco mi piace portare qualcosa da mettere sul tavolo dell’aperitivo, e così il sabato pomeriggio 28 aprile ho preparato il mio cavallo di battaglia, una torta salata seguendo la ricetta “apri il frigo e guarda cosa c’è” ed è toccato a spinaci, zola e brie.
E feci bene, perchè a me non piace molto il pesce, perchè quella sera, in cui andavo a sentir musica di sicuro pregio, che in Sanremout mica si parla di fole, il cantautore ligure si sarebbe dato alla cucina: indossato il grembiulone maitre Angelini si è ritirato dietro le quinte a preparare il sugo di muscoli, ad affettar patate e aringhe, ed a e tritare prezzemolo, in quantità industriale. Dovevamo essere in venticinque, infatti, e si era ignari che il numero sarebbe più che raddoppiato, chè siamo italiani, e a nulla puote scrivere nella locandina di prenotare.
E poi l’acqua non bolliva mai, e come accade nelle cose compartecipate occorreva rintracciare chi avesse riempito il pentolone formato naja per sapere quanto sale ci avesse messo.
L’acqua non bolliva, e dopo anche la pasta era lunga a cuocere, Marco Spiccio si è messo al piano e suonava in modo tale, e anche diceva cose che facevano un po’ ridere, ma anche sorridere, che insomma l’acqua poteva anche non bollire mai, andava bene così: però non capisco la platea milanese, cioè, proprio milanese dura… Con la facoltà di scegliere cantautori, di dove li poteva mai scegliere, la platea? di Milano, e tè giù una canzone di Jannacci. Ma io mi dico, questi musicisti son tutti liguri, son qua a Milano che di solito sono i milanesi che vanno in Liguria, e gli chiedi Jannacci? E Conte no, per dirne uno*? Ma è andata lo stesso, gli spartiti sul piano di Spiccio hanno la dimensione di una Bibbia.
Così mentre vai a sentir musica dai una mano ad apparecchiar la tavola, e cerchi di scattare qualche foto in giro, che un po’ ti senti anche rompiballe con la macchina fotografica in mano, col teleobiettivino, che sembreresti una gran fotografa e invece il libretto di istruzioni della Lumix Panasonic non sei mai stata in grado di decifrarlo, ti manca la laurea in fisica. Però quando volevi fare fotografie allo chef che rimestava pasta e sugo, che ci volevano muscoli anche nelle braccia e non solo nel sugo, da tanta era, e vedevi che occorrevano altri piatti e altri cucchiai, hai anche appoggiato la macchina e lavato i piatti e i cucchiai delle portate di patate e aringhe, e le mani avrebbero saputo di aringa per tutta la sera, che poi andandosene in fine di serata, al saluto del maestro Angelini con tanto di baciamano, ti sei scusata, “Ma so di pesce” , “anch’io!” ha risposto ridendo lui. Beh, tanto è a me che il pesce non piace. Ma anche al ragazzo seduto a tavola davanti a me, non piaceva il pesce, e dopo aver assaggiato le patate prezzemolate con l’aringa, e la pasta con i muscoli, si è circonfuso di luce “mangerò pesce tutta la vita!”. Quindi al Van Ghè capitano anche miracoli, ma non mi stupisce più di tanto, in un posto dove si sta tanto bene.
Sono giusto riuscita a perdere l’inizio del concerto perhè ho dato un passaggio alla metropolitana verde ad un amico che veniva da fuori, poi vedrò se mi sono presa anche un paio di multe lungo la strada del ritorno al Vanghè. Così ho potuto ascoltare un paio di canzoni ancora dell’Angelini, e non chiedetemi mai un titolo, non li saprò mai, non me li ricordo, ed allo Spiccio pianista si era aggiunto il Nahum chitarrista, che ho scoperto essere quel signore, già seduto piuttosto vicino a tavola, e che si metteva sempre tra me e lo Spiccio quando volevo fotografarlo dal mio posto, ma anche egregio compositore, come si è accertato in loco, con testo di Angelini.
All’Angelini è subentrato Max Manfredi, con chioma garibaldina per sua stessa ammissione, e la serata si è chiusa con Angelini, e insomma, si capisce che quei quattro lì sono amici e fanno le cose divertendosi, questa era l’atmosfera che si sentiva, senza quel dualismo io sono l’artista e te sei il pubblico, buono lì.
*mi hanno giustamente segnalato che Conte è piemontese, ed infatti è nato ad Asti, non mi sono neanche mai sognata di controllare, perchè per me è genovese, come fosse una di quelle cose che nasci e le sai. Chiedo quindi venia. E pare che il nome sia stato proposto, ma mica ho sentito dal mio angolo!
What a wonderful word
I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world
I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world
The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin’ hands, sayin’ How do you do?
They’re really saying I love you
I hear babies cryin’, I watch them grow
They’ll learn much more than I’ll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world
Oh yeah
Luis canta, con la sua aria buona, dimena i suoi grandi denti candidi e nel mentre tende alla felicità: non lo sa, sarà tradito.
Ogni tanto, qualcosa di magico.
Il venerdì 17 non è sempre un giorno in cui tutto va di sfiga, anche se capita di sbagliare uscita in tangenziale, e non si ha magari la chiave per entrare al Vanghè, e capita di aspettare un po’.
Ad esempio, per me è stato il giorno in cui ho ascoltato Milena Prisco leggere in modo struggente il suo testo, Marco Cavallo è vivo, accovacciata nella quasi totale oscurità, e mentre seguivi il suo tormento, Stefano Giorgi tracciava magie sul telo alle spalle di Milena, in una sintonia perfetta, di immagini, di parole con i suoni padroneggiati da Roberta, il nitrito di Marco Cavallo, il pianto e stridor di denti del luogo dove delle persone – sostantivo non scelto a caso -sono tenute in contenzione.Ancora adesso, dicono gli addetti ai lavori, nonostante la legge Basaglia e nonostante sia idea comune che i matti ora son tutti sguinzagliati in giro, che se ti guardi intorno, o leggi certe cose, pensi anche che sia vero, ma non sono quei matti lì, di Basaglia.
Stefano il mago ha aperto una cappelliera, tutta illuminata dentro, e tracciava segni su un vetro, e quei segni si animavano sul telone, e due biglie correvano in un coperchio di plastica ed erano occhi sgranati sullo schermo, e gocce di colore che si scioglievano nell’acqua spiegavano il malessere che si sentiva dentro, ed il sogno di libertà, e il coperchio ondeggiava e la marea si ingrandiva sullo schermo. Una magia con qualche pennello, coperchi di plastica dei cioccolatini, qualche sagoma ritagliata, Marco Cavallo con le lunghe zampe e la bambina aggrappata, per correre oltre il cancello, dove ci sono gli alberi verdi.
E poi, Marco Cavallo esiste davvero, era un cavallo, ora è un simbolo, e finchè ci si crederà non morirà.
Impressioni Sanremose.
Confesso… mi sono piazzata in cucina col pc, un occhio al pc, un occhio alla tv, magari anche un orecchio, trattandosi di Festival della Canzone.
Goran Bregovic schiocca le dita alla sua orchestra, ha un piglio da domatore con i suoi leoni, ma Romagna mia non gli si addice, credo si addica a ben pochi.
Le rughe sono dappertutto a Sanremo, a Morandi gli hanno invaso anche la voce.
Al Jarreau non l’avevo mai visto, e mi ha lasciato un’impressione dolcissima, non tanto per il canto, era la canzone del Padrino, “Parla più piano”, alla canzone non ci facevo più tanto caso, guardavo quest’uomo, come si muoveva, attentissimo, con una quasi timidezza, come si appoggiasse appena a terra, ed aveva un tale sorriso, che sembrava venir da un altro mondo, che non c’entra niente con lo spread e moody’s e l’art. 18 e i bunga bunga. Forse è un angelo, che mica debbono essere sempre con capelli riccioluti in una profusione di azzurri e di gialli oro.
Credo che con quelle luci che partono con la musica, tempo dieci minuti mi verrebbe la frenesia di levare le tende.
Ora Lucio Dalla, si è seduto al piano, e non lo si vede più. Mi viene in mente il mio amico di secoli fa, Glauco, a Chiavari, che era bassissimo e aveva una mini minor, e quando vedevamo arrivare una Mini vuota, era lui.
Morire che mi ricordi il nome di un cantante o un titolo per più di trenta secondi.
Questa serata mi sembra più ordinata della prima, meno fumosa, mi sembra meno anche l’invasione pubblicitaria.
Che il Festival delle rughe continua, ma Patti Smith è Patti Smith, e anche Because the Night e poi le rughe mica bisogna vederle negative, sono solo un segno del tempo, come la corteccia degli alberi.
A volte, il viso invecchiando avvizzisce, ma nel reticolo di rughe gli occhi continuano a brillare, la bellezza non lo abbandona: ci sono visi che diventano invece maschere deformi, saranno forse persone che non si sono volute bene.
Per esempio Loredana Bertè, che non so se ammirare per la tenacia e il dolore intrinseco della sua persona.
E comunque, il Festival, importa per la musica, mica per le manfrine, e stasera è stato gradevole, e poi non c’era il sermone, che veramente, anche quello ormai sembra di un altro pianeta, e non lo stesso pianeta di Al Jarreau.
Irene Fornaciari ha la voce vuota, ma forse dovrei sentire qualche cosa d’altro di suo, o di altro genere.
Stasera è stato bello probabilmente perchè non erano canzoni per Sanremo, che quando le ascolti pensi che non si può più scrivere nulla di nuovo, le ascolti e le senti stentate, tipo si son seduti lì al tavolino, ora componiamo: (proprio con i due punti) non lo dicono, ma c’hanno due dadi, con scritto amore cuore braccia labbra cielo pioggia gelo ruvido lontano pensiero lasciato piccioni. Qualche volta una canzone riesce, e spacca.
Partenze per Vienna
Sono in coda al supermercato, quello prima di me e quello dopo si conoscono, io non li conosco ma non posso fare a meno di ascoltare il loro dialogo.
“Lunedì si ricomincia” aria finto-rassegnata di quello dietro di me
“Io invece vado a Vienna” dice l’altro, quello davanti a me, una spruzzata di bianco sui capelli, sopracciglioni, un brutto naso aquilato, più che aquilino.
“Ma i mercatini di Natale saranno finiti, è finito il Natale” che il Natale sia finito son quasi d’accordo
“Ma vado con la morosa” ah, ecco, a Vienna ci si va o per i mercatini di Natale, o con la morosa
“Dev’essere una bella città ” già… (sob)
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