Archivio mensile:febbraio 2016

Good Kill all’ ucci ucci cinema.

Ieri sera alle ore 22 circa facevo il mio ingresso piovoso nel mondo dei cinema multisala, quelli grandi grandi che in genere non stanno in centro città, hanno il loro parcheggio, cattedrali a  misura dello spettatore d’allevamento. 0
Come in tutti i cinema, dove c’è la cassa c’è un tabellone qui altissimo, con il titolo del film, le sale (qui in numero di otto), l’orario, i posti disponibili.  La coda scorre  veloce, per fortuna.. quando arrivi in prossimità della cassa, si palesa un cartello ad altezza umana:
I film hanno inizio 25 minuti dopo l’orario indicato, i biglietti si vendono fino a 20 minuti successivi ” .Glab, il film cominciava alle 22.40, quindi….alle 22.65, ovvero alle 23.05.
Ottenuti i biglietti, ci si dirige alla sala, al piano superiore.  Ci si accede, pare, solo con una scala mobile, custodita  da due omini del cinema, quelle che una volta si chiamavano maschere, ora sembrano mastini. Non si sale fino a che non cominciano i film. L’atrio è infatti pieno di gente vagante.  Ci sono bar, ristoranti, pizzerie, pochi sedili indipendenti. Ci si dirige a prendere un caffè. Per forza, la ggente in qualche modo deve passare il tempo di attesa. Poi cosa c’è di più comodo che cenare direttamente lì?  Chissà quanti amori sono nati nei fast food, quante dita unte fried chicken si sono sfiorate, strette, durante la visione del film.
Dopo il caffè, ecco, è l’ora, possiamo accedere alla suprema scala mobile, passiamo, ma la piccola sala 7 è al secondo piano.  Ci sono le scale, dal primo al secondo. Quelle mobili non le vedo, c’è un ascensore che puoi prendere solo per scendere.
Quindi, ascendo al secondo piano per le scale  immobili.
Insomma, il compito assegnatoci è chiaro.

good-kill_rq15Il film. Good Kill, sembrava interessante, parlava di guerra coi droni, interventi mirati da migliaia di chilometri di distanza, ed il disagio di un aviatore passato dalle azioni in volo a quelle seduto davanti a un monitor, problemi che si riversavano sulla vita di coppia etc.
Nella prima parte del film mi sono anche un attimo addormentata, le continue riprese dal drone non erano il massimo, e tutto il ritmo del film è assai lento.
Il sottotitolo del film spiega tutto: Se tu non vedi in faccia il tuo nemico come puoi vedere in faccia te stesso?
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Ci si sente un poì vigliacchi a eliminare vite umane,  non sempre tutti combattenti, dalla propria sedia, obbedendo agli ordini di una voce che arriva da un altoparlante…è un videogioco fatto realtà. Thomas Egan non riesce più, ed anche una volontaria in team con lui si svolontarizza, ma tant’è, non è un film denuncia, non ha smosso le acque, e i droni partiranno infatti anche da una base italiana, verso il Nordafrica, a scopo solo di difesa… speriamo lo scopo non cambi.
Ci si pone un dilemma, nel film, a cui non viene data risposta, una risposta che non viene data neanche nella vita fuori dal film : “loro ci uccidono, noi li uccidiamo, i loro figli sopravvissuti si vendicheranno uccidendoci, non è la soluzione” .  Se gli USA usano i droni, loro usano i bambini bomba, e fanno attentati uccidendo consapevolmente nostri civili, e sono ovunque, non in una casetta vigilata da un drone e bombardabile.
Un film che può piacere agli appassionati del genere, quale io non sono.
Tra l’altro, mi ha colpito  la forte presenza della geometria nel film. Dal taglio di capelli a spazzola dell’ex pilota, alle casetta afghane, alle inquadrature per sganciare le bombe (oh, ma qualcuno che mette la benzina e le bombe nei droni, e da dove partivano. questo non lo ho visto, se c’ero dormivo, forse), ai quartieri dei militari in Las Vegas, sembravano le casette del gioco SIMS1, tutte in fila, tutte uguali, e anche la moglie del protagonista, Molly, sembrava una Barbie.
Impatto empatico pari a zero.Io, magari per voi tantissimo.
Mah!

noticine su IL CASO SPOTLIGHT

Non dirò nulla della colonna sonora perchè non la ricordo.
Vuole dire che non si staccava dal film. Non strideva, e non brillava di luce  propria, quindi si amalgamava. Mi capita assai di rado, di distinguerla dal filme ricordarla a parte.
spotlightLa vicenda è nota, in quanto realmente accaduta. Il gruppo Spotlight, che al Boston Globe si occupava di approfondimenti di notizie delicate,  viene incaricato di andare a fondo su quella di un caso di pedofilia.
Le indagini si allargano a macchia d’olio, i prelati interessati  sono moltissimi, e la Chiesa ha fatto di tutto per mettere a tacere le cose, facendo trattative private con le parti lese, trasferendo i preti etc.
I giornalisti vincono le resistenze della città omertosa – non vedo non sento non parlo – riuscendo a ricostruire il sistema che ha interessato più di 1000 ragazzini e ragazzine, e un’ottantina di preti.
Il film, candidato a molti premi Oscar (miglior attore e attrice non protagonista, sceneggiatura, miglior film, regia, e credo basta, e basti) è senza dubbio da vedere e molto interessante, anche per chi non è giornalista, perchè mostra come si fa giornalismo, ovvero come si cercano le fonti, e le prove, si rispetti la privacy e le corse per non farsi soffiare le notizie dalle altre testate.
Il primo pensiero: Quando i giornalisti sono davvero utili.
Il secondo pensiero: Non è intervenuta alcuna forza politica, solo la direzione del Globe che voleva aumentare/mantenere il numero dei lettori e aveva spinto all’indagine.
Il terzo pensiero che forse doveva essere il primo: la notizia l’avevano sottomano anni e anni prima, un altro caso, ma l’avevano sottovalutata.
Dicevo il film è interessante, e coinvolgente, però lo stavo guardando io, che marginalmente conosco l’ambiente di chi scrive, io stessa nel mio piccolo scrivo qui e sul social e nello scrivere mi faccio delle domande:   è in grado di coinvolgere anche chi da questo ambiente è lontano, al di là del problema ripugnante emerso  nella Chiesa?
Perchè questo non è un film sulla pedofilia, è un film sul giornalismo.
Certo, le emozioni che spingono il gruppo Spotlight sono abbastanza contagiose, forse alla storia manca quel pizzico che fa film,  che rende i protagonisti un po’ più eroi agli occhi dei non addetti ai lavori… ovvero qualcuno che contrasti i giornalisti, li minacci, li diffidi.
Tipo, Rezendes è al telefono e la telefonata si interrompe bruscamente, e bussano alla sua porta di casa. Brrr… che arrivi la nominata pallottola, che entri qualcuno che lo fa nero? Chiede chi è, L’arcivescovo di Canterbury, risponde la voce del capo redattore Bradlee che entra con una pizza.
E comunque, per me che amo i puzzle, è un bel film.