

Si vede una grande soffitta, grande e squallida. Nella parete di fondo c’è una larga finestra, ma gli sportelli sono ancora chiusi; tutto rimane in penombra, e le cose hanno una loro aria addormentata,un po’ fantastica.
Fiorello e Furetto dormono davvero, distesi su giacigli che sono appoggiati al muro, ai due opposti lati della stanza.
Il focolare è spento da gran tempo. La tavola, sotto la finestra, si annoia a non essere mai apparecchiata. Due sedie sgangherate si guardano di traverso, In un angolo è appoggiata e luccica una vecchia mandola. C’è una porticina sulla sinistra, chiusa.
A poco a poco una luce più chiara verrà di fuori, riflesso della neve sui tetti.
Il silenzio rimane teso per qualche momento,come un fredda nebbia.


E’ passato qualche tempo.
Ora siamo nella ricchissima saladi un palazzo orientale, di pieno giorno.
Il fondo è occupato da uno svelto portico moresco, dal quale pendono lanterne a forma di pagode e di draghi. Al di là del portico, tre scalini più in basso, si stende il giardino, verdissimo, fiorito, sfolgorante di sole.
Vi è una porta a destra ed una a sinistra. Pochi mobili bizzarri, e una grande quantità di cuscini dai colori fiammeggianti, gettati un po’ dovunque. Statue d’avorio, elefanti di ebano, vetrine di ninnoli; fasci di enormi fiori gialli e bianchi in vasi di porcellana azzurraaa. Da un alto brucia profumi d’argento si innalza una colonnetta di fumo.
La sala sembra più sognata che vera, ed è più splendida che allegra.


Siamo in un vasto piazzale del Parco Imperiale, già da tempo le torri del Palazzo Hanno suonato le nove. E’ notte; ma alcune fantastiche lanterne diffondono intorno un blando chiarore, e su nel cielo splendono vivide le stelle, poichè non ancora è sorta la luna.
Tutt’intorno si alzano alberi magnifici, – palme, muse, mirti, lauri – e fra l’intrico dei tronchi si aprono vaghi viali.
Sulla destra è una predella con un duplice rono rifulgente, coperto da un aureo baldacchino; un seggio è un po’ più altro dell’altro.
Il piazzale appare deserto. Si odono musiche lontane e quasi perdute.


Siamo di nuovo nell’alta soffitta. Vigilia di Natale, verso sera.
A traverso i vetri della finestra si vede un turbinare di neve, che vela i tetti e le torri. Il cielo è smorto; a poco a poco si fa buio, Giunge di fuori un festoso scampanio – campane di Natale, vicine e lontane.
Fiorello e Furetto se ne stanno seduti su due giacigli laterali, uno di qua uno di là.
La fiaba in realtà è poesia. Non amo la poesia, non amo le poesie scritte in forma di poesia, ma la sento, quando si nasconde, e fa capolino, tra dolcezza sorriso e un filo di ironia… non ci si deve dimenticare che l’autore è toscano.
Su Giuseppe Fanciulli c’è scritto qualcosa qui.
Nulla di nuovo sotto il sole, nella trama, ma penso che nella semplicità non ci sia nulla di male.
Perchè semplicità non necessariamente è banalità, e stupire non è un obbligo.
Credo che per chi scrive sia invece un obbligo suscitare emozioni.
Di questo libro ho sempre amato tantissimo le illustrazioni (che si possono vedere ingrandite a piacimento anche nel mio album di foto Flickr, qui a destra sul template), ci ho sognato tanto da bambina. Questo libro era di un mio cugino, e non so come sia capitato a me…io non lo avrei mai ceduto. Ma in famiglia mia non ho mai sentito tanto aria di letteratura. Giusto l’enciclopedia Treccani e la settimana enigmistica, con il forte sospetto che la prima fosse finalizzata alla seconda.
Due amici poveri in canna, Fiorello musicista incompreso, Stellina povera merlettaia innamorata di Fiorello che li aiuta dimenticando in soffitta la borsetta, Mastro Padella il negoziante feroce e rintuzzato creditore, il Gran Visir che innamorato da cinquant’anni della sua bella ha finalmente terminato un madrigale per conquistarla e chiede consiglio all’ormai affermato Fiorello, il Mastro di Palazzo che invita Fiorello dall’Imperatrice, la cui principessa figlia è rimasta conquistata dalla sua musica e vuole sposarlo, ma se Fiorello non si dimostrerà all’altezza morirà, e infatti fuggirà. Ritroverà la semplicità di sentimenti ascoltando la musica della cornamusa di un pastore e ritroverà anche Stellina che lo ha aspettato, reietta nel periodo di fulgore.
Zufrin è lo spiritello della musica, che dormiva nella mandola, si sveglia ed è disposto ad aiutare gli uomini solo se ne sente la purezza. Non aiuta Fiorello finchè vede nella sua mente anche l’ombra del desiderio di ricchezza, ma decide di intervenire per la forza dell’amore di Stellina; deluso, come sempre, dall’Uomo, non lo aiuta più e si riaddormenta quando lui, raggiunto il successo, rinnega l’amore per la ragazza, mirando alla mano della principessa. E tutto crolla addosso a Fiorello. Insomma. un’apoteosi dei buoni sentimenti, compreso l’incrollabile sodalizio con il prosaico Furetto nella buona e nella cattiva sorte,.
E qualche sorriso
"A esser poveri non puoi aver brutte sorprese,tutt’al più diventi ricco"
E il successo del Gran Visir con la sua bella "maestà fui inondato di fiori"
"Mi par che abbiate addosso anche un po’ di terra…"
"Per far più presto, dal balcone mi tiravano i fiori con i rispettivi vasi"