Il negozio più affollato in via Torino alle 19 di sera, è Amsterdam Chips. Però non è bello starci seduta davanti a leggere un libro, sul marciapiede di fronte, alla fermata del tram in attesa che cominci il film, perchè arrivano le zaffate di fritto, e poi, per star ferme così, fa ancora un po’ freddo. E allora mi sposto nella galleria del cinema, e tanto per passare il tempo pensi, ” Quasi faccio una foto alla locandona” del film che ha vinto il leone d’oro come film dal titolo più lungo, e non c’è come pensarlo perchè cinque persone ci si fermino davanti a parlarsi. Ma è più lungo
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza
o forse
Cosa è successo tra mio padre e tua madre?
Il piccione vince.
Il piccione si vede solo nella prima sequenza, per giunta impagliato, che viene il dubbio sia impagliato anche l’uomo che rimane imbambolato a guardarlo. Poi il piccione non lo vediamo più perchè è lui che ci guarda.
Qualcuno si è anche sentito piccione ad essere andato a vedere il film, sentivo una uscendo che diceva una boiata pazzesca, mentre la aspettava fuori dal cinema un vecchietto a metà tra Nosferatu e i personaggi del film.
Non è un film facile, se si può dire che ha un filo conduttore, non si può dire che ci sia una vera e propria trama.
Goteborg, o qualunque altra città non importa. Goteborg perchè ci sono i marinai del 1943nella trattoria di Lotta la Zoppa, e i centomila soldati di Carlo XII diretti in Russia che passano davanti al bar dove Sem e Jonathan si sono rifugiati perdendosi e nel quale il re entra a cavallo e beve acqua minerale gassata. Sem e Jonathan sono i due mal messi piazzisti di scherzi di carnevale, personaggi dal colorito pallido come si fossero salvati da un film sui vampiri, che cercano di vendere denti di Dracula coi canini allungati – quasi come quelli della tigre con i denti a sciabola e il sacchettino che fa la risata “Vogliamo far divertire la gente” è il ritornello con cui mostrano la loro merce. Davanti allo stesso bar ripassa l’esercito sconfitto a Poltava, colpa dei russi che si sono armati di nascosto, consolano il re sfatto.
Il tizio alla fermata dell’autobus che sente dire dal negoziante che apre la bottega ” E’ di nuovo mercoledì” e rimane sconcertato, e chiede conferma agli altri che aspettano con lui, e tutti concordano sul mercoledì, scandalizzati che costui potesse sentirsi come fosse un giovedì.
I quadri nel film sono innumerevoli, in molti ci finiscono i due tristissimi piazzisti, ci sono altri personaggi che si vedono nei momenti in cui inseguono la loro vita, non sto a dirli tutti, perchè poi il film lo si deve andare a vedere e a scoprire.
Mi sento di parlare più di quadri che di episodi… sono quadri a colori tenui, grigioverdi, e i personaggi sono in genere pallidi, e stanchi, e sono la gente normale, quella che nessuno vede, di cui non ci si accorge che esistono, sono quelli che fanno numero, stentano ad essere protagonisti financo della loro vita. Quadri, perchè i movimenti sono ridotti al minimo, come i dialoghi. Un po’ come capita nelle esistenze solitarie. In certi momenti mi ricordavano un po’ scene della tragedia greca, col coro.
A noi spettatori viene da sorridere, non certo risate grasse e flaccide, mentre pochi dei personaggi trovano un motivo per farlo. E viene il dubbio se si tratti di esistenza o sopravvivenza, su questo riflette il piccione, credo, e come sia difficile a volte trovare un senso, uno scopo, cioè rispondere alla domanda “che ci faccio qui sulla terra”.
La qualità tecnica del film mi sembra parecchio buona, e curata… se si guardano i titoli di coda, sembra che abbia collaborato al film, una co.produzione francese, tedesca, norvegese e svedese, mi pare (4 erano) , l’esercito di centomila soldati di Carlo XII.
Regia di Roy Andersson, attori per me sconosciutissimi.
Un film da vedere? Direi di sì, ma certo non … nazional popolare.
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DRAGON TRAINER 2 evvabè, lo so che c’è appena stata “Venezia”
Sono andata a vedere questo film solo per far felice il nipotino… non amo molto il fantasy, e neanche la nuova generazione di cartoni animati, ovvero quelli con personaggi mostri, e storie violente, sono rimasta agli orsi Baloo e alle principesse di Disney… non che le fiabe scherzino, quanto a cattiverie di ogni tipo.
Solo, i personaggi, i colori erano più soft, armonici di tanti cartoni propinati ora e che mi attirano poco, pur non avendo nulla contro il genere, non lo trovo necessariamente riservato ai bambini.
Così, sono rimasta piacevolmente sorpresa, non solo il film mi è piaciuto, ma me lo sto portando dietro, cioè, ancora oggi ci sto pensando su. O la bambina che è in me, ci sta sognando su.
La sensazione come se fosse stato tutto vero, ed è evidente che no: indubbiamente mi sono sentita partecipe della vicenda e della sorte dei draghi e del villaggio vighingo di Berk.
Naturalmente nulla sapevo del film Dragon Trainer, il primo, e che i due film sono tratti, a regia e sceneggiatura di Daniel Des Bois, da una trilogia di romanzi scritti da tale Cressidra Cowell, il terzo seguirà nel 2016 o 2017.
Nel primo film i Vichinghi erano in lotta con i draghi acerrimi nemici, poi tramite il figlio del capo Hiccup, che aveva fatto amicizia (in questi film non si parla di contatti FB) con un drago della specie “furiabuia” arrivò la pace e la convivenza: anzi, i draghi diventarono i destrieri onnipotenti degli abitanti del villaggio.
In questo secondo episodio la pace viene minata dal solito cattivo che vuole impossessarsi e dominare tutti i draghi, e tra situazioni comiche, dolori e gioie, si svolge l’abituale conflitto tra il bene e il male, e naturalmente vince il bene. Correggo, che vinca il bene sta diventando sempre meno cosa naturale.
Un film piacevolissimo da vedere, una storia ben articolata, personaggi umani dai sentimenti veri, i draghi stessi ricordano i nostri animali domestici, il furiabuia protagonista, Sdentato, non si discosta molto dai miei due gattonibui.
Il film manda molti messaggi – messaggi, non chissà che di originale, ma messaggi positivi, un sollievo, ogni tanto – ai ragazzini, e forse anche agli adulti che amano il genere.
Il ragazzo eroe, Hiccup, è privo di un piede, ha un animo grande e un grande coraggio, e compie la sua impresa. La madre, ritrovata dopo venti anni, si scopre che è una donna che voleva la pace ma restava inascoltata anche dall’adorato marito capo del villaggio, e trasportata lontano da una draga che le si era affezionata, ha realizzato i suoi ideali pacifici nel nido di draghi: felice di ricongiungersi alla famiglia visto che il dialogo ora era possibile, e che quello in cui lei credeva, e propugnava inascoltata, era ora una realtà nel villaggio.
L’apparenza, la diversità, l’amicizia, e il perdono, il furiabuia soggiogato dal drago cattivo Alfa che ha questo potere sugli altri, uccide il padre al posto del giovane eroe Hiccup, e rinsavito capisce cosa ha fatto, asuo modo chiede perdono, ma Hiccup addolorato lo respinge, e al drago amico non resta che andarsene con gli altri, comandati dal drago Alfa cattivo. Poi Hiccup capisce che Sdentato ha agito non in sè, riesce a recuperarlo e a far pace, nonostante il dolore grosso per il padre, e insieme affrontano il drago Alfa… Sdentato, sconfiggendolo, diventa a sua volta drago Alfa, e tutti i draghi vivono felici e contenti.
Ora, qui si aspetta il terzo episodio.
Blue Jasmine
Quanto a Blue Jasmine, appartengo alla schiera di quelli che se lo sono goduto.
In un certo modo mi ha ricordato Carnage, per il piglio teatrale che a torto o ragione vi avevo colto, e per la complessità delle psicologie dei personaggi, e la loro conflittualità, ed il linguaggio, sia gestuale che verbale, essenziale ed efficace.
La trama, ridotta ai minimi termini: la sorella ricca ed elegante finisce sul lastrico e ricorre alla sorella “sfigata”, che pur sfigata ha una vita vera e affettiva, mentre Jasmine si è ritrovata sola in un tunnel nel quale non vede vie di uscita.
Sorelle entrambe adottate e diversissime tra loro, una elegante, l’altra inelegante, l’una in preda a scontento rimpianti xanax vodke e l’altra equilibrata, ha accettato i propri limiti e ci convive. Il gioco psicologico è densissimo e difficile da rendere, però ti prende, e non sai per chi fare il tifo, ed onestamente non sai neanche chi tra le due sia la vera protagonista. Blue Jasmine, Red Ginger?
Cate Blanchett è senza dubbio splendida attrice, nella sua parte di donna a tratti luminosa ma devastata dall’esaurimento nervoso, termine medico che non sentivo da tempo, mi sembra si parli ormai solo di depressione: la sua leggendaria bellezza è una bellezza di insieme, perchè nei tratti mi sembra abbia un fisico piuttosto nodoso, lo si intuisce dai piedi e dalle mani non affusolate, mentre affascinante è la bocca, il sorriso. Mi rendo conto che la bocca e il sorriso sono cose che guardo molto, e molto invidio in alcune donne, oddio, dovrei invidiarle anche per ben altro, se penso al fisico! Invece Sally Hawkins è viva e guizzante, con la sua parata di denti sempre sorridenti, e piena di saggezza, e non si costruisce mondi impossibili, è affettiva e accetta quello che la vita le offre, ha imparato le lezioni, ha imparato a vivere… quando cerca di seguire i consigli della sorella, incontra la menzogna. E in mezzo alle menzogne era abituata a vivere Jasmine: il mondo vero è triste e deludente per lei, inaccettabile, e si perde dialogando con se stessa di cose che non ci sono più, se stessa è tutto ciò che le è rimasto del passato.
Il maestro Allen -immancabili le “musichette” jazz in apertura e chiusura del film – è stato tenero e analitico con i personaggi femminili, scatenando la sua abituale causticità con quelli maschili, dipingendoli come caricature e stereotipi, assolutamente dipendenti dall’altro sesso, .
Che poi, il mancato nuovo fidanzato di Jasmine, assomigliava tantissimo a Jack Lemmon, pensavo fosse un figlio – aveva figli JacK Lemmon? – invece no.