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finiamo tagliati fuori dal mondo civile…

anche questo… chi non è mai capitato a leggere qualcosa su Wikipedia?
Forse la legge sulle intercettazioni le metterà il bavaglio…. leggete questo comunicato di wikipediam cliccando sul link
Questa cosa di Wikipedia serve a dare una chiara idea della direzione nella quale ci stiamo muovendo, direi.

A Villadossola per un concerto

Abbandonando il lago Maggiore, la strada si addentra in una valle, tra monti scoscesi e verdissimi, pioviggina. Mi fa specie l'idea di andare verso la montagna, ed incontrare così tanti capannoni, ed aziende. Parecchie sono di  lavorazione del granito, lastre e blocchi sono impilati all'esterno dei laboratori, altri espongono sfere, colonne, lapidi… a Candoglia vedo un monumento rivestito di marmo rosato,  che è  stato usato perfino per i muretti dei giardini, al posto dei mattoni o delle beole.
Mi riconforta incontrare il cartello triangolare col cerbiatto che balza,  proseguendo,  un altro cartello mi segnala che siamo nel Parco Nazionale della Val Grande.
Si incontrano anche dei bei campanili,  sono un po' la mia passione,  penso sempre al mio progetto per un libro fotografico,  giustappunto, ci penso e non ne fotografo mai nessuno: mi capita di vederli  sempre  a distanza,  passando in macchina,  mentre mi piacerebbe andare in giro a cercarli,  magari in motocicletta, che però non guido, quindi non so se questo progetto lo realizzerò mai.
Villadossola, mi sembra strana, quasi tutte case recenti, una piccola Milano  ai piedi di montagne impervie. Il Centro Culturale La Fabbrica, pensi che sia un vecchio opificio, chissà, se una volta lo era se ne è cancellata l'impronta: è una struttura enorme color salmone nel centro cittadino, un teatro a tutti gli effetti, e sfruttato, pure.
Per il concerto dell'Akademie Alte Musik Berlin, il penultimo della rassegna Stresa Festival 2011, è pieno.
Omaggiata  di un posto in prima fila, il concerto è stato per me una piacevolissima sopresa. fagotto, violini, clavicembalo, viola e violoncello, flauto ho potuto non solo ascoltare, ma anche guardare… osservavo i movimenti degli artisti e cercavo di discernere, nell'armonia, il suono dello strumento che ne derivava… mi sembra di aver imparato tantissimo sulla musica, questa sconosciuta. Quello che ho trovato affascinante è stato anche seguire la musica nelle espressioni dei musicisti, che uno di solito ascolta un'orchestra, e li pensa lì belli impassibili e concentrati.
Concentrati  sicuramente lo sono,  ma impassibili no. Si lanciano sguardi d'intesa ammiccamenti prima di cominciare un brano nuovo, ma ognuno ha la sua mimica. Il suonatore di clavicembalo sembrava  sorridere al suo strumento, la suonatrice di viola pure sorrideva, e le veniva la fossetta sulla guancia, e scuoteva i capelli,  trattenuti da un piccolo  fermaglio. Il violoncellista accentuava con il capo  ogni  passaggio, e sembrava soffrire. Il primo violino riccioluto avrebbe voluto danzare, secondo me, mentre le altre due violiniste erano  più  compassate, con la  loro guancia appoggiate allo strumento, o forse viceversa,  seguendo la musica chiudevano gli occhi come a gustare la sublimità e la perfezione del suono.
Insomma,  musica erano i suoni, ma anche i corpi dei musicisti.. ripensavo al film Fantasia di Disney "vedrete la musica, ascolterete le immagini".

Norma Jean

abbdd61904c54a192bf724f72f1df59dOggi al  TG parlavano di questa statua, eretta a Chicago… ecco, penso che Marylin una cosa così di cattivo gusto non se la merita.

Forse, se la vedesse, si metterebbe a ridere.

Effettivamente, se dovessi pensare a come statuare Marylin, non mi viene in mente un’alternativa, soprassiederei, probabilmente.

Forse, non sono abituata alle statue a colori, mi sembra un gigantesco soiuvenir, potrebbe stare dentro a quelle bocce di vetro, se le agiti si muove la neve.

Marylin preferisco pensarla in movimento, leggera e spiritosa, non come le nostre soubrettone.

Cenerentola dovette andarsene proprio all'inizio del concerto.

Ieri verso sera sono andata alla festa di Nazione Indiana, al circolo Arci Bellezza, ingresso obbligatorio con tessera.
Salutata qualche persona conosciuta, sono entrata nella sala dove si dissertava di precarietà, documentarismo, realismo e autorevolezza.. Seguivo le parole mentre scorrevano, non riuscendo a farne una sintesi, se mi si chiedesse un riassunto non lo so fare. Mi colpiva qualche frase, ci pensavo, e mentre ci riflettevo perdevo l'allaccio successivo. Ricordo di aver pensato due cose: una,  perchè ci si deve complicare così la  vita per leggere o scrivere – e questo è un segno della mia  stanchezza, perchè queste complicazioni vorrei invece  potessero divenire parte del mio quotidiano – e   l'altra, che l'autorevolezza, per chi si occupa di cose scritte, è un po' come aver trovato il posto fisso.
Quello che mi piace dei Circoli Arci in estate  (conoscevo quello di Turro) è il mangiare all'aperto.  Certo, qualche zanzara mi volava sul naso, ma ha deciso di non attaccarmi.
Il menù sembrava  esplicito, pesentava un sacco di cose marinare, che a me non piacciono. Invece dei fusilli con zafferano zucchine e gamberetti opto per una insalata e, per non smentirmi,  salsiccia e patate fritte. Insomma, nell'ordine complessivo sono arrivati per me fusilli, insalata, salsiccia con patate fritte, e un piatto di patate fritte. Una cosa teutonica. Mi sono sentita morire. Tutto buono, per carità, ma troppo… mica era scritto sul menù che la carne aveva già anche il contorno.
Alessio Lega, più cicciotto di quando lo avevo visto un paio d'anni fa,  mangiava al tavolo di fronte, per cui ero tranqulla sugli orari, vedendolo seduto lì.
Invece no… il concerto è stato annunciato alle dieci e mezzo, con un'ora di ritardo sul programma, e non potevo tardare,  dovendo tornare a casa con la famigerata filovia 90-91, la stessa con cui vado  e torno dal lavoro, malissimo frequentata nelle ore notturne.
Chiamo casa, "sto per arrivare, aspetto la 90, arriva tra 3 minuti, no, adesso il display segna in coda". (coda di che,  a quell'ora?). Mia figlia salta per aria," la 90, ma mamma, sei da sola? la 90 a quesrt'ora? Ti viene a prendere Lorenzo", " Ma no, dai, qui alla fermata c'è gente a posto che salirà con me, non è ancora così tardi.".
In effetti, salendo nel mezzo leggermente affollato,  la fauna non era delle più promettenti, parecchi con bottiglie in mano, e  non di acqua, ma sono riuscita a trovare un posto a sedere davanti, in prossimità dell'autista.
La Princess mi ha accolto con un "meno male,hai fatto in fretta, mi hai fatto preoccupare"
Ah, queste mamme discole.
Dice mia figlia, che  sul davanti del filobus, spesso rubano, mentre la coda è più frequentata dai maniaci.
Chissà come lo sa..

The Tree of Life

Giovedì sera ho accolto con sollievo la conclusione del film, mi sentivo oppressa.
Questo stato d’animo d'altronde mi è proprio, dal momento che mi sembra di vivere sotto assillo  dell’Idra, se taglio una testa ricresce, per quanto mi sforzi  per me non c’è scampo, non posso stare a perdere tempo lì per una cosa brutta, con tutte le altre a cui ho da pensare.
La storia… la storia non è nulla, nulla che non sia già stato narrato o filmato. Uno dei figli muore, vicini e parenti si raccolgono intorno ai genitori addolorati, un figlio ripensa al fratello morto a soli 19 anni (come e perchè, non viene rivelato,  evidentemente superfluo, probabilmente in Vietnam,  forse a saperlo mi sarei sentita di più a mio agio) e rivive la sua crescita, dibattuto tra la madre dolcissima ed il padre autoritario e disilluso, preso in un dialogo sussurrato (con i propri pensieri? con la madre? con il padre? con Dio?) il rapporto con i fratelli minori, le brutture della vita, i primi turbamenti … Come contorno, immagini mirabolanti e ridondanti della natura, dell’origine del mondo, dei mari, dei vulcani, delle abbaglianti distese di sale, e questo figlio protagonista  oggi ripensa a quei momenti,  muovendosi tra castelli di vetro dove della natura non c’è più traccia, attraversa un ponte e, seguendo se stesso ragazzo, raggiunge una porta  che varca, ritrovandosi  a camminare tra le persone della sua vita, sorridenti. La Grazia, finalmente, dopo anni di conflitto con la natura?

Quando il film è finito, ho esclamato “finalmente ho visto un film veramente brutto”… non mi ero preparata assolutamente alla visione, avevo visto il trailer e pensavo fosse alla fine una sorta di Forrest Gump “credo di non averci capito niente”. Ora, leggendo qua e là, scopro che potrebbe vincere il festival di Cannes, e che è pieno di significati;  di allegorie, direi.
Ho scoperto anche che per tutto il film avevo seguito le vicissitudini di Jack pensando che fosse il fratello che poi moriva, no, era invece vivo ed impersonato da Sean Penn.  Ma non sono stata l’unica a fraintendere, e questo mi fa dubitare della bontà del film: per me un’opera che  riesce incomprensibile, non è un capolavoro, è una  faccenda personale dell’artista.  O forse, non era un'opera per me, ma destinata ad altri.
Dicevo, le allegorie me le son perse, evidentemente.  Se devo essere sincera, non avevo neanche l’umore per cercarle. Quelle immagini – l’unica che un po’ mi ha catturato è stata la nuvola che usciva rotolosa dal vulcano – mi sembravano il collage delle mail che girano nel ceto impiegatizio,  con foto bellissime che qualche volta riportano in sovraimpressione frasi sull’amicizia e cose così.  Le frasi qui venivano bisbigliate… mi provocavano un senso di fastidio, di rifiuto.
La vicenda familiare  mi ha avvolto in una sensazione di invisibile violenza,  non vedevo l’ora che finisse, non avevo bisogno di quel film, che pure avevo proposto io: certo, nel giudicare, nel capire un film, le nostre faccende personali hanno un peso, a volte narrazione, visione e musicalità non si amalgamano tra loro e con noi stessi..magari non era  il momento giusto  per vederlo. Ma questo, non ho nessuna voglia di rivederlo, ho proprio un carattere diverso, troppo pragmatico e incapace di fede, per esserne attratta.

Parlando degli attori, invece, questi son stati di poche parole, e molti sguardi. Il più loquace il padre/signore Brad Pitt, che doveva manifestare il suo autoritarismo. Le frasi di tutti, concise, calavano spesso con la leggerezza di un colpo di fioretto. La bellissima madre Jessica Chastain è stata spesso ripresa di narice, cavità evidentemente considerata  espressiva in questi primi piani  fatti di sguardi. I ragazzini parlano pochissimo, osservano molto, e passano anche all’azione. Forse questa concisione di dialogo ha un suo motivo, vuole riportare all’universalità degli affetti e delle sotterranee guerre familiari. Sean Penn parla poco, pensa, cammina e guarda. Boh.
A parte quelle con i colori della Chastain, ho trovato gelide perfino le immagini di natura, di una bellezza  comunque tecnicamente inconfutabile.

A Torino, il Libro.

Nello scorso week end sono stata al Salone del Libro di Torino, dove,  ripensandoci, i libri non li ho guardati molto, però ne ho comprati di più che gli scorsi anni. Mi spiego meglio: mi ero fatta la lista della spesa, ed ho cercato e comprato quelli.

Per il resto, ho vagabondato. Ho cercato di superare, rapita dal rullo dei tamburi, il corteo di San Precario, volevo leggere lo striscione, ma non ce l’ho fatta.

Sono rimasta estasiata dal bicchierofono, dal piano a due piani, e dalle batterie così rilucenti  da risvegliare la gazza ladra che c’è in me.

Mi sono fermata al reparto dei video games, c’era il torneo di Supermario e dei ragazzi seduti davanti a dei monitor ondeggiavano con un volante bianco in mano. Poco più in là, stravaccati in poltrone nere altri guidavano sotto un’insegna RedBull, ed ancora, una famiglia intera impugnava telecomandi davanti alla Wii. E pensare che mi  diverto ancora con il Mahjong.

Ho provato ad ascoltare il dibattito (è una parola che si usa ancora?) a cura di Rai Ragazzi, “cosa leggono i ragazzi d’oggi”, book/ebook/facebook” ma mi sono innervosita. Sentire ancora disquisire sulle amicizie, sulle “figurine” Facebook mi indispone. Non si può semplicemente considerare l’Amico Facebook, un nuovo grado di relazione?  E poi, non so perchè, nelle sedie trasparenti, ci inciampo, non sono neanche riuscita ad andarmene silenziosamente.

Allegrissima la presentazione di un minuscolo librino rosa shocking, Sotto Anestesia, di Matteo B. Bianchi, con Tito Faraci , ci voleva! Sane risate, e ricordi  tra amici (loro due), che riaffioravano.

Spavento alle sei, corsa al guardaroba per recuperare lo zainetto… una fila interminabile di persone, ma non riprendevano le proprie borse, stavano impalate davanti ad uno schermo, e si udiva la voce di Marcorè, così sono passata davanti a tutti, e nessuno  si è arrabbiato.

C'è chi dice no (il film)

Altro titolo plausibile, ” Non c’è più scampo”.

Una signora ha commentato, all’uscita dal cinema Sociale di Pallanza “Meno male che era umoristico se no chissà che spatafiata era.” Effettivamente il tema non era da poco: I raccomandati (i segnalati sono uguali) non rubano solo il lavoro, ma il futuro, la famiglia, i figli”.

Tre compagni di scuola, laureati anche con sacrificio delle famiglie, da una vita precari, si vedono soffiare l’assunzione, presso un giornale, un’università e un ospedale da figli generi e nuore di importanti personalità “intrallazzate”.  I tre, che si erano persi di vista, si ritrovano ad una cena di classe, e decidono di fare in modo di riavere il posto che spettava loro di diritto fondando il movimento “Pirati del merito” e dedicandosi allo stalking, con situazioni tragicomiche. Riescono perfino a  filmare i baroni universitari che,  informati di una prossima  (fasulla) ispezione,  si affannano a rivedere tutti gli ultimi concorsi, sistemando i curriculum  degli “indegni” vincitori  (tra i quali uno bravo, e definito da loro stessi un caso). La loro vicenda si intreccia con quella di due carabinieri incaricati di indagare su queste “intimidazioni”, che riescono ad arrivare ai colpevoli quando ormai il caso è superato, e li minacciano di smettere, stonatamente, visto che erano  anch’essi vittime sulla stessa barca.

L’opera,  ho intravisto nei titoli di coda,  è di interesse nazionale e patrocinata dal Ministero della Cultura. Che ci sia un regista, non me ne sono accorta, il film scorre  anonimamente, senza alcun tocco di personalità. La Cortellesi in ruolo semiserio non è credibile, e  nulla  viene trasmesso alla sottoscritta spettatrice del dirompente amore, con l’Argentero; più  comunicativo il loro compagno topo Ruffini, che ha l’ufficio di ricercatore nel w.c. universitario  (con la scritta “fuori servizio” sulle porte dei cessi),  empatici  i carabinieri, affannati a far indagini  con limitati mezzi informatici, col meccanico che non ripara la  loro auto perchè hanno raggiunto il budget, cosicchè devono fare gli inseguimenti andando piano, e con muratori, muniti di sacchi di cemento e mattoni,  che transitano per il loro  ufficio.

Dunque,  due dei tre protagonisti riescono ad avere il loro posto, e decidono, per aiutare il  terzo, il ricercatore, di andare fino in fondo rendendo pubblico il  predetto filmato, ma non otterranno nulla: il posto sarà defintivamente perso per tutti e tre, che  verranno  condannati agli arresti domiciliari per sei mesi,  mentre i vecchi  baroni saranno  semplicemente sostituiti,  sotto la maschera “largo ai giovani”, dalla loro stessa genìa.  Forse  il seme è gettato: nelle ultime inquadrature del  film,  ombre nere li seguiranno, come dicevano i volantini con il proclama dei Pirati del Merito.

L’argomento è senz’altro pesante, in un’Italia a corruzione endemica (definizione  emersa  da una delle rivelazioni “Wikileaks”): non lascia speranze. D’altra parte le raccomandazioni sono sempre esistite, e non si possono giudicare aprioristicamente immorali, se io dovessi assumere qualcuno preferirei qualcuno che conosco, o di cui persone che apprezzo mi parlano bene.  Certo non è legittimo dare incarichi a persone incompetenti a scapito della comunità, che ne  sostiene gli oneri e subisce gli effetti nefasti dell’incompetenza e immoralità. E non è legittimo manomettere i risultati dei concorsi, calpestando anni di sacrifici e le speranze di persone valide, probailmente le migliori in quel campo.

La passione del calcio.

Non è certo mia, ma funziona un po' come le sigarette: non fumo, ma respiro il fumo degli altri. In cambio, non credo che mi abbia mai fatto male nè contagiato.
Beh comunque stasera, nei fondali della Libreria dello Sport di Milano, via Carducci, il giornalista Gianni De Felice presentava il libro di Franz Krauspenhaar, quello con la copertina  con l'alieno spettinato, che uno prima pensa alla fantascienza, poi guarda meglio  e  vede che è una zolla erbosa (mica qualunque, sicuramente di San Siro). Edito da PerdisaPop
In un'atmosfera semplice e cordiale, De Felice ha preso spunto da questo libro  comodamente tascabile (un punto a favore, per me che leggo sui mezzi pubblici) per parlare di sport e di società.  Dunque, non è un romanzo, bensi sono i ricordi calcistici di Franz, ed ogni capitolo fa a sè (secondo punto a favore per i lettori in bus).
Essendo ricordi, non sono sempre attanagliati al calcio  e questo è uno dei motivi per cui sono convinta che lo leggerò con piacere e senza sforzo, nonostante l'argomento principe.
De Felice evoca la ritualità domenicale della partita, come c'era la Messa così c'era la partita, e Franz scrive del rumore del pallone nella rete, e le grida dei giocatori. Di mio, ho ripensato  a mio padre che ascoltava alla radio "Tutto il calcio minuto per minuto", schedina alla mano, matita con  gommino per cancellare gli 1,2,  X  sbagliati, anneriva coscienziosamente il quadratino colpevole (anzi, i numerosi quadratini colpevoli, perchè non ho ricordi di vittorie al Totocalcio.  Ho ripensato anche alle domeniche al Parco Sempione, io con i pattini a rotelle, e le famiglie a spasso, i "lui" tutti  con la radiolina vicina all'orecchio.
Franz scrive della passione che cala, e De Felice si chiede e ci chiede perchè le cose siano così cambiate da un tempo, come non ci siano più gli uomini bandiera delle squadre, come potevano essere Rivera, Riva, Mazzola, ma anche negli altri sport non emergono, forseValentino Rossi.  Oggi, anche i nostri miti sono a tempo. 
Non ho ancora letto il libro, ma per quello che ho ascoltato oggi e conosco della scrittura di Franz, dagli episodi legati al calcio spazierà ai suoi ricordi di ragazzo  e racconterà le cose come le viveva, o le sognava, confrontando il passato e presente, cosa che se uno ci pensa dice "ma anch'io lo faccio": certo, ma non con la sua intensità narrativa.

La La gente felice non ha nè età nè memoria, non ha bisogno del passato

Una delle frasi introduttive del libro di Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio.
Un libretto – libretto perchè la mia letteratura ha un comune denominatore, la dimensione del libro che, pervicacemente  cartaceo, deve starmi in borsa – che su anobii ho definito piacevole sfizioso gustoso come un gelato in estate.
Anche un romanzo che ho adorato, La scomparsa di Patò, di Camilleri, è costruito attraverso "reportage" in varia modalità,  dalle lettere anonime ai verbali di polizia.
Anche qui c'è un'analoga costruzione, e non a caso alcuni capitoli si intitolano "La verità di…"
Una piazza, un condominio, un morto inviso a tutti in vita, un ascensore, ed il personaggio centrale di Amedeo, che quasi tutti credevano italiano,  amichevole, pronto a correre in soccorso, e che non voleva avere un passato. Viene creduto dalla polizia colpevole dell'omicidio, ma nessuno dei frequentatori del condominio lo ritiene possibile. Così tra pizze,  cagnolini scomparsi e portiere napoletane, ognuno dice la sua, a modo suo, ed i capitoletti dedicati agli ululati di Amedeo fanno da contrappeso, come in un diario a sua volta descrive gli incontri con i condomini. E tutto ruota intorno all'ascensore, che è la civiltà, e la differenza tra  i civilizzati ed i barbari consiste in primo luogo nella salvaguardia dell'ascensore, lo dice il Prof. Marini.
Il sorriso accompagna la lettura, dalla quale non possono non nascere alcune riflessioni, la più elementare delle quali è anche la regola più importante per la convivenza. Magari se gli altri ci sembrano strani o diversi, non è che non abbiano le loro ragioni,  sono solo cresciuti con credenze diverse,  non dobbiamo per forza vederci il male.  Un po' come il gatto scontento scodizola, ed il cane contento scodinzola, sono linguaggi diversi, eppure all'occorrenza convivono benissimo.
Si fa per dire, il libro che possiedo è della 15esima edizione, e l'anno scorso ne hanno fatto un film (di questo però non me ne sono accorta, il che non depone bene).

Il mio Salone del Libro di Torino, con sandali bugiardi.

Sul treno regionale per Torino delle sette e un quarto c’erano alcune passeggere, belle e dalla pelle scura. Mi sono ricordata di articoli letti parecchio tempo fa su un certo tipo di pendolarismo, avrei voluto poterle osservare, cercare indizi dei loro pensieri. Alcune sembravano allegre, una parlava all’indirizzo di un’altra, che resa invisibile dai sedili rimaneva sileziosa,  ed usava un’intonazione un po’ accesa, ma non ero certa che fosse arrabbiata, il suono di quella lingua sconosciuta non era per niente sgradevole.
Le prime ore del mattino, pensavo, sono le migliori per l’utilizzo dei servizi igienici pubblici: mi decido prima di scendere  dal treno e nel w.c. pulito trovo la carta igienica, lo sciacquone che funziona, ci sono gli asciugamani e perfino il sapone, penso di lavarmi anche gli occhiali. Non poteva andare così liscia, qualcosa mancava infatti,  l’acqua dal lavandino, ma per fortuna non avevo ancora messo il detersivo sulle lenti.
Alla cassa del Salone del Libro arrivo una ventina di minuti prima dell’apertura (perché devono pagare gli espositori, ed anche il pubblico?). Quelli dietro di me bofonchiano perché la cassiera è  lenta. Però mica si può dire, se la fila lunga degli altri è formata da famiglie, fanno prima a smaltirla rispetto una fila lunga uguale di biglietti singoli.  Ma l’importante è brontolare, mica cercar di capire.  E comunque arrivava il profumo delle brioches, dal bar Autogrill dell’ingresso. Uno dei tanti bar Autogrill all’interno del Lingotto, mi è venuto da ridere quando nel pomeriggio, sorseggiando una corroborante spremuta d’arancia (vera) ho sentito un signore trafelato parlare al cellulare “ Sì sì sono arrivato adesso – e si guarda intorno – mi trovi al bar Autogrill “ guardi signore che ce ne sono minimo quattro, nell’immensità “Aspetta che ti spiego meglio, sono nel padiglione 3…”
Però Autogrill all’interno di un salone del libro, non è che suoni tanto bene. “Sono al Bookgrill”… “troviamoci al Bookcook” … Bibliogrill… Ecco, invece il nome del ristorante Ciao, è perfetto. Seduta, mangiando, ho esclamato “sembra di essere in una stazione, tutti che  salutano”. E’ un continuo sventagliare di braccia alzate e dita frenetiche, “ehi qui, siamo qui” “qui qui qui c’è un tavolo” per un braccio che cala altri si alzano.
I miei obiettivi al Salone del libro erano due… trovare qualche poster da mettere nella casetta di Pallanza e trovare qualcosa di lacustre.
Sul mare ci sono un sacco di pubblicazioni, e barche e pesci e isole e coste e narrativa, mentre sui laghi,  il lago Maggiore in particolare no, mi venivano in mente solo Luino e Piero Chiara. 
Insomma, ho catturato un libretto sulla strage di ebrei nel 1943 nell’albergo di Meina, credo la prima strage italiana, di cu avevo sentito parlare, ed un libro di Mario Soldati, intitolato Orta, con alcuni scritti anche su Feriolo e Gignese. Cercavo storie e leggende, però.
Per i poster, ce ne era uno che mi piaceva, giustappunto l’unico che non era in vendita: no, no, gli altri non li voglio, mica è colpa mia se non mi piacciono.
Tallonata da quelli di Green Peace, che mi devono aver  individuata  sbracata nella mia poco smagrente camicia rosata, credo volessero catturarmi e proteggermi dai giapponesi – però non ho visto giapponesi, giusto, come mai mancavano? –  ho fatto lunghe camminate tra i libri, con un momento di suspence… un’impressione  di violenza, di passo militare, di rumorio… credevo avessero arrestato uno… Ma no, era Saviano, che si avviava a una conferenza. Un effetto tipo pifferaio di Hamelin , il padiglione è sembrato svuotarsi confluendo in coda dietro a lui. E’ stato un attimo realizzare che se anche mi fossi accodata, non sarei riuscita a sentire niente di quel che diceva, e per dire “ho visto Saviano” lo posso dire lo stesso, e mi è spiaciuto per lui, che fosse così prigioniero.
L’effetto del Salone di quest’anno è stato in un certo senso positivo, rispetto la mia prima visita, lo scorso anno, nella quale mi era sembrato tutto un po’ grigio, omogeneo…niente di nuovo, quest’anno, però i libri mi sembravano più invitanti, più eleganti, amichevoli… come farfalle, nonostante certa letteratura equivoca dispersa tra i libri per bambini, con tanto di copertina rosa confetto “Sei mariti per una topolina” Non ho osato guardarne le figure.
Ho comprato poi “Lo scommettitore” di Remo Bassini, e, per sopravvivere in Facebook, “Non leggete i libri fateveli raccontare”, di Luciano Bianciardi, e “Insetto sarai tu!” che parla di insetti geniali.

E se nel girare avessi incontrato una fontana, mi sarei risvoltata i pantaloni e ci avrei pucciato i piedi, buttando all’aria i sandali fintocomodi.

Mine vaganti.

Il cinema di Verbania è un bisala, cioè un multisala piccolo.
Al contrario del solito, il cassiere è un uomo che ti raccomanda di tenere con te l'ombrello e ti racconta che lui non ha il problema perchè è in moto e al ritorno si piglierà tutta l'acqua, mentre è una  signora, anziana, che strappa i biglietti mezzo metro più in là, e mi chiedo se in un cinema che è tutto raccolto lì, il rito abbia un senso. Per quanto riguarda l'ombrello, capisco  sia un rischio, il cinema è di fianco al penitenziario, e per quanto riguarda la signora, capelli grigi, golfino qualunque con lo zip e pantaloni, mi chiedo quanto poco  ancora mi manchi per esser come lei, già siamo vestite uguali.
Le poltroncine verdi hanno una conformazione anatomica tale che, se mi ci abbandono, il mio sguardo è portato al soffitto e non allo schermo. Mi risistemo un po' meglio.
Le luci finalmente si spengono, e si sentono i rumori del film, un crepitio, dei passi concitati. Si attende l'immagine, ma si riaccendono le luci.  Non era una genialata del regista, allora.
All'inizio ho un po' di difficoltà a collocare  ambiente e personaggi, poi la cosa  si fa scorrevole, anzi, non tardano ad essere familiari.
Due fratelli gay che hanno tenuto nascosto la loro natura sentono la necessità di lasciarla emergere, e seguire la loro strada, in un ambiente  non  ancora avvezzo ad accettare queste diversità, un ambiente ricco, anche se non ostentamente opulento. Una famiglia dove c'è tutto un campionario di personaggi, mancava solo un parente ecclesiastico. Le ciglione vellutate di Scamarcio, un cognome dispregiativo che fa da contraltare ad  una oggettiva bellezza,  l'espressione meravigliosa di Ilaria Occhini – magari invecchiassi con un viso così…  La stravaganza di zia Luciana, che ci fa, non ci è.  Non mi piace tanto scrivere le trame, anche perchè un film lo si deve vedere, e non si deve "riconoscere" .
Ozpetek apre dei discorsi offrendone dei quadri, nulla che sia nuovo, o che dia delle soluzioni. Diciamo che il filo conduttore del film è la scelta, la libertà, la capacità e la forza di scegliere,  e anche di accettare le scelte altrui: non è un discorso nuovo, appunto. Certo è tutto più facile in un ambiente dove non ci sono problemi economici,   del fratello che si allontana a tasche vuote, nulla si sa come se la cavi, a cosa lo abbia portato la sua scelta,  se non nel campo sentimentale. Ma è un film di sentimenti, la concretezza non è richiesta, sono io che sono abituata a portare sempre tutto nel pratico.
Ripensarci su, a queste questioni,  comunque non fa mai male, ed il film è piacevole in una giusta miscela di ironia  ed emozioni,  anche se ci  sono alcune scene surreali: il giovane Tommaso vuole fare lo scrittore, ha mandato il suo manoscritto a un (solo) editore, e riceve una lettera di rifiuto da questo editore (si vede una busta con tanto di bollo di posta prioritaria).

Italian Sharia

Ieri sera sono stata alla presentazione di questo libro, a proposito del quale avevo già letto un’intervista all’autore Paolo Grugni.

Come solitamente e appositamente accade, si parla del libro, oltre all’autore erano presenti un arabista islamologo e la fautrice dello sciopero degli immigrati (mi perdonino se non ricordo i nomi) e Carlo Monguzzi. Non mi sto a dilungare in quello che poi si ritrova anche nella quarta di copertina, o in Internet, sulla trama, anche perchè non avendolo ancora letto (però intanto l’ho comprato) potrei dir poco di mio in più. E poi non sono una vera e propria recensora.

Mi piace fare degli appunti estemporanei, per esempio si è detto della facilità  con cui imparano l’italiano gli  extracomunitari  (meglio di tanti itagliani?)  acquisendo in breve una buona proprietà di linguaggio, e mi è uscita la battutina, forse perchè non stanno a guardare la televisione. Però chissà se è vero.

A furia di sentir dire che questo libro è crudo, è documentato, la storia è fiction calata in un contesto veritiero, che non è nè pro nè contro gli immigrati, mi sono soffermata a pensare sul fatto che non essere nè pro nè contro fosse decantata come una peculiarità, mentre forse dovrebbe essere uno status normale, poi hai le passioni, e allora sì che ti accendi e sei pro o contro.

Invece ripensandoci mi sembra che siamo sempre messi  di fronte ad una scelta alternativa, quasi mai mediata: se non sei pro, allora sei contro, o con me o contro di me. Un po’ ci sta allevando così la politica, destra e sinistra, che si riversa su di noi da mille canali, e la pubblicità: di tutto dovremmo farne un culto una passione, dal formaggino all’ultimo film in 3D. Non possiamo restare indifferenti…o medi, ci piace così così. Per  il mio carattere, è diffcilissimo essere pro o contro, a parte che penso sempre tanto sulle cose, è difficile che parta lancia in resta. E poi,  i miei anni saranno pure serviti a qualcosa, tipo comprendere che  non c’è niente di tutto giusto e bello, o tutto brutto e sbagliato, e quel che va bene a me, del tutto legittimamente può non andar bene a te.

E così anche gli immigrati, mica sono tutti uguali. Che sia colpa dell’insiemistica? Ai miei tempi alle elementari non si insegnava.