Un film di poche parole

dove un gatto newyorkese nel 1961 ritrova la strada di casa e alla fine si scopre che si chiama Ulisse.
Le parole non sono molte, le canzoni un bel po’, il giusto.  Troppe parole non servono, infatti, a Bud Grossman per dire a Llewyn Davis, apripista di Bob Dylan,  che con la sua musica non si fanno soldi, ne bastano tre scritte  su un foglietto per annunciare una gravidanza, una parola di un medico per venire a sapere di essere padre da due anni. Basta uno sguardo per tradire affetti e comprensioni quando le parole sembrano dire il contrario,  poche parole lasciano anche spazio a equivoci e ad arrabbiature, che poi passano.
Davis – sciocchissima la traduzione italiana  A proposito di Davis del titolo Inside Llewyn Davis – è un personaggio sofferto, eppure forte, perchè nonostante abbia compreso che non ha un posto dove fermarsi, non c’è un suo posto al mondo,  all’uomo col cappello e la cravatta che alla fine del film lo percuote come nella stessa scena dell’inizio,  dice arrivederci  e non addio.  E con lui, restiamo tesi chiedendoci dove sia finito il gatto, e speriamo con lui, adesso Grossman lo ascolta e lo scrittura, e l’attesa resta lì,  sospesa, perchè comunque non è arreso. In quanto film di poche parole, è film di molti primi piani, perchè parlino i volti, e la fotografia è molto nitida e reale.
Questi miei vogliono essere non una rece, ma solo degli appunti, delle noticine segnate così.

2 pensieri su “Un film di poche parole

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