Il profumo del caffè quando apro la vecchia scatola di latta nera, ed il coperchio ermetico. Una delle poche cose sopravvissute negli anni, con la caduta in disuso delle torrefazioni, dove il caffè lo si comprava in sacchettini, e te lo macinavano sul momento.
Ai tempi, bere la sambuca con la mosca era ancora facile. Non sono una bevitrice di sambuca con la mosca, ma suppongo ora si sia fatta una faccenda complessa, devi rintracciare una torrefazione per comprare una manciata di chicchi di caffè, oppure il super ti dà l’opportunità di comprarne una confezione da minimo 250 g, ottenendo così una quantità di mosche che ti seguirà tutta la vita, il loro aroma no, però.
Posso affermare con sicurezza che i barattoli sono gli stessi, perchè quand’ero ragazzina li ricoprivo di carta colorata e ne facevo portamatite. Poi anche questo svago creativo divenne inutile perchè una marca di caffè, forse Suerte, forse Splendid, aveva inventato i barattoli non più di latta, ma di plastica, e tutti colorati. Mia sorella ne era gran consumatrice, e son di quelle cose indistruttibili che alla lunga diventano imbarazzanti. Il primo dici, oh che bello ci metto le matite. Nel secondo i pennarelli. Nel terzo forbice, righello. Nel quarto, i pezzi piccoli del Lego. Nel quinto, le sopresine dell’uovo kinder dei bambini, ma solo quelle che si disfano sempre. Poi, i bottoni. Poi le viti, le viti con la testa a croce, cioè la soluzione salomonica all’antico dilemma delle monetine. Insomma, l’invasione degli ultracorpi era uno scherzo al riguardo. Credo di averne ancora nel box, e son passati più di quarant’anni.
Insomma, a me piace aprire il barattolo del caffè, per il profumo che si sprigiona. Al venerdì sera le caffettiere le preparo quasi tutte, un esercito di cinque, esclusa quella grossa grossa, la mattina del sabato è un avvicendarsi alla colazione. Ci verso l’acqua, la livello, ne esce un po’ sul piano di granito della cucina, resta invisibile, del resto essere invisibile è il suo lavoro da acqua pulita. Prendo la polvere, la sistemo nella caffettiera, livello anche quella. E’ un rito, va seguito lentamente, con compunzione. Un po’ di polvere di caffè sfugge, cade nell’acqua, vi galleggia, in una relazione impermeabile e senza futuro. E’ un rito, ed i gesti abituali non occupano la testa, e consentono di pensare ad altro e restare in silenzio, col cucchiaino che spiana le montagnette brune, e debbo pensare tanto, no, qualcosa di meno creativo, debbo fare considerazioni e trarre conclusioni.
Fin che è stato vivo, mio marito andava matto per il caffè napoletano (nota che lui era nato in Friuli da genitori veneti). A me non piaceva molto, ma ricordo che, a fine di ogni pasto, sia che fosse all’una, sia che fosse la sera, c’era questo rito del caffè.
Ora, come sai, non faccio più caffè per nessuno
Che non facessi più caffè per nessuno, neanche per te, non lo immaginavo, che qualcuno in Italia stesse senza caffè! Ma la sambuca con la mosca la conoscevi? per me, è un ricordo di mio padre, non che la bevesse, ma me ne parlava lui e io su questa storia che la mosca fosse un chicco di caffè ci scherzavo.