Un librino, La fabbrica dei fantasmi , 130 pagine ma non le dimostra, si comincia a leggere e non si smette sinchè è finito.
Perchè? Non so, vediamo.
Si era detto, nella presentazione della scorsa settimana, che i personaggi, ed il posto, non hanno un nome, ma in fondo quel posto, lo abbiamo bene in mente tutti, e i nomi possiamo immaginarli, ma non serve che si chiamino chessò Agnieszka o Fritz, o Rafiki, o Siroune.
Qui, l’autrice elenca Le Voci:
La madre, il militare, il ragazzo, la figlia, l’amico del ragazzo, il colluso, il fantasma, il Rosso.
Queste voci parlano, parlano a te lettore, o parlano a se stessi? Sono voci senza suono, cose che non vengono dette a voce alta, nè urlate.
Non importano i nomi e il luogo, perchè questa vicenda è astratta, non nel senso di irreale che si dà adesso a questa parola, ma per il suo stretto significato etimologico, di distacco, cioè, questa vicenda ha potuto accadere settant’anni fa, ma anche cent’anni fa, o anche venti, e potrà succedere ancora. Una prova di forza tra il potere, la fame e l’ignoranza, la storia, il suo ciclo, la lotta per la sopravvivenza, lotta, o resa che sia.
La madre, da contadina che bada al sodo, e a far andare avanti la baracca, non ha pensieri di morale appunto se non legati a vantaggi pratici. La figlia, che mi ostino a pensare come la ragazza, è indicata come figlia, quindi un personaggio imbrigliato, mentre il ragazzo, maschio, non è sottoposto ai pregiudizi, studia, si accorge che qualcosa non quadra, in quella fabbrica.
Stupita mi accorgo riportando l’elenco delle voci che non c’è il vecchio, il padre, eppure così presente. Al solito, non voglio dir tanto della trama, per non rovinare il gusto della lettura.
La vicenda è delineata da queste voci, dai dialoghi con se stesso di questi personaggi, strutturata un po’ tipo La scomparsa di Patò, di Camilleri, che tanto mi piacque, dove la storia è creata invece da lettere e dalle relazioni dei carabinieri, o tipo Caro Michele della Ginzburg.
Non so se sia la particolare composizione narrativa che mi prende, sono tutti libri che ho divorato, come a suo tempo anche il Diario di Anna Frank, forse mi tiene più vicina di un racconto in terza persona, o un di un io narrante? Ma no, mi sono bevuta anche Zola, Tolstoj, Verga e anche Bulgakov.
Sicuramente, l’Olocausto è un argomento che attanaglia, per l’orrore, per la bassezza, l’immedesimazione, perchè resta sempre dentro l’immagine di persone tranquille nelle proprie case che vengono trascinate via, e chissà se potrebbe capitare anche a te, cosa faresti, sei genitore, figlio fratello, amico, quale strazio grande è…
Certo fatico a correlare le vittime all’attuale popolo di Israele, del quale non so bene cosa pensare, e forse è questa proprio la Storia.
In ogni caso, questo bel librino mi piace immaginarlo recitato in teatro, un po’ come la presentazione cui ho assistito.
La tua segnalazione invoglia. Ho soltanto paura che questa Bertelli sia un’altra scrittrice per noi donne, con frasi e pensieri confezionate apposta per il pubblico delle lettrici. Spero tu mi smentisca.
E’ un quesito difficile, cui rispondere, essendo donna…ma ho idea di no, credo abbia cercato di essere oggettiva e affatto mielosa; per quanto rigarda la vicenda la differenza nell’allevare un figlio maschio o femmina, è un dato di fatto, storico, e se gli uomini paiono usar le donne, le donne non è che stiano indietro a servirsi degli uomni.