Piripippìri, si faceva col clacson quando si era imboccato il vialone della villa dalla provinciale sul lago, e si era passati sotto il ponte della ferrovia che lo tagliava, e si stava arrivando a casa. Piripippìri, lo si sentiva dalla terrazza in faccia al lago, si attraversava il salotto e si andava ad aspettare il corrispettivo parente all’ingresso, sulla ghiaia vicino al grosso faggio, i suoni dei clacson non erano tutti uguali e si sapeva chi arrivava.
Il pirippipiri lo aspettavo il venerdì sera, quando arrivava il papà da Milano con le caramelle, gli zuccherini, o le gocce di zucchero col rosolio, e le caramelle ripiene alla frutta.
Alla sera, nel letto, invece di leggere e rileggere il librone con le fiabe di Baba Yaga e della Regina delle Nevi, mi piaceva dividere gli zuccherini per colore, e fare le parti per darne un po’ a mia cugina Ambra. Mi piacevano quelli turchesi, anche se quelli semplicemente bianchi sapevano di menta, e quelli rossi, perchè le caramelle rosse da sempre hanno una loro attrattiva, ricordano ciliegie e fragole. Non era facile trovare un modo per dividerli, che non gliene dessi troppi, o troppo pochi. Lasciarle quelli dispari, erano troppo pochi. Metà, troppo, anche perchè intanto qualcuno lo mangiavo. Era un casino con le gocce con il rosolio, erano delicatissime e spesso già qualcuna eragià rotta, e le dita si appicicavano.
Non so che casino lasciassi sulle lenzuola della mamma, prima di trasferirmi nel mio letto di fianco, che non aveva la lucina sul comodino. Per le caramelle ripiene, ma incartate, tendevo ad imbrogliare un po’, tenendone di più di quelle alla mora e cedendo quelle alle prugne. Alla fine, facevo a metà.
Se ora ci penso, non so come non avessi paura… mentre tutti i grandi stavano al piano di sotto, chi non era andato a Stresa o da qualche parte, io soldo di cacio ero a leggere nel letto da sola al primo piano di quella casa enorme, e sopra ancora un piano, vuoto perchè erano tutti giù, lo dico, perchè ora forse l’avrei, il pensiero di sentir qualcuno salire per le scalinata, con il corrimano di legno su cui scivolavamo per andare da basso, mia cugina ed io, lei di sei anni più grande di me. Una sera, sento che qualcuno sale, ed apre la finestra di fronte alla porta della mia camera e va sul balconcino di legno, quello che dava verso il faggio, era mio cugino, il fratello maggiore di Ambra, con qualcun altro, per uccidere i ghiri, ed allora mi ero alzata anch’io ed ero andata lì a vedere cosa facevano. Uno illuminava i ghiri con la torcia, che restavano lì dov’erano, imbambolati, e gli sparavano.
Non capivo bene il perchè di tutto quello, ma mi hanno portato via subito, forse per paura degli spari, spero lo abbiano fatto per evitarmi lo spettacolo, perchè ancora oggi, se ci penso, a quelle bestioline illuminate ferme appiattite sul ramo, mi sale un nodo qui, e mia sorella che una volta aveva trovato un piccolo ghiro e cercava di salvarlo dandogli il latte con un contagocce.
Eh, però ci sono rimasto male anche io, per il piccolo ghiro, ùffa.
Il sentimento e le cure per uno, e poi arriva uno gasato e te ne fa fuori una cinquantina, che se ne stanno sul faggio a mangiar le faggiole… e glielo lasciano fare. Beh, forse esagero, ma anche fossero stati venti, o dieci…