L’epoca del flipper.

Abbandonate le spiagge di Forte dei Marmi, Rapallo era diventata la località abituale delle vacanze marine di luglio, ogni estate la mamma affittava una casa, quasi mai capitava la stessa, ci veniva Angela, ci venivo io, ed i miei fratelli ormai un po’ grandi andavano per i fatti loro, ogni tanto piombavano da noi. Mio padre tendeva invece a venirci poco, la mamma mi diceva che non gli piaceva il mare, ma ora penso fosse per la passione per il gioco di mia madre, che non ci voleva venire, non voleva mangiarsi il fegato, nè che lei pensasse che lui accondiscendesse al suo vizio.
Avevo  circa undici anni, e la mamma andava alla sera a giocare a carte in un posto in fondo al lungomare, verso il castello con le mostre di quadri, poi si girava a sinistra, aveva la veranda in legno,  e non riesco a ricordarmi come si chiamava, aveva un’insegna con una caravella blu, e non si chiamava nè Colombo, nè Nina, Pinta o Santamaria, e neanche Tre Caravelle, nè Capitan Uncino. Insomma, mia mamma andava lì a giocare a una specie di ramino, il tacca tacca, e mi portava dietro. Io come al solito dovevo occuparmi di come far passare il tempo, e forse questi continui esercizi hanno maturato in me l’incapacità di annoiarmi. Essenzialmente, giocavo col flipper presente in quel locale, correttamente, senza troppi TILT, senza tentare troppo di ribaltare la macchina, da mite ragazzina qual ero. Ero anche diventata abbastanza brava, riuscivo a calibrare un po’ il lancio, aspettare che la pallina arrivasse sulla punta della molla, e… zac, su a colpire il 100 e il 1000, volutamente, in un frastuono di tintinnii e carillon e luci, che in un elipper sono rumorose anche le luci, e questi suoni me li sentivo anche quando chiudevo gli occhi per dormire, poi a casa. Poi quando facevo mille punti guadagnavo una pallina, e di pallina in pallina le partite  non finivano più. Partite… meglio dire solitari.
Una sera nel bar c’era anche un ragazzotto, che  conoscevo già da qualche tempo, nello stabilimento balneare giocavamo con le biglie, ed a calciobalilla, era lì anche lui al seguito della madre, seppure fosse un po’ più grande di me, un’età in cui poteva anche star solo a casa, o andarsi a fare un giro. Ma erano altri tempi, aveva ancora da venire il ’68, che non era però tanto lontano. Sua madre era anche un po’ più tirchia della mia – alla mia bastava che non la interrompessi – insomma, io avevo tanti 50 lire per il flipper e lui no… così, giocavamo una pallina per uno. Doveva essere l’inizio di luglio, perchè c’erano i fuochi artificiali per la festa della Madonna di Montallegro, tre serate di fuochi, ricordo, ogni estate, e li attendevo. Allora le mamme ci hanno lasciato andare sul lungomare, per  vederli, e quando siamo stati là, ci si teneva per mano per non perderci in mezzo alla folla, e siamo stati lì, appoggiati alla balaustra a guardare in su, e mi ricordo di aver pensato che magari mi baciava, e mi vergognavo un po’ di questo pensiero. Non ci siamo baciati, ma sono andata avanti a pensarlo per un paio d’anni almeno, come sarebbe stato se lo avesse fatto, e la sensazione di tenersi per mano. Per scoprire, chiacchierando e scherzando, qualche anno dopo, che anche lui lo aveva pensato quella sera lì, ma non aveva avuto il coraggio. Non era bello, però era brutto come lo è Serge Gainsbourg, quindi come fosse bello.

2 pensieri su “L’epoca del flipper.

  1. giovanni choukhadarian

    Ma questa cosa mi ricorda tantissimo il leggendario torneetto di ping pong (al tempo lo si chiamava affettatamente tennistavolo) giù ai bagni Germana, estate 1980, grosso modo. In sostanza, io ero piuttosto forte, col mio giochetto titic e titoc, come avrebbe detto Gianni Brera. Mi piaceva un bòtto questa tipa milanese, piuttosto tarchiata, però bionda: va’ a sapere come si chiamava. L’avrei baciata volentieri, santa la polenta, però mica sapevo come si faceva: mi mancava la tènnica.
    In ogni caso, battèi l’odioso cuneese Trombetta nella finale per il III posto, e vinsi la prestigiosa targa. Gli concedetti una rivincita al tennis, nel circolo lì vicino, al quale ero d’altronde iscritto: e lì non ci fu proprio partita, vinsi facile in due set. La bionda, inutile dire, non mi si filò, e l’anno dopo mi piaceva l’Eleonora, per cui.
    Forte è molto bella, debbo aggiungere, come questi post nostalgici q.b.

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