Il Gianni e la Francesca, il Merico, la Mirella

Alla mattina, fatta colazione, stavo attenta se sentivo arrivare l’Ape del Gianni, al rumore del motore si aggiungeva di solito l’abbaio della Gin, la bassotta di mia cugina, che non lo poteva soffrire. D’altra parte, il Gianni aveva un’aureola di capelli bianchi, non aveva più i denti davanti e girava con la maglietta  ecrù melange a costine. Se riuscivo a cuccare il Gianni che scaricava la spesa, mi arrampicavo nel cassone e mi facevo portare su per il viale sino alla Dependance, che io tengo a scrivere rispettosamente con la maiuscola.
La Dependance era una casa staccata dalla villa, destinata, ai tempi d’oro del nonno, come alloggio per i domestici. Vicino c’era appunto la casa del Gianni e della Francesca, l’officinetta del Gianni, l’atelier abbandonato della zia Liliana, il garage, il fienile con le gabbie dei conigli, ed il cancello che dava sulla “strada alta”, la chiamavamo così noi per distinguerla dalla provinciale lungo il lago, lungo la quale arrivavi sino a Baveno, anche sino in capo al mondo, se non ti fermavi a Baveno. In quell’universo, la casetta del Gianni e della Francesca era vicina al cancello, ed io  stavo spesso lì dentro a chiacchierare con la Francesca, che preparava il pranzo per il Gianni, che avrebbe mangiato da solo,  lei doveva poi venire nella villa per occuparsi della cucina. La Francesca aveva i capelli, grigi e increspati, sempre legati a crocchia dietro la nuca, la pelle liscia, occhi azzurrissimi, ed era molto contenta quando veniva il Merico,  suo figlio, che lavorava lontano, lontano per quei tempi, poteva essere verso Domodossola. Io non capivo tutto questo entusiasmo, perchè il Merico lo vedevo o che mangiava, o che stava sul divano, e poi andava a caccia. Anche il Gianni, il giardiniere, andava a caccia, mi ricordo le cartucce rosse e il fucile, e la Francesca mi raccontava della frollatura delle lepri,  argomento che mi prendeva poco. La Mirella non andava a caccia, era molto signorina, con i capelli neri e gli occhi azzurrissimi, più di quelli di sua mamma e dei miei; probabilmente lavorava anche lei, perchè non la vedevo spesso in casa,  comunque più spesso del Merico. Merico, da Amerigo, come l”America, mi diceva orgogliosa la Francesca. Nel complesso, li avevo adottati come seconda famiglia, e passavo molto del mio tempo con loro. A lato della loro casa c’era il fienile,  e con mia cugina Ambra, di qualche anno più grande di me, facevamo le capriole, senza timore nè di topi nè di niente. C’erano le gabbie coi conigli, e passavo loro l’erba attraverso i buchi della rete, e quando nascevano le cucciolate, sceglievo sempre il mio, mio in senso spirituale. A lui avrei cercato di far arrivare più fili d’erba che agli altri.  Legato ad un filo di ferro teso tra il fienile e la casa, lungo il quale scorreva la sua corda, stava il Cris, un grosso setter bianco e rossiccio, che accarezzavo tanto, e per giocare dilaniava quotidiani,  ed io ridevo, ridevano anche il Gianni e la Francesca perchè dicevo che il Cris sapeva leggere. Quasi una profezia sulla stampa,  la mia, rivista oggi. Non poteva mancare il gatto del Gianni, che a dire il vero cambiava spesso. Ma la cosa più bella era andare nel laboratorio del Gianni, dove c’era di tutto,  anche la morsa, e soprattutto la mola, che facevo girare al’impazzata, divertendomi a sentire le cose che si scaldavano, e via ad arrotare chiodi. Il Gianni lo seguivo anche quando andava a tagliare l’erba dei prati della villa, lui dava di falce ed io di rastrello. Lo seguivo anche a raccogliere le dalie e i pomodori, ed a prendere il capelvenere nella serra.
Certo, stavo via ore, e nella villa nessuno sembrava preoccuparsi, solo una volta mi hanno sgridato perchè mi chiamavano  e non rispondevo, ma glielo ho detto, non sapevo come fare, il gatto del Gianni mi si era addormentato in braccio.

6 pensieri su “Il Gianni e la Francesca, il Merico, la Mirella

  1. giovanni choukhadarian

    I gatti cambiano, questa è un’osservazione di rarissima puntualità. E mica pensavo che le Apecar ci fossero anche su al Nord: convinto fossero una tènia delle stradette anguste dell’òrrido Ponente ligure, guarda te

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  2. giovanni choukhadarian

    Potrei guidarla quindi anche io, che sono spatentato. Però, girando con la Silvana, ho scoperto che le Ape’s vanno pianissimissimo, e quindi rompono i bàll. A me non mi dispiace troppo di rompere i bàll al prossimo, però con l’Ape magari sì

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