Il venerdì 17 non è sempre un giorno in cui tutto va di sfiga, anche se capita di sbagliare uscita in tangenziale, e non si ha magari la chiave per entrare al Vanghè, e capita di aspettare un po’.
Ad esempio, per me è stato il giorno in cui ho ascoltato Milena Prisco leggere in modo struggente il suo testo, Marco Cavallo è vivo, accovacciata nella quasi totale oscurità, e mentre seguivi il suo tormento, Stefano Giorgi tracciava magie sul telo alle spalle di Milena, in una sintonia perfetta, di immagini, di parole con i suoni padroneggiati da Roberta, il nitrito di Marco Cavallo, il pianto e stridor di denti del luogo dove delle persone – sostantivo non scelto a caso -sono tenute in contenzione.Ancora adesso, dicono gli addetti ai lavori, nonostante la legge Basaglia e nonostante sia idea comune che i matti ora son tutti sguinzagliati in giro, che se ti guardi intorno, o leggi certe cose, pensi anche che sia vero, ma non sono quei matti lì, di Basaglia.
Stefano il mago ha aperto una cappelliera, tutta illuminata dentro, e tracciava segni su un vetro, e quei segni si animavano sul telone, e due biglie correvano in un coperchio di plastica ed erano occhi sgranati sullo schermo, e gocce di colore che si scioglievano nell’acqua spiegavano il malessere che si sentiva dentro, ed il sogno di libertà, e il coperchio ondeggiava e la marea si ingrandiva sullo schermo. Una magia con qualche pennello, coperchi di plastica dei cioccolatini, qualche sagoma ritagliata, Marco Cavallo con le lunghe zampe e la bambina aggrappata, per correre oltre il cancello, dove ci sono gli alberi verdi.
E poi, Marco Cavallo esiste davvero, era un cavallo, ora è un simbolo, e finchè ci si crederà non morirà.
Leggendo la recensione di Tip Top, e quindi andando a informarmi su cosa fosse effettivamente la storia di Marco Cavallo, mi sono reso conto di quanto poco io avessi capito dello spettacolo guardandolo lì, dal vivo, sabato sera.
Ciò che avevo notato, e che mi aveva impressionato per la bravura con cui era stato messo in scena da Milena Prisco e dal suo sodale Stefano Giorgi, era stata l’evidente coerenza formale tra quello che lei andava raccontando e quello che lui andava disegnando. Cioè, lei metteva in fila parole per descrivere il mondo interiore della protagonista, e lui disegnava con… l’acqua, e le biglie, e le sagome di carta. E non è mica facile, perché non sono strumenti che se ne stiano docili e precisi… se ne vanno per conto proprio, se non sei più che capace di tenerli – sia le parole, che accendono bagliori su mondi interiori, sia gli strumenti da disegno, che si scivolano addosso molto molto indisciplinati.
Io vedevo tutto questo e mi dicevo: «Wow, ma come sono bravi questi due? Quanto devono averci lavorato per renderlo così naturale?».
Poi vado a casa, leggo Tip Top, faccio le mie ricerche su Google, trovo articoli e recensioni e fotografie. Ed ecco, avevo capito forse l’1 per 1˙000. Marco Cavallo è vivo. Vivo! Io vedevo un cavallino azzurro, di quelli che i bambini di una volta si portavano dietro su un trabiccolino con le ruote – e invece era di più, era un cavallo gigante che Basaglia aveva dovuto abbattere il muro del manicomio di Trieste per farlo uscire perché il cancello era troppo piccolo. Marco Cavallo è vivo e allora non ci si può più permettere di segregare le persone… persone che sono vive, santiddio.
Non le avevo mica viste, certe cose. Bello che c’erano.
beh, noi giornalisti, con tanto di tesserino o anche solo putativi, ci documentiamo prima di scrivere! 😀
dopo un anno e mezzo per caso caro Guido ti leggo e mi emoziono ancora per quella serata e per quanto comunicato 🙂 grazie di cuore
Segnalato il commento a Guido!