pane secco

Non è stato immediato raggiungere Michela e Luca come eravamo d’accordo, sul lungolago, vicino all’Imbarcadero, dove ci sono i giochi per i bambini.
Prima, ho preso il pane vecchio da dare alle paperelle, ma sono uscita con le pantofole, e sono tornata in casa a mettere i sandali.
Poi, scendendo per le scale,  le ho risalite e ridiscese, dopo aver realizzato di indossare sì i sandali, ma di aver lasciato questa volta  il sacchetto del pane sul tavolo.
Luca mi viene incontro – le nonne sanno tutto – chiedendomi come si chiama la bambina di colore, grandicella, vicino a lui.
Non lo so, e allora glielo chiedo, ma mi risponde “Sono stata sul treno” e mi guarda.
Quando prendo il mio posto sulla panchina, ho finalmente modo di fungere da pista per Saetta Mc Queen e Francesco Bernulli, personaggi di Cars 2, in mezzo a bambini estasiati  che chiedevano a Luca di fargli vedere le macchinine.
Faccio notare a Michela quanto è carina la bimba più piccola dei tre fratellini negretti , ferma sul triciclo, con occhioni sgranati e le treccine raccolte sulla nuca.
Parentesi:  secondo me il termine “negro” o “nero”  non è per forza politicamente scorretto, è che mi sembra ridicolo scrivere sempre “di colore”, se hanno un colore diverso della pelle, se sono di una razza umana diversa, è un dato di fatto, mica nego che siano esseri umani con parità di diritti.
Insomma ci sono questi tre fratellini, scurissimi di pelle, magri, lunghi, puliti, ravviati e tutti dotati di tricicli, li avevo notati altre volte a spasso sul lungolago: impossibile non notarli, e  certo, i due più grandi starebbero meglio ormai su una biciclettina.
Il maschietto dei tre fa per strappare una macchina a Luca, che la sa ben difendere, nonostante la differenza di taglia e di età.
Intanto la piccola mi si avvicina, e mi indica il sacchetto del pane: ora, quel pane era tagliato a pezzettini, vecchio anche di un mese,  da usare per la pappa del cane, e ne avevo preso un po’ da portare al lago, per le papere, i cigni e le oche, e per far divertire  Luca,  e ancor di più,  me.
Glielo dico, che è il pane per le paperelle, ma sembra non capire, o  forse le importa solo la parola “pane”, ed insiste per aprire il cellophane.  Mi guardo in giro, ma non vedo alcun  adulto che possa essere con lei, comincio ad essere preoccupata, perchè se invece di pane vecchio  fosse  stato un pasticcino, non avrei esitato a dargliene uno, due, tre… invece è pane vecchio, lasciato a seccare da tempo in un sacchetto di carta aperto, ed appoggiato sul calorifero spento, e dal quale ci siamo serviti a manate per riempire la ciotola del cane.
Cerco di non lasciarle aprire il  pacchetto, ma  non voglio neanche essere brusca, mi devo arrendere alle sue manine brune, che estraggono un tozzo di pane, sì, il tozzo di pane, come quello delle storie lacrimevoli di Remy, e di Cosetta, e della Piccola Fiammiferaia.
La bimba si è allontanata ed ora mi osserva dal suo triciclo, e sgranocchia il pane, ed io son piena di domande.
Era un capriccio di bambina, o ha veramente fame?
E io mi preoccupo di dar da mangiare alle papere…
E poi, non puoi immaginarti qualcuno che soffre la fame, ben pulito e pettinato… pensi che abbiano almeno il necessario… ma esistono, al di là della fame, la pulizia e la dignità.
Che imbarazzo… o forse, anche un po’ di vergogna, la mia.

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