è stato l’argomento della prima lezione nuova serie del corso di scrittura creativa, svolto da Giulio Mozzi in modo molto interessante e che non sono, al solito, in grado di riassumere. Anche perchè nella mia borsa saccheggiata e devastata non sono riuscita a trovare una penna e non ho preso il benchè minimo appunto. Si è partiti dal Manzoni, passando attraverso Faulkner (L’urlo e il furore), i Fratelli Karamazov , Ulysse, Il suicidio di Angela B (Umberto Casadei) per arrivare al mio adorato La scomparsa di Patò, il modello "faldone", raccolta di documenti , in questo caso intorno alla misteriosa sparizione, i cui contorni vengono definiti in realtà da quello che non viene detto.
La parte seconda della lezione è stata avvincente, con il modo che ha Giulio Mozzi di interrompere la lettura del racconto via via ci fossero da parte sua osservazioni, severe, ma pertinenti.
In sunto la storia, scritta da una compagna di corso, racconta di un ragazzino affetto da una malattia che non gli faceva sentire dolore, e quindi si faceva male senza accorgersene. La madre lo teneva iper protetto in compagnia solo del suo amico immaginario. Il ragazzino con l’aiuto dell’amico immaginario organizza la fuga, e va via di casa dopo aver aperto tutte le uscite del gas.
Una delle considerazioni… porsi il perchè il ragazzino racconta.
Poche righe dopo l’inizio del racconto, c’era un’interruzione, nella quale ci si riportava al passato, più lunga del racconto stesso.
La lunghezza del racconto, due pagine, che non è una lunghezza " commerciabile, a meno che non si voglia fare una raccolta di racconti brevi che abbia un filo conduttore.
Alla fine Mozzi ha espresso considerazioni come, pur nato da uno spunto interessante, alla fine il racconto non lo fosse; mi è venuto da pensare (ma il tempo era scaduto e non ho potuto proporlo) che forse avrebbe potuto svolgersi su due piani, da un lato un genitore ferito dallo scoppio che parla del figlio con la Polizia che svolge accertamenti, e dall’altra il figlio che si immalinconisce e a sua volta a chi, nel suo vagabondaggio, gli chiede, racconta della sua vita, dando le risposte alle domande che emergono dai racconti del padre; però non deve essere facile, neanche un po’, scrivere una cosa così.
Comunque ho gradito la serena sincera severità di Mozzi.
Senti, io sarò insistente, ma secondo me, a leggere i tuoi spunti finali, viene fuori una fantasia da scrittrice vera e propria.
Dovresti almeno provare a mettertici… io continuo ad essere convinto che hai tutte le carte in regola per scrivere sul serio.
Concordo, e – scusa l’intrusione – mi sembra che impegnarti sulla scrittura possa aiutarti nel momento di crisi esistenziale che mi sembra tu stia passando, dando sfogo (in attesa di tempi migliori) alla tua interiorità al momento mortificata.Se ho sbagliato, nella mia diagnosi pseudopsicologica, scusami.
Una delle cose che infatti voglio fare, se avrò un tempo a mia disposizione di miglior qualità, è scrivere. Ho in mente cose, ma il tempo che ho è sempre quello in cui sono già stanca.
Non sono tanto in crisi esistenziale, tante cose le ho superate, problemi che avevo per esempio quando ho iniziato a scrivere qui.
Ora è un momento di verifica.
interessante il tuo spunto sarebbe un altro racconto scritto da chi ha il cuore di mamma e non si sente bambino protetto …
non tutti possiamo descrivere le stesse cose dallo stesso punto di vista no?
le critiche sulla lunghezza mi paiono speciose ….
nel senso che è vero nessuno vuole racconti il racconto è morto tutti vogliono cose lunghe perchè rassicurante avere un tomo enorme …
io adoro le cose brevi perchè durano il tempo di girare sui mezzi … 😛
comincia a stuzzicarmi l’idea di un corso di scrittura …
Bene, ne sono contenta
una bella pausa,
buon fine settimana
Auguri Cri 🙂
Giusi